La demenza: nebulosa o entità clnicamente definita?
Il termine “demenza” è stato introdotto in ambito medico nel 20 d.c. da Aulo Cornelio Celso, nel “De medicina”. Il termine indicava, in modo generico, le condizioni di alterazione dell’intelligenza e del comportamento. Fino al XVIII° secolo, comunque, l’uso del termine rimase ristretto all’ambito sociale. Nel 1838 Esquirol identificò con il termine demenza un quadro clinico caratterizzato da perdita della memoria, della capacità di giudizio e dell’attenzione. Per molto tempo, comunque, in ambito psichiatrico non venne effettuata alcuna distinzione fra disturbi su base organica o funzionale, cosicché il termine assunse un significato ampio e generico, sia nell’accezione popolare che in quella medica. Nel 1906 Alois Alzheimer, e nel 1909, con maggiori dettagli, G. Perusini, descrissero il quadro clinico-patologico di una donna di 51 anni che aveva sviluppato un progressivo decadimento cognitivo con allucinazioni e incompetenza sociale. All’esame autoptico vennero riscontrate atrofia cerebrale, placche senili e gomitoli neurofibrillari. L’eponimo “malattia di Alzheimer” fu comunque suggerito solo nel 1910 da Emil Krepelin nell’VIII° edizione dell’Handbook of Psychiatry per definire un particolare gruppo di demenze senili con le caratteristiche alterazioni neuropatologiche descritte da Alzheimer e Perusini; solo successivamente l’eponimo malattia di Alzheimer caratterizzò più in generale tutte le forme di demenza degenerativa primaria. La separazione nella nosografia psichiatrica della demenza dai difetti dello sviluppo intellettivo avvenne più tardi.
Fino alla seconda metà di questo secolo, tuttavia, l’interesse per gli aspetti diagnostici e clinici è restato piuttosto scarso e la demenza è stata considerata sia la via finale comune di svariate condizioni, che un processo inevitabile legato alla senescenza. La maggiore disponibilità di tecniche di studio del funzionamento del sistema nervoso centrale, in vivo e in modelli sperimentali, una più chiara conoscenza dei processi neuropsicologici ed una maggiore disponibilità di strumenti di analisi psicometrica e psicologica, l’avanzamento delle tecniche e conoscenze neuropatologiche hanno portato, a partire dagli anni 60, ad una maggiore caratterizzazione clinica delle demenze ed alla loro distinzione sia dalle psicosi in generale che dalle modificazioni delle funzioni cognitive riscontrabili con l’invecchiamento.
L’introduzione di criteri clinici definiti (tra i primi il DSM-III-R nel 1987 ed i criteri dell’NINCDS-ADRDA per la malattia di Alzheimer nel 1984) ha rappresentato un ulteriore avanzamento nella caratterizzazione clinica della demenza, permettendo una più chiara e riproducibile differenziazione dalle altre condizioni patologiche nelle quali è possibile riscontrare un decadimento cognitivo (tabella 1).
Attualmente la demenza è definita come una sindrome clinica caratterizzata da perdita delle funzioni cognitive, tra le quali invariabilmente la memoria, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative del paziente. Oltre ai sintomi cognitivi sono presenti sintomi non cognitivi, che riguardano la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione e la percezione, le funzioni vegetative, il comportamento. Il quadro clinico non implica una specifica causa; numerosi processi patologici, infatti, possono portare ad un quadro di demenza.
La diagnosi di demenza è il risultato di uno scrupoloso ed approfondito processo valutativo che porta alla esclusione delle altre possibili cause di decadimento cognitivo. Una diagnosi etiologica accurata è importante per riconoscere le forme reversibili o arrestabili ed è, anche nelle forme irreversibili, la premessa necessaria all’impostazione della terapia farmacologica e dei trattamenti riabilitativi, alla definizione della prognosi, alla pianificazione degli interventi socio-assistenziali. Inoltre, poiché l'impatto della demenza sulla famiglia del paziente è rilevante, una accurata diagnosi permette di fornire al paziente stesso ed ai familiari informazioni più precise circa il decorso della malattia, gli atteggiamenti e le modalità di relazione più appropriate, i servizi disponibili, i problemi legali ed etici che si potranno porre lungo il decorso della malattia.
Solo in questo modo, cioè dopo un percorso diagnostico e valutativo accurato e la programmazione di interventi terapeutico-riabilitativi definiti la demenza perderà i caratteri di ”nebulosa” indistinta per assumere quelli di entità clinica che, pur nei limiti delle conoscenze attuali, possiede contorni e caratteristiche distintivi e condivisi.
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