La bellezza non è tutto (II) – Giovanni Sicuranza
Papà, papà mio.
Parole umide, paludi emerse dalla vasca da bagno, così arriva la voce di mia figlia, gelo che morde la nuca velata dal sudore d’agosto.
Aveva cinque anni, il mio piccolo amore, e si divertiva a parlarmi sotto la superficie dell’acqua. Almeno ci provava, insomma, il divertimento era proprio questo, nei glu glu che emergevano, risate velate d’acqua e schiuma per il bagno.
Schiuma all'aroma di mughetto.
Papà, papino mio, mi chiede,
ora,
bagnata,
nuda,
troppo nuda, figlia mia.
Si porta dentro i suoi cinque anni, anche se ne avrebbe compiuti sei proprio oggi, anche se è conciata così male da non avere più età umana.
Le parole escono dalle desquamazioni del viso, dalle fistole del collo, fanno vibrare frustoli di polmone attraverso le caverne del petto.
Perché, papà mio, mi chiede, perché seppelliamo i nostri morti, e non c'è punto di domanda.
Gli occhi hanno il colore del mughetto selvatico, almeno per come è disegnato nella confezione della schiuma da bagno, proprio quella che ho versato nella vasca quando la mia cucciola è affogata.
Cinque minuti di assenza, mentre terminavo il racconto di una bambina che torna ai suoi genitori dall’aldilà, mentre ero chiuso nella stanza divisa con il ricordo di un dolore rosso, mia moglie, sua madre, splendida donna sfigurata e dissolta in pochi giorni da un virus emorragico.
Cinque minuti per passare dal caos dei vivi al nulla dei morti, questo è il tempo che ha impiegato la mia bimba per lasciarmi.
Per sempre, così credevo, invece no, eccola, di nuovo qui, adesso, di fronte al suo papà.
Sono così brutta?
Ed io non so cosa risponderle, la lingua trafitta dal terrore.
Perché, papino, seppelliamo i nostri morti?
Le mie dita non vogliono, ma sono sulla sua testa, il ricordo putrescente del suo viso paffuto, la pelle spaccata, le ossa nere di terra; accarezzano, queste mie dita più determinate delle parole, e portano via cadaveri di capelli, senza gemiti, come fossero fili di seta pallida aggrovigliati in anarchie estranee al suo corpo.
Non fare così, tesoro, penso e non dico, non arrabbiarti, lo sai, te lo diceva anche il dottore, non devi farti del male, non è colpa tua se mamma è morta, non punirti.
Mamma era bella, papino, e tu l’hai seppellita, fate così, tutti, sempre, gorgoglia al fetore di mughetto e muffe infinite, dite che la bellezza non è tutto, però avete paura della nostra trasformazione e ci celate nella terra.
Fa un passo verso me, le labbra che mi cercano, la sua morte già troppo vicina.
Io e mamma valiamo più del bacio dei vermi, papà.
Lo so, vorrei piangere, lo so, e, mentre la mia bimba sfiora il pallore della mia bocca, ghiacciandola all’istante, sento altri passi umidi alle mie spalle.
Passi riconosciuti, conosciuti, passi amati.
Ora, mi dico, il cuore pieno di ferite, devo convincermi, davvero la bellezza non è importante; la mia famiglia è di nuovo unita, ecco cosa devo dirmi, in fretta, prima di rifiutarmi di diventare come loro.
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