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Afasia e disabilità. Tra clinica, riabilitazione, medicina legale.

Premessa.

1. La patologia.

Il linguaggio è una capacità esclusiva della specie umana e circa 6000 sono le lingue attualmente parlate in ogni parte del mondo. Espressione del pensiero, il linguaggio è il più complesso sistema di comunicazione che assolve alla funzione della regolazione sociale ed alla elaborazione interna delle conoscenze.

Tra i disturbi del linguaggio, le afasie abbracciano una molteplicità di tipologie strettamente collegate ai vari livelli di competenza linguistica compromessi (fonetico, fonemico, semantico, lessicale, sintattico e pragmatico). Gli studi sull’afasia iniziano più di un secolo fa quando l’antropologo francese Pierre Paul Broca (1824-1880) utilizza il metodo anatomo-clinico per descrivere, da un lato, le caratteristiche del disturbo del comportamento e, dall’altro, le peculiarità della patologia che ha danneggiato il sistema nervoso di un suo paziente, passato alla cronaca con il nome di “Tan”, unico suono che riusciva a pronunciare, affetto da afasia poco prima della morte.

Ad una seduta della Società di Antropologia a Parigi, il giorno 21 aprile del 1861, considerato l’atto di nascita della neuropsicologia, P.P. Broca affermò che la tipologia di quel disturbo era causata dalla lesione localizzata nella parte posteriore della terza circonvoluzione frontale di sinistra, o area 44 di Brodmann, oggi chiamata area di Broca.

Nel 1874 il neurologo tedesco Carl Wernike (1848-1905), presentò un altro tipo di afasia, quella di un suo paziente affetto da una lesione nel lobo temporale, e precisamente nell’area 22 di Brodmann, denominata poi di Wernike. A differenza del paziente di Broca quello di Wernike non aveva difficoltà ad emettere suoni linguistici ma produceva un linguaggio incomprensibile. Secondo la teoria di Wernike esistevano tre tipi di afasia causati da lesioni in aree cerebrali distinte: l’afasia motoria, causata da una lesione nel lobo frontale con relativa compromissione della programmazione dei movimenti indispensabili per l’articolazione del linguaggio; l’afasia sensoriale, causata da una lesione dell’area del lobo temporale a danno della decodifica dei suoni verbali e della comprensione; l’afasia di conduzione, causata dalla lesione localizzata nel fascicolo arcuato, che connette le aree 22 e 44, responsabile della alterata transcodifica o meglio della ripetizione di quello che viene detto.

Negli anni successivi si intensificarono gli studi sulla fisiologia del sistema nervoso e venne attribuito all’emisfero sinistro un ruolo preponderante nelle funzioni linguistiche mentre quello destro risultò essere dominante per le funzioni extralinguistiche come lo spazio, i suoni, la musica, la prosodia, le emozioni, lo schema corporeo. L’afasia globale, che colpisce l’area del linguaggio nella sua interezza, costituisce purtroppo un quarto di tutti i casi di afasia. Il deficit, grave dal punto di vista funzionale, impedisce di esprimere i propri pensieri e di comprendere gli altri. Nella grande varietà di alterazioni, le afasie possono essere classificate in fluenti e non fluenti. Le prime, pur mantenendo la prosodia, hanno compromessa la comprensione, mentre le altre presentano turbe articolatorie, con sforzo all’inizio di ogni emissione verbale, disprosodia e comprensione relativamente conservata. Sono considerate afasie le parafasie fonetiche, quando le unità lessicali sono selezionate correttamente ma deformate da disturbi articolatori; le parafasie fonemiche, quando la deformazione della parola è dovuta ad una cattiva selezione, (tasa per casa); le parafasie formali, quando la parola pronunciata è diversa dal target ma esistente (pane per rane); le parafasie semantiche, quando il paziente produce un’unità lessicale esistente nel vocabolario ma diversa da quella che avrebbe dovuto produrre (matita per penna); le parafasie verbali, quando la parola pronunciata non ha alcuna attinenza con la parola target; le anomie, quando i pazienti non producono alcuna unità lessicale e cercano di compensare con delle circomlocuzioni; i neologismi, quando il termine non esiste nel vocabolario ma viene coniato dal paziente.

