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Da “Antologia di Spoon River”, di Edgar Lee Masters, a “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” di Giovanni Sicuranza. Novantacinque anni dopo.

Nell’inverno del 2005 sono rimasto ammaliato dall’opera che mi avrebbe ispirato per “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” (http://sicuranza.blogspot.com/2011/01/la-mia-narrativa-monografica-storie-da.html) e per “Ritorno a Città di Solitudine” (http://sicuranza.blogspot.com/2011/01/la-mia-narrativa-monografica-ritorno_20.html).

Il cimitero sulla collina di Fine Viaggio, la vita dei suoi defunti, narrata in racconti ad incastro, dapprima dal custode, e quindi dal Breccia, devono molto a un capolavoro di poesia: “Antologia di Spoon River”.

Si tratta di una raccolta che l’autore americano Edgar Lee Masters pubblicò nel 1915 e che subito ebbe un grande successo, con un ingrediente esplosivo: ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un piccolo paese di provincia. La raccolta riguarda le storie di ben duecentoquarantotto personaggi, ognuno diverso non solo nella morte, ma anche nella vita. Masters si proponeva infatti di descrivere la vita umana raccontando le vicende di un microcosmo, Spoon River, partendo dalle parole dei suoi defunti. Ognuno di loro narra intrighi e ipocrisie e tormenti di un'esistenza repressa nel conformismo. “Antologia di Spoon River”, e il seguito, “Il nuovo Spoon River”, pubblicato nove anni dopo, rappresentano una acuta presa di posizione contro l'America provinciale e puritana.

In Italia, il potere evocativo di “Antologia di Spoon River” è stato tradotto con grande lirismo dalla poetessa Fernanda Pivano e interpretato dal cantautore Fabrizio de Andrè. Con fascino e passione.

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