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"Quando piove"; Edizione Montag; ilmiolibro.it (librerie e store on-line)



"Quando piove"
Giovanni Sicuranza

Dalla scrivania illuminata da tratti di lampi, l'immagine fotografata del mio cane che mi fissa con aria interrogativa da quasi venti anni. 
I nostri occhi che si ritrovano, oltre la morte. 
Chissà perché proprio stasera mi è uscita la frase con l'inserviente, gli chiedo di rimando, tu lo sai Blues?
Blues non lo sa o forse non gli interessa il mio dilemma esistenziale, immerso in un immutabile paesaggio di verde collinare, anche se da tempo i suoi resti mortali concimano una terra ormai dimenticata.
Mi sdraio sul letto, con il mio pigiama a strisce verticali come la caricatura della divisa di un carcerato e, mentre mi muovo, mi accorgo che questa volta l'aumento dell'umidità non ha risvegliato il dolore delle articolazioni.
Buonanotte Blues, mormoro, anche se so che per me non lo sarà, e mi giro sul fianco verso la finestra ad osservare il colore freddo dei fulmini, che esplodono ancora decisi intorno alla Villa.
***
E invece mi sono addormentato quasi subito, una parte di me lo capisce bene mentre corro nel freddo, lungo un grigio che non capisco.
Marmo sopra la mia testa, marmo ai miei lati – faccia mediale e laterale, dottore – marmo che calpesto con passi veloci e incerti.
Non ho fiato, ma corro, non ho battito, ma sento il sangue pulsare prepotente nelle arterie.
Se potessi provare paura, sarei terrorizzato nel realizzare che sono un morto che corre. 
Che corre nel corridoio di un cimitero.
Marmo intorno a me. E lapidi.
Ma cavolo, questo è un sogno, vero Blues?
Niente Blues, niente suono a parte il ritmico pulsare del sangue nelle arterie, viscoso e arrugginito, diverso dal battito cardiaco.
Corro, ma il marmo non finisce e nell’oscurità intravedo il profilo delle lapidi e istantanee di defunti.
Dovrei fermarmi, non ha mica senso questa corsa che non porta a nulla, ma ecco l’imprevisto. Tutto sommato si tratta proprio di un incubo e alle mie spalle qualcuno-qualcosa mi respira addosso, in attesa di prendermi con se. 
E corro e non mi volto. 
Ho paura e la pulsazione vischiosa nelle mie arterie ha un singulto e gorgoglia sorpresa. Corro e corro capendo che la distanza tra me e quel qualcuno-qualcosa non aumenta e non diminuisce, che se solo esito un istante ora posso anche già essere un morto che cammina, ma preso dal mio inseguitore sarò carne da macello e basta, corro fino a quando inciampo nel nulla, nella piena tradizione di un film horror o nel peggiore dei finali di un incubo, e cado al suolo senza avvertire dolore, ma solo uno splash secco sul marmo e una mano-un artiglio prontamente mi afferra una spalla. 
Chiudi gli occhi, mi intima veloce la paura, ma ai piani bassi nessuno risponde al comando e invece mi giro consapevole per un istante che il suono vischioso del mio sangue è sparito. 
L’assalitore è chino sopra di me, ma non fa altro che lasciare la mano sulla mia spalla e guardarmi. Immobile. Socchiudo gli occhi per metterlo a fuoco nella oscurità ed ora sì, sento il galoppo del mio cuore impegnato in una corsa ad ostacoli. 
Sono di nuovo vivo? Io forse sì, ma temo non chi mi è davanti.
"Santino" 
"Buonanotte Edoardo", esordisce il mio inseguitore con un piccolo cenno del capo. La voce è sussurrata e cavernosa, ma riconosco bene l’accento toscano che ha accompagnato per due anni le nostre conversazioni intorno ai tavoli della Villa.
"Santino" 
"E fin qui lo avevamo capito", ma sta sorridendo? 
Senza rendermene davvero conto devo essere indietreggiato con le mani e i piedi sul marmo. 
Lui esita un attimo, poi lascia la presa sulla mia spalla e si osserva la mano come se non la riconoscesse.
