Mirabilia - III
Giovanni Sicuranza
Provate a immaginare. Ora.
Com'è perdere i vostri genitori.
Come è stato.
E immaginate in che modo, in una sola volta, possa privarvene per sempre il vostro amico. La corposità piena della vostra infanzia, il tessuto logoro delle vostre confessioni.
Il vostro compagno.
Lasciate perdere il marito, via vostra moglie.
Non i vostri amanti.
Il vostro amico, quello vero, chi vi conosce tanto bene da darvi fastidio.
Riuscite a concepirlo, mentre uccide mamma e papà?
Mi chiedo come lo immaginate, questo triplice omicidio.
Dei genitori e dell'amicizia.
Conoscete il modo più ovvio con cui il vostro migliore amico può spezzarvi per sempre?
Si chiama arrotamento.
Si scrive con un urlo acuto di donna, con il grido dell'uomo che chiama la moglie per nome, una volta, una sola volta.
Si scrive con rumori secchi di ossa. Si scrive senza frenate.
Nemmeno ha frenato, Goffredo, quando ha investito i miei genitori.
Ero affacciato alla finestra, a vederli.
Mano cerca mano, andavano in piazza, alla Fiera del Lupo, lungo il sentiero sterrato, che costeggia il bosco di Lavrange.
All'incrocio con la statale 69, dove c'è la santella, è arrivato il furgone grigio topo di Goffredo.
"Pulizia & Traslochi".
Deve averla appena riverniciata, pensai della scritta sul fianco, perché mi sembrava troppo accesa, un viola prugna fuori luogo nel colore nebbioso della carrozzeria.
E poi c'era quel particolare. "Pulizia".
Ricordo che vidi i miei deformarsi sotto le ruote, ricordo il furgone che proseguiva oltre la saltella, lungo la statale, ma io continuavo a pensare e a leggere "Pulizia". Perché al singolare?, mi chiedevo, immobile, alla finestra da cui Goffredo ed io avevamo colorato il mondo di sogni.
Era sempre stato "Pulizie & Traslochi", ovvio scrivere al plurale le mansioni quotidiane del mio amico.
Quel giorno era diventato "pulizia", come se Goffredo avesse uno scopo preciso, un'unica impresa da compiere.
Mica lo sapevo, allora, ma era proprio così.
I primi da ripulire, mamma e papà, dovevano morire accanto alla santella.
La Madonna scolpita all'interno, diroccata dall'incuria, priva di occhi e con il viso chino, non si sarebbe curata delle loro lacrime.
A Lavrange lo sapevamo tutti.
La saltella era l'utero in cui Nostra Signora della Fossa era cresciuta, prima di prendere corpo e iniziare a nutrirsi del paese.
La saltella era maledetta.
Si moriva al suo fianco solo per un motivo, solo se la Signora della Fossa ti stava penetrando nei mitocondri e il tuo RNA aveva iniziato a trasmettere i suoi messaggi a ogni cellula.
Nostra Signora della Fossa agisce come il Morbo Nero, da cui è germogliata.
Nostra Signora della Fossa si impossessa dell'intimo degli umani come un batterio, come un virus. E' il microcosmo della morte.
Per fermarla, occorre eliminare gli infetti, prima che il contagio diventi epidemia.
Goffredo lo sapeva. Goffredo me lo diceva sempre.
Del resto, Goffredo aveva oltre trecento anni e nessuno, meglio di lui, poteva narrarmi di Nostra Signora della Fossa.
Ora proverò a dirvi quello che ho appreso dalle parole di Goffredo.
O, almeno, quanto potete sapere, con basso rischio di cadere nella follia.
Mirabilia - IV
Giovanni Sicuranza
Lei ti parla senza suono, con frasi piene e forti, fino a quando il cielo diventa grigio di fetori.
Ha nome Martina, ti dice con quella voce roca, che conosci da secoli, quella assenza di respiro, che non ha bisogno d'ossigeno per bruciare nelle orecchie.
Annuisci, ecco, quasi osi scuotere la testa.
Mi chiamo Goffredo, sussurri, Nostra Signora, scusami, ma ti conosco bene; ti seguo e ti caccio da trecento anni; deglutisci; sono figlio di Ottone, il becchino di Lavrange, e di Anita, la sarta.
Nostra Signora della Fossa ha un fruscio bagnato, quando i muscoli buccali si tendono nel ricordo di un sorriso.
Sì, ne rammento il sapore delle cellule.
È lì che fai un errore, che entri nelle sue caverne, ai lati cartilaginei del naso.
È la routine, la direzione acquisita per guardare qualcuno negli occhi.
Solo che Nostra Signora della Fossa ti frega proprio nelle banalità.
La sua possessione è subdola, non si evidenza. Chi ne diventa il sembionte non si trasforma, non muta aspetto o carattere.
C'è solo un senso di spossatezza e la fame, la fame che cresce.
Pensi che all'ultima Fiera del Lupo sei stato bravo nell'evitare una strage. Hai ucciso marito e moglie poco prima della cena. Della loro cena sociale.
Ma devi smettere, ora, questi particolari sono imprudenza, mentre lei ti sta penetrando i nervi ottici. Mentre ti aiuta a comprendere perché ha ricordato il suo nome.
Lo sta mutando, Martina inizia con G, adesso, ma non è Gartina. Ora si pronuncia Gaia.
Tua figlia.
È adesso fai la telefonata, ti ordina, in un adagio di parole morte, vai a togliere Gaia dai suoi angeli custodi.
La cornetta del telefono ronza nelle tue orecchie. La cornetta nero lucido, in attesa sul comodino di questa stanza d'albergo, come gli scarafaggi che frusciano tra i piedi tendinei di Nostra Signora della Fossa.
Mentre componi il numero dei Servizi Sociali, senti lo scarafaggio dell'angoscia scendere lungo la schiena; mentre percorri i numeri apparsi in sovrimpressione al telegiornale, avverti le zampe, la rapida viscosità del dorso che cercano le tue lacrime.
Cerchi di non piangere, di non voltarti verso Martina, che diventa Gaia, cerchi di concentrarti sulle menzogne che dovrai raccontare alla Procura dei Minori, alle agguerrite volontarie dei Servizi Sociali, all'orda feroce dei media.
Soprattutto, cerchi, tenti, di non udire il canto di Nostra Signora della Fossa.
"Se un giorno, tu amore avrai", la melodia di Cenerentola, la preferita da tua figlia.
La senti mormorare anche adesso, alle tue spalle, proprio con la voce di Gaia.
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