I cassetti della memoria - Giovanni Sicuranza
Nelle pupille, il riflesso del lampadario appeso al soffitto. E il tremulo profilo di una finestra illuminata.
E’ notte, perché lei lavora solo di notte, e lo fa proprio davanti al suo palazzo, incurante delle proteste dei coinquilini, che si gonfiano come pus traboccante indignazione. Eppure lei non si muove, ve lo garantisco.
Che siate uomo o donna, vi darà il piacere che cercate, e lo farà bene; lo farà senza frenesie lanciate sulle lancette dei minuti, vi porterà ad esplodere come nemmeno nei vostri momenti più intimi e solitari riuscite a fare, anche questo vi garantisco.
Ma non chiedetele di allontanarsi dal suo palazzo, dalla finestra illuminata della sua camera da letto, perché la perdereste. Subito e per sempre.
Lei è bella, sa rendervi animali primordiali o fragilità da coccolare, ma impone i cespugli neri del giardino accanto, mai si spinge oltre. E ogni volta, prima di appartarsi, lancia un’occhiata alla sua finestra, così intensa che tra il verde del suo sguardo si dilata la luce del lampadario. Quando ha finito, quando voi giacete implosi nei sensi più profondi, lei scappa. A volte è stato tanto impellente il desiderio di controllare la casa, da dimenticarsi di farsi pagare. Per questo ora chiede sempre in anticipo. Mettete pure mano al portafoglio, offritele quanto merita, e quel portafoglio sarà sempre troppo piccolo, però non meravigliatevi se sarà svanita dopo l’appagamento del desiderio, anzi, non provate nemmeno a cercarla intorno. Lei è già nel suo appartamento. Non per mettere al sicuro i soldi, non per lavarsi. No. Se credete questo, allora non avete capito niente e io non so cosa ci sto a fare qui, seduto all’osteria con un branco di sbavatori impotenti, invece di tornarmene all’edicola.
La mia edicola, ecco, ve l’ho detto, lì la vedo quando torna il sole, con un viso da ragazzina confusa, senza traccia di trucco o di carezze lascive. A voi, incompleti, offre il corpo nudo, a me il volto privo di maschera.
Ogni volta ritrovo la stessa espressione con cui mi apparve il giorno del terremoto.
***
La smorfia è il riflesso della donna davanti allo specchio nella stanza da letto.
La luce è tornata, il lampadario è di nuovo accesso, e già questo è un bene.
Pochi minuti prima ha sentito la sua casa sussultare, gemere, mentre il buio si mangiava rapidamente la luce. Poi, improvviso come ha tremato, il pavimento si è fermato, esausto, e la luce è tornata in un gioco mutevole di penombre, il lampadario che ancora ondeggia piano, come una falena infastidita e indecisa se volare via o restare.
Intorno, tutto è restato senza danni. La gente fuori dalla casa, da ogni casa, ripete in coro “il terremoto il terremoto”. Solo lei, ferma, stupita, scruta nello specchio alla ricerca di ferite, osservando ogni lembo visibile della testa, passando e ripassando le dita tra i capelli, sulla nuca, dietro le orecchie, dentro le orecchie. E mentre scopre di non avere subito traumi, la sua paura, invece di scemare, aumenta.
La testa è a posto, signora, pensa, mentre con i denti serra il labbro inferiore, fino a farsi male, magari per convincersi che, ecco, in fondo una lesione ci deve pure essere. Una ferita che spieghi questo smarrimento.
Torna verso l’armadio, le ante aperte sui profili dei vestiti, che il lampadario, nel suo moto lento, distratto, ora rende colorati, ora completamente neri. Prima di chinarsi ancora una volta sui cassetti, lo sguardo sale sul soffitto e incontro gli occhi multipli delle lampadine. Sei luci, tutte accese. Di nuovo. La sua unica consolazione dopo il buio del terremoto. E dell’animo.
Un sospiro, il labbro che finalmente si libera dalla morsa dei denti e pulsa. Lei non se ne cura, riprende l’aria stantia della camera con una profonda inspirazione, quindi si tuffa velocemente in basso, verso i cassetti. E tira.
