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Democrazia della morte


Democrazia della morte - Salmo IV
Giovanni Sicuranza 

Le pagine crepitano come ferite di foglie d'autunno lungo la rabbia dell'uomo; le dita hanno preso i bordi, scavano nella carta, deformano il giornale in un'unica, grassa, palla grigia, macchiata dal sangue nero, rappreso, delle parole stampate.
L'uomo sbuffa, la moglie lo vede, poi guarda il residuo di giornale tra le sue mani e capisce che non è nervoso per l'afa, per l’aria immobile, morta, che porta nella cucina mosche e silenzi. Sa che è meglio attendere un istante prima di servire lo stufato di carne, solo un istante, quanto basterà al marito per deglutire la delusione. 

- Questi idioti della stampa estera, tutti uguali, a criticarci, no, peggio, ad accusarci - soffia lui; una mosca, infastidita, si posa su un altro frammento di pane nero - Cosa c'è di male, dico, se li gettiamo tutti nelle fosse comuni, anzi, in nome di Dio, dovrebbero apprezzare il nostro segno di rispetto verso i cadaveri. Dimmi, moglie, le fosse comuni non sono forse l’ultima, la più alta manifestazione della civiltà? Giornalisti ignoranti, pregiudizievoli, insomma, le fosse comuni sono la massima forma di democrazia con cui livelliamo la morte dei diversi. 
Moglie riconosce il momento di sorridere e servire il piatto, taciturna come arida terra, precisa come un'esecuzione; lui affonda i baffi di Ministro nel sugo, sillaba imprecazioni tra boli di stufato; lei osserva, osserva e assorbe lo sdegno del suo uomo, l'autore del grandioso slogan "un disabile in meno, una ricchezza in più per lo Stato"; nell'attesa che il marito consumi la carne dei deboli, annuisce alle ombre della cucina sudata.

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