Questi disturbi di tipo semantico-lessicale sono legati all’afasia di Wernike con lesioni localizzate nella zona del lobo temporale, mentre i disturbi che investono l’alterazione dell’uso sintattico sono strettamente legati all’afasia di Broca. Se le lesioni interessano le porzioni anteriori dell’emisfero dominante l’afasia è agrammatica, ossia deficitaria degli elementi che costituiscono la struttura sintattica, se invece le lesioni interessano le porzioni posteriori dell’emisfero dominante l’afasia viene definita paragrammatica, caratterizzata da un uso improprio degli elementi sintattici.

Nell’afasia di Broca il linguaggio è disprosodico, ha carattere telegrafico, è prodotto con costruzioni anomale, presenta numerosi errori nelle declinazioni dei nomi, delle desinenze di persona, tempo e numero dei verbi. Gli afasici di conduzione hanno un linguaggio relativamente fluente e ben strutturato, mostrano una buona comprensione, mentre presentano notevoli difficoltà nella ripetizione orale di parole e frasi a causa di una grave limitazione della memoria a breve termine. Altri tipi di errori afasici sono le stereotipie o parole che compaiono con una certa frequenza senza alcun contenuto informativo; le espressioni ricorrenti, generalmente brevi parole, numeri, brevi frasi ripetute senza variazioni; l’ecolalia, ossia la tendenza del soggetto a ripetere quanto prodotto dall’interlocutore. La riabilitazione del paziente afasico è possibile grazie alla plasticità neuronale e i principi cui si ispirano i vari metodi riabilitativi sono basati sull’‘insegnamento’ se l’afasia viene considerata come perdita del patrimonio linguistico o sulla ‘stimolazione’ se si ritiene che l’afasia sia dovuta alla perdita della capacità di accedere al linguaggio. Lo studio della relazione esistente tra linguaggio e cervello di pazienti afasici è iniziato nella seconda metà dell’Ottocento ma solo negli ultimi decenni l’afasiologia si è avvalsa dei modelli e dei metodi propri della linguistica e della psicolinguistica. A tutt’oggi, anche se il metodo riabilitativo più accreditato è quello clinico-empirico, mancano le condizioni obiettive per una verifica statistica valida sugli esiti dei trattamenti a causa dei problemi etici derivanti dal campione non trattato.



2. L’Assistenza.

Non mi dilungo sulle regole generali di questo aspetto, già ampiamente trattato in un precedente articolo del blog.

In breve: il grado di invalidità civile è determinato in base alle tabelle indicative delle percentuali, con riferimento alla capacità lavorativa generica, per soggetti dai 18 ai 65 anni, e alle persistenti difficoltà a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età per gli ultrasessantacinquenni. Tale definizione è stato estesa anche ai minorenni.

Le tabelle sono operanti dal 12 marzo 1992 (data di entrata in vigore del D.M. 5 febbraio 1992, con il quale sono state pubblicate), secondo le indicazioni e il sistema di classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e, pur ancora applicate, vengono ormai considerate desuete.

In estrema sintesi, rinviando all’articolo in cui ho già dettagliato il sistema di valutazione: alcune infermità sono valutate in percentuale fissa ed altre, con danno funzionale più complesso, mediante fasce percentuali; per le patologie mancanti si adotta un criterio di analogia con quelle presenti.



Secondo la Legge quadro 104/92, è persona handicappata chi che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.

Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità (comma 3, articolo 3).

Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici, oltre ad agevolazioni di tipo lavorativo.

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Il soggetto afasico ha un’età media di 60 anni, ed è prevalentemente di sesso maschile. Il livello scolastico è medio-alto ed il supporto familiare appare, nella maggior parte dei casi, buono.

La principale causa di afasia è legata a patologie di natura vascolare e più specificamente l’etiologia è determinata da patologia ischemica.

L’afasia non fluente è quella che si manifesta con la maggiore incidenza e con una gravità valutabile di tipo medio.

I deficit che caratterizzano primariamente la patologia sono i disturbi di comprensione ed espressione, l’agrammatismo, le anomie, l’anosognosia e il gergo verbale.

Il paziente afasico giunge, alla prima valutazione logopedica, mediamente nei 6 mesi seguenti l’evento morboso e quindi inizia il trattamento riabilitativo. Esso viene attuato con una frequenza trisettimanale, con una durata media di quarantacinque minuti, e, in genere con tecniche derivanti dalle teorie della neuropsicologia cognitiva.