"Scusa, sai, ma sei tu che hai cominciato a correre, io volevo solo salutarti", gira la mano all’altezza dei suoi occhi, prima in un senso, poi in un altro e infine la lascia cadere nell’unico modo in cui immagino possa fare, a peso morto 
"Morto, ecco, ma non sono mica ancora abituato; a volte facciamo fatica a capire e solo la carne che diventa putrida ricorda che non possiamo presentarci a voi. Scusa Edoardo, non volevo spaventarti".
Incredibile, ora mi sento in colpa e quasi mi vergogno della mia corsa. Non riesco a parlare, ma mi avvicino un istante a lui e nella penombra ho l’impressione di carne che si muove sul suo volto, come onde grigiastre sulla superficie di un mare di morte. 
Poi realizzo, mentre Santino lentamente si alza in piedi. Larve, insetti, vermi che esplorano e si nutrono di lui.
"Vedi, tutte le notti ci troviamo un po’ più in là e in altri angoli del cimitero. Non è male nemmeno questa nuova brigata, via! Certo, sono qui da … da …", si passa la mano tra i capelli e quando la ritrae stringe una piccola forma allungata che si muove frenetica. Lui la rimette tra i capelli senza degnarla di uno sguardo. 
Si può vomitare in un incubo, vero? 
"Da quando sono morto, Edoardo?"
"Da … Santino …"
"Ma che piattola, a domanda rispondi … Ricordi il nostro gioco, quello della nostra brigata?", fa lui con un tono allegro che chissà perché aumenta il battito del mio cuore, "A domanda rispondi e via con argomenti provocanti, risposte irriverenti e precise a domande secche!"
"Da una settimana", lo informo solerte e il resto mi esce senza pensarci "Ma io ti ho visto anche questa sera"
Sembra esitare un istante, sembra quasi che mentre esita la sua immagine diventi un po' sfuocata. Gira velocemente la testa alle sue spalle ed io cerco di seguire il suo sguardo, ma c’è solo oscurità nera davanti a me. Si china ancora su di me, accovacciandosi, ma per fortuna almeno questa volta non mi tocca. Per evitare di metterlo a fuoco, alzo lo sguardo dove in teoria dovrebbe esserci il soffitto e lui forse si rende conto che il mio disagio è indeciso se diventare terrore o panico, perché di nuovo si alza. 
"Il marmo è freddo, il marmo è grigio, il marmo è ovunque", mormora "E allora non sempre rimaniamo qui", le sue parole cadono pesanti sulla mia testa. 
Un brivido lungo la schiena, sì, mi sa proprio che ora sono vivo. Io. 
Lui mi volta le spalle e alza il tono della voce "Ma tu sai bene, vero Edoardo, sai bene che noi morti è meglio vederci solo in un modo. Lo sai, no?"
È un rimprovero. O sono io che lo percepisco così? 
In effetti scuote la testa come deluso dal mio silenzio ed è allora, in questo gesto, che lo vedo sfumare all'interno di una lapide, un cenno del capo fuori, nell’aria cimiteriale, un altro dentro il marmo della tomba. 
D'accordo, è solo un incubo, mi ricorda una voce tremula in un angolo della testa. Sarà, ma è troppo, risponde il resto dei neuroni in coro. 
E urlo.
***
- No! 
Chiude gli occhi anche se sa che non dovrebbe farlo. Vorrebbe anche mordersi le labbra, ma questo proprio si vieta di farlo. Troppi segni che mostrerebbero la sua debolezza. E dall'oscurità sente il tonfo secco di un pugno battuto sulla scrivania. 
Segnale di pericolo, apertura degli occhi, pronta alla reazione. 
- No! - le ripete l'uomo dall'altra parte della scrivania, mentre la sua pancia smisurata ha un sussulto scoordinato, che a lei sembra un accenno di danza. 
E' solo la tua ansia, pensa lei veloce veloce, non c'è pericolo, è solo la tua ansia.
L'uomo ha di nuovo il pugno a mezz'aria, il grande ovale della sua pancia fermo come in attesa del prossimo colpo sulla scrivania. Invece il pugno diventa mano e plana sulla scrivania, mentre il resto del corpo si affloscia, grasso, sulla sedia.

[...]

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