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breve storia di vestiti e dintorni

Si sente pesante.

Non perché sia grassa, o fiacca.

È il vestito che le hanno cucito addosso da tanti anni che proprio non le va più giù.

Sa bene che se avesse uno specchio vedrebbe colori sgargianti disegnarle i fianchi, sa bene che non fanno altro che ripeterle che il costume non va cambiato, perché è una questione di tradizioni, di cultura,  e di bla bla.

La verità è che il tessuto di questo vestito è rigido, logoro. Vecchio.

E sinceramente non crede che rinnovare i colori basti a dargli vitalità.

Tante volte avrebbe voluto sbuffare, fare sentire la sua voce, ma si è sempre trattenuta, pensando ai danni che avrebbe causato. Catastrofi, a cui sarebbe seguite promesse di rinnovo, di interventi mirati, nuovi colori, insomma, che però non avrebbero spinto nessuno a cambiare il tessuto del suo vestito decisamente fuori moda. Pesante.

Però adesso non ne può più. Adesso ha deciso.

Coloro che hanno la capacità di cambiarle d’abito non fanno altro che esibirsi in teatrini di retorica, nell’esercizio crescente di vuote parole di promesse e di ottimismo. Ma il suo vestito le rimane cucito addosso, così immobile che a volte le sembra morto.

Il problema è che se non viene mai cambiato, ma al più rivestito da altri colori, la colpa è sempre degli altri. E gli altri conoscono altrettante vuote parole per spiegare che la colpa non è loro, che loro vorrebbero, prometterebbero, farebbero, ma gli attuali responsabili rovinano tutto.

Sì, ora è davvero stanca.

Deve decidersi, farlo subito prima di ripensarci, senza più preoccuparsi delle conseguenza sulla gente.

Nessuno è privo di responsabilità quando sceglie il silenzio rassegnato invece di urlare, scrivere, fare, soprattutto fare, perché si inizi a cambiare il suo vestito soffocante.

Nessuno.

Ecco, si è stancata di sentire dichiarazioni quotidiane, tronfie e immobili, blaterate nelle stanze dove invece si trovano gli strumenti per crearle un nuovo abito; si è stancata dei silenzi della gente che brontola quel che dovuto in sua difesa e poi la dimentica, rapita e stupita dai programmi crescenti e spettacolosi dei quiz e dei reality show.

Mi suicido, pensa, e immediatamente dopo, nel timore di un ripensamento, cerca di affogare nel mare che la lambisce.

Ma ha fatto male i conti, perché quel mare è già saturo dei residui del suo stesso vecchio vestito. Così, invece di sommergersi del tutto come vorrebbe, l’inquinamento la trattiene a galla, tanto che riesce a procurarsi solo qualche frattura tra radi angoli di onde verdi e blu.

La sera stessa è un’esplosione di notizie straordinarie, alla televisione e sui quotidiani.

L’Italia è stata attraversata da scosse di terremoto un po’ dovunque, alcune così forti da avere causato il distacco della terraferma con la formazione di due nuove piccole isole.

Nelle settimane a venire politici ed espertologi vari ed eventuali si agitano tra opinioni, soluzioni, ricerca di responsabilità (sempre altrui). Poi, seppelliti i morti con funerali di Stato, indette false gare d’appalto per la ricostruzione, tutto sfuma.

Intanto, la televisione annuncia la nascita di un nuovo reality show sulle isole neonate. Applausi e soddisfazione somma dei devoti spettatori.

Oggi il vestito è ancora quello di sempre, ma l’Italia tace e non si muove più, sconfitta e depressa.

Soprattutto da quando ha saputo i nomi dati alle sue due nuove isole: Promontorio delle Libertà e Baia del Bel Giocoso.

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