Circa i miglioramenti conseguiti e i deficit che permangono nonostante il trattamento, possiamo segnalare che:

- si osserva un recupero quantitativo di tutti i versanti linguistici mentre la tipologia del disturbo rimane sostanzialemente invariata; ciò significa che nella maggioranza dei casi un paziente anomico, attraverso l’acquisizione di varie strategie, migliora la sua efficacia comunicativa pur persistendo il disturbo in questione;

- il deficit della comprensione verbale anche se marcatamente ridotto, si accompagna sempre ad altri sintomi linguistici (per es. anomie,parafasie fonemiche.);

- l’anomia è il disturbo che maggiormente persiste e condiziona le capacità comunicative del paziente;

- l’agrammatismo e il gergo verbale permangono spesso, anche se in misura minore rispetto a quanto rilevato prima del trattamento.

La valutazione cognitiva nel paziente afasico deve essere condotta con strumenti che siano interamente non verbali; generalmente vengono impiegate le Matrici Colorate Progressive di Raven (Raven , 1954). Si tratta di strumenti in grado di calcolare il QI e l’obiettivo è quello di avere una stima delle abilità intellettive generali, in quanto capaci di influenzare in modo significativo il recupero delle performances verbali.

Bisogna ricordare che valori significativamente bassi, possono indurre il sospetto di altri quadri nosologici quali il deterioramento cognitivo lieve o la demenza.

L’attenzione visiva sostenuta, le capacità di scanning e di discriminazione visiva, e le capacità di inibizione vengono analizzate con la somministrazione del Test delle Matrici Attenzionali (Spinner e Tognoni, 1987)

La valutazione della memoria è indispensabile in quanto investiga una funzione essenziale per l’ apprendimento; e, a tale proposito, per valutare:

- la memoria a breve termine spaziale, si utilizza il test di Corsi (Orsini, Grossi, 1987) e nel caso di soggetti con ripetizione conservata, si può impiegare lo span per parole bisillabiche (Spinner e Tognoni, 1987);

- la memoria a lungo termine e quindi la capacità di apprendimento, si applicano le prove del test di Corsi (De Renzi, 1977) e la copia differita della figura complessa di Rey (Osterrieth, 1944), utilizzata nello studio delle abilità visuo-spaziali.

Quando possibile si esegue il test delle 15 parole di Rey (Saffran e Marin, 1972).

La valutazione delle abilità costruttive visuo-spaziali prevede il test di copia di figure geometriche (Arrigoni, De Renzi, 1964) e la riproduzione immediata della figura complessa di Rey (Osterrieth, 1944).

Le prove cliniche per verificare la presenza di Aprassia Ideomotoria ( De Renzi, Faglioni,1996) e linguo-bucco-facciale (De Renzi et al 1966), devono essere proposte su imitazione e non su indicazione orale, per evitare che la cattiva esecuzione rifletta un deficit di comprensione. Tale verifica costituisce un momento indispensabile nella analisi del paziente afasico: infatti nel caso di lesioni anteriori, la presenza di un quadro aprassico influenza in modo sostanziale le capacità comunicative verbali orali del paziente.

Al fine di inquadrare adeguatamente il caso clinico e progettare in modo conseguenziale il piano di trattamento riabilitativo è bene distinguere i deficit della competenza linguistica (fonologica, semantico-lessicale e grammaticale), da quelli relativi alla progettazione del movimento (aprassia) o alla sua esecuzione (disartria).

Le abilità/disabilità nell’ambito della vita quotidiana vanno anche esse opportunamente valutate e uno strumento ampiamente impiegato è il C.A.D.L (Communicative Abilities in Daily Living) proposto da Holland (1980) adattato all’italiano da Pizzamiglio et al. (1984). Il test si propone di analizzare le risposte date dal paziente in situazioni di vita quotidiana di role-playing ed esamina infine la conoscenza del linguaggio simbolico e metaforico.

La valutazione della competenza pragmatica ha uguale rilevanza in campo afasiologico considerando che tale competenza supporta, integra e, a volte, sostituisce quella linguistica e può sopperire nelle difficoltà verbali. Essa è intesa come abilità generale di comunicare, si articola su più livelli ed è il risultato dell’integrazione di più competenze, prima fra tutte quella cognitiva.

La partecipazione all’interazione comunicativa e la sua efficacia vanno analizzate ponendo il paziente in una situazione di conversazione naturale nel corso della quale viene segnalato l’uso spontaneo di tutti i canali espressivi anche non-verbali.