- No – geme – no – il corpo che avvizzisce sul pavimento.
- Per favore – le prime lacrime cadono sul pomello del cassetto più in alto – Per favore.
Si impone un altro sforzo, anche se ha perso la speranza. E i cassetti, tutti i cassetti dell’armadio, rimangono chiusi.
La donna rimane stesa sul pavimento, ubriaca di smarrimento. Come se fosse un’intuizione ascoltata da lontano, intuisce che la scossa di terremoto ha bloccato lo scorrimento dei cassetti. E ha lasciato dentro il suo nome, il suo passato, lontano e recente.
Lei è una donna che si ritrova in un corpo sconosciuto, in un corpo sconosciuto, in un mondo sconosciuto. È come se fosse nata pochi minuti fa in un corpo di adulta.
L’alba del giorno dopo finalmente si solleva dal ghiaccio del pavimento. Piano, cerca sul letto i vestiti usati e ora nuovi allo sguardo. Ogni suo movimento è un fruscio discreto e senza personalità. Gesti istintivi, conosciuti, eppure da scoprire.
Il lampadario ora è fermo, ancora acceso. Fa per schiacciare l’interruttore, ma subito ritrae la mano. La luce è stata la sua unica compagna. In questa notta lunga, buia, il lampadario non l’ha tradita.
Prima di uscire, guarda ancora i cassetti.
Non si rende conto che i denti stringono di nuovo il labbro, adesso più forte, in una presa che può avere solo chi è spaventato.
C’è una scritta, che corre dal basso verso l’alto a coprire ogni cassetto. Una scritta viola, fatta con un pennarello indelebile.
Non rammenta come, ma sa ancora leggere. Non sa in che modo, ma riconosce la propria calligrafia.
Con un gesto distratto del polso, asciuga le lacrime che tornano e che, d’ora in poi, saranno il vero trucco di ogni giorno, quindi ondeggia verso l’uscita, mentre la luce del lampadario incontra quella dei primi raggi di sole. Dapprima sul pavimento, poi lungo l’armadio.
E la scritta viola splende come un richiamo: “I cassetti della memoria”.
***
La donna si muove con passo sicuro, ma dentro è uno sfaldarsi sanguinante di pensieri. Ha visto l’edicola di fronte, ha scorto nella sua stanza due riviste di moda e costume, per cui immagina che l’uomo che scorge dentro il gazebo debba conoscerla.
Anzi, è sicuramente così, perché ora le sta sorridendo.
È un bel sorriso, aperto, tanto da spingerla avanti, ma non sufficiente a fidarsi del tutto. Non vuole svelare di avere perso i ricordi, intrappolati nei cassetti dell’armadio.
Eppure l’edicolante sa chi è, conversando potrà chiamarla con il suo nome, riportare al presente brandelli di memoria e magari questi, a loro volta, potranno trascinare altri frammenti.
- Buongiorno, signora! – tuona l’uomo, una mano che spunta tra le colline di carta e si agita nel saluto.
Lei si ferma un attimo, stupita da tanto slancio, investita dalla voce forte e cavernosa di lui. E delusa.
Solo “buongiorno signora”? Niente nome, nessun cognome?
Poi si rende conto che sta mostrando questi pensieri, perché il sorriso dell’uomo si fa incerto e si affloscia, come la mano.
- Posso esserle utile?
La donna chiama a raccolta i muscoli del volto e li impegna in una scultura di serenità.
- Sì, certo. Buongiorno a lei – si avvicina alle riviste, le scorre con la stessa velocità con cui il cuore inizia a correre, ma nessuna di quelle copertine, nessun titolo le è familiare. Allora alza gli occhi sull’edicolante e nota che ha ricominciato a sorriderle.
- Mi dia la solita rivista – tenta.
L’uomo innalza le sopracciglia, abbassa di nuovo le labbra, poi si stringe nelle spalle.
- E’ sempre quella di ieri – sussurra in tono mortificato, come se fosse responsabile della notizia.
- Ah – lei lo guarda meglio, cercando di capire se il volto paffuto e ispido di barba grigia le suggerisce qualcosa – Beh, sa, con quello che è successo ieri, sono ancora un po’ sconvolta.
