Basito.
Alla reception, mi dice la biondina, sono note le mie generalità (le mie generazioni, direbbe un anziano amico, con ogni dignità di errare).
Sorrido, di sbieco, mentre legioni di memorie marciano alla ricerca di un avamposto nei lobi temporali.
Ad attenderle, sinapsi inaridite.
Sono stato qui per un convegno?
Per una relazione sessocentrica?
Per sezionare cadaveri?
Annaspo e continuo a sorridere. Idiotamente
sorrido.
Vedendo il mio silenzio, la receptionist deve avere avuto la prima delusione dall'autore.
Tra i fondali del banco spunta una copia di "Polvere di Silenzi".
- Lo ha scritto lei, no?
- Ah - sorriso-divarica-mandibola - Sì, grazie, ma come lo ha trovato, sì, comunque, sì, sono io.
- Complimenti - e si gira verso la folla delle chiavi d'albergo.
Discorso chiuso, se discorso è stato.
Mi allontano ciondolando, metà pensiero che gongola, stupito, l'altra metà che deride la mia goffaggine e mi suggerisce di cambiare albergo, magari, già che ci sono, pianeta.
E, cavolo, a giorni esce la definitiva edizione di "Polvere di Silenzi" (Youcanprint-Borè Srl), di cui ho appena visionato la copertina. Dieci euro in quasi ogni store on-line e circa 1.200 librerie. È un buon libro, accidenti, così bello che rischio altre beote figure.
Un'altra copia di "Polvere di Silenzi", quinta versione da ilmiolibro.it, giace supina nel tavolo centrale della hall.
Il tavolo è lucidato a nero e accoglie quotidiani e frammenti di patinate informazioni turistiche.
Un uomo, pallido, è seduto su una delle poltrone, di quelle morbide, dalla consistenza di una caramella gommosa. Anche la poltrona, che presumo si stia adattando senza sforzo alla sua esigua massa, è nera.
Lui è silenzi, il capo chino a mostrare chiazze pilifere, grigie come polvere. Sfoglia le prime pagine del mio romanzo in un ritmo lento.
Mi aspetto che si fermi, che abbandoni la lettura in un moto di liberazione, invece no. Continua.
Conviene che sia io ad abbandonare, ad allontanarmi, zitto zitto, quatto quatto, prima che l'inaspettato lettore si accorga di essere osservato dallo stupore dei miei occhi. Mentre esco, mi chiedo se non è troppo anziano per il mio target.
Poi mi chiedo cosa mi sono chiesto. Insomma, perché la mia scrittura dovrebbe avere un target?
Questa necessità di catalogare, fino a imprigionarci.
Non fabbrico magliette, io, non commercio in taglie small, medium, large. Tantomeno XL, anche se, raramente, ho letto l'omonima rivista.
Però ieri sera ho conosciuto una libreria, una di quella belle sorprese, che si allungano sulle vie dei centri turistici. Ho preso un libro, duecentotrentadue pagine di fascino malinconico, doloroso: "L'Armata scomparsa", Pettacco Arrigo, Oscar Mondadori. Era nel target "Saggi - Storia contemporanea".
Ora torno alla libreria di strada, lascio che il mio DNA scambi informazioni con il suo. Tra i target esposti, ho un'idea. L'offerta di due copie di "Polvere di Silenzi", edizione economica, prezzo a discrezione della libraia. Signora anziana, la libraia, dalle sopracciglia forestali, cresciute a pappe di OGM.
Una "targettologa".
Spero che "Polvere di Silenzi" non finisca tra i manuali delle barzellette.
Per farmi compagnia, passo dopo passo, in un caldo agli antipodi di quanto descritto dal libro di Petacco, penso al mio prossimo CD, molecolarizzandone la musicalità in un mormorio discontinuo.
Si chiamerà "ARMIR" e sarà un concept album di note glaciali. Avrà una copertina leggera, troppo leggera.
Penso anche che nessuno riuscirà ad ascoltarlo, perché risulterà disperso.
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