L’inventario di Holland (1980), come successivamente modificato da Carlomagno (1989), si presta a delineare un primo sommario profilo pragmatico di pazienti afasici di diverso tipo e di diversa compromissione, mentre il suo uso appare più limitato sia in fase di programmazione del trattamento che nei controlli sulla sua efficacia.

La “Griglia” proposta da Carlomagno (1989) rileva i dati cruciali del comportamento comunicativo del paziente e del suo interlocutore in un contesto di reale comunicazione, permettendo di individuare contemporaneamente sia l’efficacia referenziale del paziente e le modalità da lui messe in atto a tal fine, sia il numero e la tipologia di interventi effettuati dal logopedista nel guidare lo scambio, nello stimolare e modellare l’abilità referenziale del soggetto stesso.

Oltre quello ora citato esistono numerosi altri protocolli valutativi, tra i quali ricordiamo il protocollo di valutazione delle abilità pragmatiche ( Prutting e Kirchner, 1987) e quello di valutazione del linguaggio pragmatico (Mazzucchi ,1998).

La valutazione linguistico-verbale assume ovviamente una rilevanza particolare,tenuto conto che il recupero di tali aspetti rappresenta il principale obbiettivo da perseguire.

Nella pratica clinica quotidiana l’ Esame del Linguaggio II di Basso, Ciurli, Marangolo (1990) è di rapida somministrazione ed è sufficientemente completo da permettere una descrizione alquanto dettagliata del comportamento del paziente nelle principali modalità linguistiche. Sulla base dei risultati è possibile classificare i pazienti all’interno di una delle sindromi classiche basandosi sull’ analisi dell’eloquio spontaneo e sull’osservazione della maggiore o minore compromissione dei vari comportamenti verbali. Il test è poco adatto per pazienti che presentano afasia lieve, poiché le prove sono tutte relativamente semplici; esso tuttavia è di facile applicabilità ed interpretazione, rivelandosi molto utile in una struttura clinica e riabilitativa e inoltre richiede tempi relativamente brevi per la somministrazione e per la correzione.

La batteria per l’analisi dei deficit afasici (BADA) elaborata da Miceli, Laudanna e Burani (1991) si differenzia nettamente da quella di Basso e coll. per la sua impostazione teorica; i criteri che ne hanno ispirato la preparazione si basano sulle teorie relative alla organizzazione e al funzionamento del linguaggio sviluppate dalla neuropsicologia cognitiva e sono indipendenti dagli aspetti neurologici del danno cerebrale. La lettura dei risultati delle diverse prove permette di formulare delle ipotesi riguardo ai deficit del paziente confrontandolo con il modello di funzionamento normale del linguaggio.

Questo test non può essere somministrato a soggetti con scolarità inferiore a 5 anni, nè in pazienti con gravi disturbi che otterrebbero punteggi nulli.

Il tempo di somministrazione deve necessariamente essere contenuto tra le 3 e le 4 ore.

Il test di fluenza (Novelli et coll., 1986) permette una rapida ed efficiente valutazione delle capacità di evocazione di parole ed è utile anche per monititorare l’evoluzione del disturbo afasico.

Il test dei gettoni (De Renzi e Vignolo, 1962), probabilmente il più noto dei test usati in afasiologia per accertare e quantificare i deficit di comprensione, presenta numerosi vantaggi: facile applicabilità, breve tempo per la somministrazione, gli ordini proposti non sono ridondanti, utile per verificare il recupero. Esso non può essere impiegato per discriminare tra forme cliniche qualitativamente diverse e non consente di analizzare quali aspetti dei processi fonologici, semantici e sintattici sono deficitari.

Molte batterie di test in uso si basano sul vecchio modello classificativo di Wernicke (1874), Lichtheim (1885), successivamente modificato da Howes & Geschwind (1964 )e da Goodglass et coll. (1964): sono definibili ad orientamento anatomico-strutturale in quanto si propongono di inquadrare il paziente in una delle forme standard di afasia misurando la compromissione del linguaggio.

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La valutazione delle abilità cognitive ed esecutive generali in un soggetto afasico ha particolare rilievo nel bilancio riabilitativo considerando, appunto, che il processo di recupero consiste nell’apprendimento di strategie che certamente risentono dello stato generale del paziente. Per la progettazione terapeutica è indispensabile infatti conoscere la funzionalità delle strutture cerebrali residue, in quanto non è raro riscontrare un rallentamento globale nell’elaborazione delle informazioni e un corredo di alterazioni in specifiche funzioni (orientamento spaziale, attenzione, memoria, prassie etc.).