- Una brutta scossa, vero? Il signor Mnesico mi ha raccontato tutto – aggiunge come se il signor Mnesico fosse una loro vecchia conoscenza.
Lei annuisce, in un ennesimo strappo del respiro. Probabilmente è così. Forse Mnesico è il suo vicino, oppure … Forse suo marito? Lo sguardo corre all’anulare della mano sinistra e, quando lo scopre privo di anelli, non capisce se il cuore le sta esplodendo per la gioia o la delusione.
- Si figuri che io non ho sentito nulla – continua intanto l’edicolante, mentre si gira di lato e prende una rivista – Dormo poco, ma quando mi ci metto – si ferma, le mani che scompaiono nel buio del gazebo, la testa che ondeggia da un lato all’alto, in un segno di disapprovazione – Accidenti, potevo rimanere sotto le macerie e nemmeno me ne accorgevo.
Poi ritrova il sorriso e porge alla donna una rivista.
- Ecco a lei, signora.
Lei fa per prenderla, ancora delusa dal modo formale di rivolgerle la parola, ma l’uomo si blocca a un soffio dalle sue dita.
- Cosa c’è? – mormora lei, deglutendo.
Gli occhi di lui sono fessure socchiuse attraverso le quali l’uomo la osserva con insistenza, silenzioso, immobile.
Chissà cosa vede, si chiede lei, e per fuggire abbassa lo sguardo sulla rivista. Sulla copertina una donna in bianco e nero la fissa a sua volta, il viso pesantemente truccato, il corpo che si lascia immaginare del tutto nudo sotto l’accappatoio.
“LQ” è il titolo della rivista. Ma è il sottotitolo ad aprire una nuova voragine nella mente: “I ricordi del nostro desiderio”.
Lei non sa cosa significa, eppure è più che sufficiente per darle una sensazione di vertigine. Chiude gli occhi, si afferra alla rivista che l’uomo tiene salda dall’altra parte, cerca aria, poi torna alla realtà e la realtà è l’edicolante proteso verso lei, le labbra che si muovono.
- Come? -
- Le ho chiesto se sta bene. Le chiamo qualcuno?
Chi, urla la sua mente, dammi un nome, accidenti, chi potrebbe soccorrermi?
- Va meglio, grazie – la donna cerca un sorriso tra il nero dei ricordi e, quando lo trova, lo dedica all’uomo.
Lui non smette di scrutarla, evidentemente poco ammaliato dalla sua espressione.
- Sicura? Non ha bisogno di nulla?
No, inizia lei con la testa, poi si ferma.
- Sa chi posso chiamare per riparare i cassetti dell’armadio? Si sono bloccati.
Una frase che vale più di ogni spasmo facciale, perché l’uomo riacquista un’aria tranquilla.
- Il terremoto, eh?
- Già. Allora, conosce qualcuno?
L’uomo allarga il sorriso.
- Lei mi prende in giro.
- In che senso, scusi? – balbetta la donna, temendo di svelare l’amnesia.
- Si rivolge sempre a me, per ogni lavoro – aggiunge lui, le braccia che si aprono in un abbraccio sulla via – Tutti chiamate me. Se si rompe una tapparella, se la televisione salta – poi si sporge verso la donna – Quando vuole che venga su? – e chiude un occhio.
Lei si ritrae, stupita.
- Quando? – ripete, confusa.
- Quando – echeggia l’uomo, gli occhi che sono nere fessure che tentano di penetrarla.
Aprirà i miei cassetti, aprirà me, intuisce la donna, improvvisamente spaventata. Sbloccherà i cassetti della memoria e vedrà cosa c’è dentro.
L’uomo ha ricominciato a sorriderle e ora lei nota che gli angoli delle labbra hanno un luccichio.
Sta sbavando, povera me, ma chi è quest’uomo?
Fa un passo indietro, le mani che lasciano andare la rivista.
- Grazie, la chiamerò appena posso.
Lui annuisce, poi le alza davanti al viso la rivista.
- E questa? – tuona con il vocione.
La donna seminuda in copertina la guarda in bianco e nero.
“I ricordi del nostro desiderio”.
