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"Ritorno a Città di Solitudine". Estratto dalla postfazione.

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Fine Viaggio non poteva finire con “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” per almeno tre motivi.

Intanto perché, come saprà chi ha letto il primo volume, il paese è una contraddizione continua.
E dove sembra terminare qualcosa, altro comincia.

Il libro precedente è indipendente da “Ritorno a Città di Solitudine” (quindi non si spaventi chi ha speso soldi per questo, considerato che i due libri si possono leggere senza doverli necessariamente rincorrere; tuttavia, se non l’avete ancora fatto, soprattutto a nome del mio portafoglio, consiglio di procurarvi la prima raccolta e cominciare da quella).

Insomma, e scusate il gioco di parole, Fine Viaggio non poteva essere un viaggio finito. Questione di puro “spirito” contraddittorio.

E del secondo motivo per cui c’è stato un seguito.

Alcuni personaggi continuavano a mostrarsi tra le pagine dei miei racconti, anche mentre pensavo ad altre storie. E allora ho capito che, se non li collocavo al più presto nel loro luogo d’origine, il mio sarebbe stato un mondo di nebbia.

Il terzo motivo è quello per cui, in realtà, vi ritrovate questo volume tra le mani.

Affascinato dal tema della morte, non solo per ragioni professionali, ma anche (soprattutto) dal punto di vista antropologico e sociale, mi sono imbattuto negli anni in una serie di saggi. In ordine sparso:

1) “Storia della morte in Occidente” di Philippe Ariés; Biblioteca Universale Rizzoli;

2) “La nera Signora – Antropologia della morte” di Alfonso M. di Nola; Newton Compton Editori;

3) “La Morte trionfata – Antropologia del lutto” di Alfonso M. di Nola; Newton Compton Editori;

4) “Dialoghi con i bambini sulla morte” di Daniel Oppenheim; Erickson Editore;

5) “Come l’uomo inventò la morte” di Timothy Taylor; Newton Compton Editori.

L’ultima, recente, lettura che ho assorbito sul tema è:

Ripartire dagli addii. Uno studio sulla fotografia post-mortem” di Mirko Orlando; MJM Editore.

Già dalla fine del primo volume, i racconti risentono del fenomeno della fotografia post-mortem, che, qui, senza essere assoluto, esplode (non l’avevate capito, vero?).

Ma, tanto per tediarvi un po’, e per fare comprendere ai più curiosi i meccanismi dietro il potente simbolismo della fotografia post-mortem, del fenomeno morte in generale, e persino del volume che avete appena letto (a meno che non facciate parte di quelli che iniziano dalla fine), vi lascio riportando alcuni miei articoli.

Già durante la stesura della parte finale del primo volume di Città di Solitudine, e poi dopo, ho scritto sull’argomento (vd. il mio blog “Neurotopia”).

Articoli ispirati ai saggi sopra citati.

Ovviamente, se siete interessati all’argomento, non posso che consigliarvi di leggerli (i libri, non i miei articoli).

Credo che comprendere le basi antropologiche e sociali del fenomeno morte insegni molto sulla nostra vita, individuale e sociale.

Ma già gli articoli, messi insieme, occupano molte pagine, per cui mi fermo qui.

Ora, prego, guardate verso l’obiettivo.

E non sorridete.




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