La riabilitazione dell’afasia intesa come valutazione, terapia e recupero del disturbo afasico, è ormai considerata “l’unico strumento attualmente disponibile per modificare un’afasia, in mancanza di alcuna terapia medica” (Miceli, 2005).

Tale disciplina è stata largamente influenzata nel tempo da scienze di derivazione medica, pedagogica, linguistica e psicosociale, ognuna delle quali ha contribuito a formare un corpus di conoscenze necessarie allo sviluppo di quella che viene oggi definita “afasiologia”. Questo è verosimilmente il motivo per il quale sono stati descritti diversi approcci riabilitativi a seconda degli Autori (A.A.) che le proponevano; di essi citiamo quello basato sulla stimolazione, (Wepman, 1951; Schuell, Jenkins, Jimenez-Pabon, 1964), quello pragmatico (Davis e Wilcox, 1981, 1985), e, infine, quello neuro-linguistico (Jakobson, 1964). Altri A.A. hanno suggerito modelli riabilitativi per la rieducazione complessiva di tutti gli aspetti linguistico-verbali compromessi (Basso, 1979; Segre,1983; Pizzamiglio, 1984; De Filippis Cippone, 1985; Doucarne de Ribaucort, 1988), ovvero protocolli tendenti al trattamento di specifici problemi linguistici, come ad esempio per la correzione dei deficit aprassici (Huskin, 1984), per quelli fonologici soprasegmentali (SparkseHolland, 1976), per l’agrammatismo (Jones, 1086), per i deficit della lettura (Godwin, 1984; Neglia e Zadini, 1988), per i disturbi di analisi acustica (Gielewski, 1984 ;Piras e coll., 1988), per la scrittura (Casadio e coll.,1990) ecc.

Quanto detto, mentre da un lato documenta l’estrema complessità della materia, dall’altro dimostra come gruppi di ricercatori portavano avanti la loro personale “teoria della riabilitazione” cui ogni logopedista, individualmente o come scuola di provenienza, poteva fare riferimento nella propria pratica clinica.

Verso la fine degli anni ’80 la Neuropsicologia cognitiva ha apportato nuovi contributi allo studio dell’afasia individuando le componenti di un sistema cognitivo complesso, quale quello del linguaggio orale e scritto, e definendone con particolare precisione il funzionamento (Caramazza, 1988; Chenery, Ingram e Murdoch, 1990; Chin Li e Williams, 1990). Come immediata e implicita derivazione da ciò ci si aspettava un rilevante e specifico contributo nella definizione di una “Teoria dell’intervento terapeutico”che descrivesse le modalità attraverso le quali un sistema cognitivo danneggiato potesse essere modificato in seguito ad una particolare forma di stimolazione. Ma a tutt’oggi non sembra che l’afasiologia abbia potuto raggiungere certezze su una univoca tipologia di trattamento valida in tutti i casi con una specifica sintomatologia.

Negli stessi anni la trasformazione del SSN e la creazione delle Aziende Sanitarie Locali hanno introdotto concetti di economia aziendale in campo sanitario tra i quali quello di efficienza e qualità; questi ultimi sono progressivamente diventati un riferimento in campo sanitario poiché considerati obiettivi necessariamente da conseguire e da documentare con comprovate misure di esito clinico. Il tema dominante è quindi oggi, la ricerca dell’equilibrio tra il diritto alla salute ed i costi che questo comporta, cioè tra il livello qualitativo delle prestazioni sanitarie e la quantità di risorse economiche impiegate per far fronte a tali necessità.

Le revisioni sistematiche della letteratura riguardo le procedure organizzative, riabilitative e l’analisi critica dei risultati, cioè di “qualsiasi variazione dello stato di salute di un individuo o di un gruppo di individui attribuibile ad un processo assistenziale-riabilitativo” (Donebedian, 1985), sembrano diventare gli unici strumenti in grado di fornire certezze inequivocabili e conclusioni condivisibili sugli argomenti più pressanti della sanità moderna quali “l’efficacia delle cure e l’efficienza delle organizzazioni sanitarie”.

