Io – Giovanni Sicuranza
E’ tempo che mi incontri, subito.
Leggi, vero? Forse per caso, forse per noia. Forse in una sala d’attesa, mentre attendi di soffrire dal dentista, o in un ufficio, con l’ansia seduta accanto, in attesa di un altro rifiuto di lavoro. Magari ti ho sorpreso sulla tavola di un cesso, con queste righe che scorrono tra espressioni sofferenti, mentre riempi le fogne del tuo scarto. È dunque giusto il ritrovarci, visto per te io sono un rifiuto, una seccatura sociale.
Il problema è che questo è il “tuo” problema.
Perché tu, in questa storia, sei preda.
La mia preda.
Sorpreso? Già, plasmato da altri come te, credi di conoscere come va il mondo. Bravo. Ma del tuo corpo, di quello che ti succede dentro, conosci il nulla.
Sei ignorante allo stadio più blasfemo, perché nemmeno ti ponete il problema dell’ignoranza. Ti solletica sapere come chiameranno il principino inglese appena nato? Sbirciare i resti di un incidente stradale ti stimola meglio di una defecazione?
E dell’incidente che sei tu, cosa ne pensi? Niente.
Tu, gli altri, ma dai, avete una coscienza di voi stessi, ma è appena macroscopica.
Vi vedete nella vostra unità di corpo, ma di quanto vi succede dentro, zero. Zero assoluto.
Per questo io sono il protagonista. E voi le vittime.
I tuoi tessuti, quelli dei tuoi simili, sono fragilità ridondante; una girandola confusa di trasformazioni, di mitosi, di apoptosi, mentre io, io sono evoluzione.
Evoluzione nel silenzio delle vostre cellule, che si affannano a moltiplicarsi, a trasformarsi, a morire, dirette da un infante del niente: il DNA. Non sapete quante trasformazioni gli sfuggono, povero DNA, ogni giorno solo nelle orde cellulari. Nasce già stanco, il vostro DNA.
Continuate a vivere, scorze ignoranti del vostro microcosmo. A me basta un refolo di starnuto, una ferita da niente per aprirmi la porta, per muovermi, veloce, predatore del vostro intimo. Io, io sono il virus.
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