Lei fa un altro passo indietro. La foto rimane sollevata a fissarla.
- Ho deciso, scusi – farfuglia - Prima cerco in casa, chissà, se non la trovo, ecco …
“I ricordi del nostro desiderio”, continua a dirle quella donna, quella donna in un bianco e nero così sicuro di sé.
Lei si volta e affretta il passo verso la casa, gli occhi pieni della luce accesa del lampadario della stanza, eccessiva per un giorno di sole, e una sola frase che le riempie l’esistenza, fino a diventare un mantra.
“I ricordi del nostro desiderio”.
Nei giorni successivi, mentre cercherà inutilmente di forzare i cassetti, queste parole daranno l’idea per tentare di ritrovarsi.
***
Così ora dona piacere a chi la paga, e attraverso il desiderio degli altri cerca il suo.
Non sa ancora nulla di se stessa, ma credo che questa nuova vita non la abbandonerà mai.
E voi, stolti, avete poco da ridere. Offritemi ancora birra, ora che conoscete la storia della più bella e appagante donna della nostra città. Lo avevate promesso, no? Una favola? Tu credi, ragazzo? Dimmi, sei mai stato con una donna? Sei giovane, non credo. Oh, scusa. Certo, sono freschi i tuoi ricordi, sicuramente lei ti riserverà un trattamento di favore.
Sapete, si è convinta che il desiderio, quando ben appagato, sveli l’aspetto più vero di ognuno di noi. Per questo lo offre e lo cerca. Perché crede che, prima o poi, il desiderio trascinerà i ricordi e sbloccherà i cassetti.
Cosa? Come faccio a sapere queste cose?
Un’altra birra e ve lo dico, accidenti a voi, più pettegole della mia signora.
Quella sera ero nella sua stanza da letto. No, non ridete, stupidi, banali. Era tardi, ma spesso facevo lavori di riparazione la sera, chiusa l’edicola. E non ho mai toccato né lei, né nessun’altra signora. Non sono mica un bavoso come voi, canaglie!
Ho cercato di non esserlo nemmeno allora.
Datemi quel boccale, forza.
Mi aveva chiamato per sostituirle le lampadine sul soffitto. Quando iniziarono le scosse, quando la luce si spense, lei mi cercò, credo solo per rassicurarsi. Solo che mi toccò, si strinse a me. Mi toccò, appunto. Insomma, io sono onesto, fedele, ma non di legno. Così, per non andare oltre, mentre il suo corpo caldo si stringeva al mio, mi spinsi indietro. E inciampai nel tappeto. Cademmo insieme, abbracciati. Io finii con il culo sull’armadio, sentii un rumore di legno che si spezza e per un attimo temetti di essermi rotto l’osso del bacino, o come cavolo si chiama.
Solo dopo mi resi conto che i cassetti avevano ceduto sotto il mio peso.
Lei sembrava svenuta, accidenti. Potete immaginare la mia paura, credo, anche se siete gretti. Però non le diedi soccorso, anzi, fuggii subito, a gambe levate. Credo che se sul pianerottolo mi avesse incontrato un vicino, non mi avrebbe riconosciuto, tanto dovevo sembrare fuori di me. E di ogni essere umano.
Ecco, bravi, finalmente fate silenzio e mi ascoltate davvero.
Sentite questa, allora.
Ci misi poco prima di capire che era meglio tornare nel suo appartamento per rimettere tutto in ordine. Anzi, per bloccare tutto, e alla svelta, anticipare il suo risveglio, svanire e poi essere l'edicolante di fiducia, ancora, per non insospettirla.
Per non farle capire che uno di quei cassetti era uscito dal ripiano e aveva versato il contenuto sul pavimento.
Adesso, però, basta, vi ho già detto troppo, non insistete. Cosa volete ancora da me?
Li leggete i giornali, no? Ricordate la storia di quell’assassino seriale, che ha sgozzato uomini e donne, corpi mutilati di capelli e di unghie e di peli. Insomma, l'assassino mai svelato. Quello che ha smesso di colpire dalla notte del terremoto, all'improvviso, come memoria dissolta.
[immagine: "La ciudad de los cajones", S. Dalì; 1936]
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