Le risposte ottenute dalla Evidence Based Medicine (EBM) sono state tradotte in raccomandazioni di vario grado e riassunte nella compilazione di Linee Guida; queste ultime riguardano da una parte le procedure riabilitative più idonee a conseguire i risultati che ogni Azienda deve ottenere, dall’altra l’organizzazione della rete dei servizi di riabilitazione in relazione alle esigenze e alle risorse del territorio.

Tutto ciò ha necessariamente finito per interessare e riguardare anche l’afasiologia.

Le più recenti Revisioni e Linee Guida sulla riabilitazione del paziente afasico (Clinical practice guideline,1997; Revisione Cochrane 1999; Revisione dell’American Congress of Rehabilitation Medicine, 2000; Revisione dell’European Federation of neurological societies, 2003; Spread 2003; Aphasie Suisse, 2005; Linee Guide e Medicina Basata sull’evidenza in Riabilitazione, 2005) offrono la possibilità di rintracciare alcuni argomenti per i quali vi è un accordo unanime:

- l’efficacia del trattamento logopedico riabilitativo (salvo a stabilire quale tra i tanti descritti);

- la necessità di impiegare personale specializzato e non volontari come suggerito da alcuni AA nel passato;

- l’irrinunciabile esigenza di una accurata valutazione comunicativo-linguistica che orienti il programma terapeutico nel suo percorso e consenta di pianificare la dimissione;

- la tempestività dell’intervento riabilitativo;

- l’impiego di programmi tecnici mirati a precisi disturbi afasici.

Le incertezze relative alla specifica efficacia di uno o di un altro trattamento logopedico in campo afasiologico derivano dalle innegabili difficoltà nell’attuare una rigorosa ricerca scientifica in campo riabilitativo: quelle principali sono la scelta del campione e la metodologia di ricerca propriamente detta, e quindi la difficoltà di confrontare differenti tecniche in casistiche effettivamente assimilabili.

Infatti, in materia di afasiologia, la validità delle varie metodiche viene definita in base ad un presupposto di “utilità” o di “giustificazione razionale” non legittimata da studi svolti con rigida metodologia di ricerca, in quanto non applicabile alla materia.

I fattori che non consentono lo studio di una metodologia scientificamente valida sono molti, di essi ne segnaliamo i principali:

a) non omogeneità del campione (Miceli, 2005): è molto complesso trovare un numero di soggetti afasici omogenei, cioè colpiti dalla stessa lesione funzionale, e sufficientemente alto da permettere le grandi casistiche richieste dall’EBM; ciò perchè i disturbi sono spesso eterogenei anche all’interno di ciascun livello di organizzazione del linguaggio sintattico, semantico, lessicale e morfologico.

b) difficoltà nella realizzazione di uno studio caso/controllo: in passato, quando la distribuzione dell’intervento riabilitativo sul territorio nazionale non era così capillare, era possibile analizzare gruppi di afasici che non avessero effettuato alcuna terapia riabilitativa; oggi questa evenienza non si verifica più e pertanto non è possibile confrontare un gruppo di pazienti sottoposti a trattamento riabilitativo con un gruppo analogo che non ha ricevuto tale tipo di supporto. L’etica della medicina, inoltre, non permette, specialmente in una patologia così grave, di creare un gruppo di controllo che sia rimasto privo della terapia.

c) impossibilità ad organizzare studi in doppio cieco.

In definitiva tutto quanto premesso rende evidente il contrasto tra i principi delle Evidence Based Medicine (EBM) applicata alla pratica riabilitativa e l’attuale orientamento espresso da Miceli (2005) per il quale “la raccolta di casi singoli permetterà, nel tempo, di accumulare sempre maggiori prove dell’efficacia dell’approccio cognitivo, di stabilire la validità di metodiche logopediche per il recupero di specifici disturbi e di comprendere i meccanismi neurali alla base del recupero funzionale”.

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Inquadramento delle forme tipiche di afasia.

AFASIA GLOBALE

Il paziente con afasia globale è genericamente definito come un soggetto che “non parla e non capisce”, proprio per questo si rende sempre necessaria un’ attenta valutazione dello stato cognitivo generale per attuare una diagnosi differenziale con il disturbo del linguaggio secondario a grave deterioramento cognitivo generalizzato (per es. malattie psichiatriche, demenze degenerative nelle fasi più avanzate, coma vigile ecc.).

La produzione verbale è solitamente limitata a stereotipie verbali e/o a gergo neologistico, e le serie automatiche possono essere variamente compromesse. L’esecuzione delle prassie bucco-linguo-facciali ed ideomotorie è spesso alterata, documentando, così, la difficoltà nella produzione volontaria e intenzionale di movimenti, anche non linguistici.

La dissociazione automatica volontaria è, dunque, un aspetto di rilievo da tenere nella giusta considerazione nelle prime fasi della riabilitazione.

La comprensione verbale è molto compromessa in tutti i suoi livelli. Si riscontra una generale difficoltà nel rispetto delle regole pragmatiche della comunicazione.

In prima fase vanno impiegate tecniche cognitivo-linguistiche e terapie indirizzate al miglioramento degli aspetti pragmatici della comunicazione.

Per questa tipologia di pazienti sono stati consigliati interventi cognitivi per specifici disturbi del linguaggio (VAT, Visual Action Therapy, Helm-Estabrooks e coll.,1982; TAP, Treatment of Aphasic Perseveration, Helm-Estabrooks e coll., 1987, VCIU, Voluntary Control of Involuntary Utterances, Helm-Estabrooks e Albert, 1994).



AFASIA NON FLUENTE.

Il soggetto con afasia non fluente manifesta una generale difficoltà nella produzione verbale. Nei casi più gravi è necessaria una diagnosi differenziale con l’inerzia verbale e con forme di grave aprassia verbale che possono presentare una sintomatologia linguistica simile. Si tratta in queste ultime evenienze di manifestazioni patologiche per le quali sono riportate il letteratura diversi trattamenti riabilitativi ( Basso, 1979; Huskins, 1984; Luzzatti, 1999).

Solitamente l’esecuzione delle prassie bucco-linguo-facciali ed ideomotorie è variamente compromessa. La produzione verbale è costituita essenzialmente da parole-contenuto e le serie automatiche sono variamente conservate a seconda della gravità del disturbo. La dissociazione automatico-volontaria è presente e la sua consapevolezza influisce negativamente sul comportamento del paziente.

La comprensione verbale è mediamente deficitaria; il token test è variabile, ma può raggiungere punteggi soddisfacenti nei casi più lievi. Le regole pragmatiche della comunicazione sono variamente conservate.

La riabilitazione di questa sindrome deve procedere avendo come obiettivo prioritario il potenziamento del linguaggio verbale; nel caso in cui ciò sia particolarmente difficile, e cioè in pazienti affetti da un disturbo cronico è necessaria la sollecitazione all’uso di strategie non verbali utili ai fini comunicativi. Possono essere individuati tre diversi gradi di disturbo:

A) Afasia non fluente grave

Il quadro clinico si configura come quello dell’afasia globale, ma con disturbi di comprensione meno accentuati. L’efficienza comunicativa è molto compromessa. L’impiego di tecniche pragmatiche e di quelle di derivazione neuropsicologica cognitiva sono utilizzate con specifici interventi sul versante della comprensione e dell’espressione verbale.

B) Afasia non fluente di grado medio

Rispetto alla condizione precedente i deficit linguistici sono meno accentuati e l’efficienza comunicativa può essere parzialmente conservata; il trattamento è quindi rivolto alla risoluzione degli specifici disturbi linguistico-verbali attraverso modalità terapeutiche di ispirazione cognitivista. In questo tipo di paziente l’uso combinato con la metodica P.A.C.E. può sollecitare il paziente alla produzione di messaggi sempre più dettagliati e quindi più efficaci sul piano comunicativo. E’ possibile infatti definire un numero minimo di temi che il soggetto deve necessariamente comunicare mentre l’uso dei feed-back aperti e chiusi permette al terapista di svolgere l’attività di ‘modeling’ ovvero di intervenire con attività linguistiche direttive per rendere il messaggio prodotto dal paziente sempre più informativo.

Si segnala,inoltre, la possibilità di impiegare tecniche neurolinguistiche specifiche rivolte ai disturbi morfo sintattici e per la risoluzione dell’agrammatismo così come segnalato da vari A.A. (Mapping therapy, Jones 1986; REST, Reduced Syntax Therapy, Springer e coll, 2000; HELPSS, Helm Elicted Program for Syntax Stimulation, Helm-Estabrooks e Ramsberger, 1986) ed anche la MIT, Melodic Intonation Therapy, proposta da Sparks e Holland 1976, per i disturbi fonologici soprasegmentali.

C) Afasia non fluente di grado lieve

Il quadro clinico è caratterizzato per lo più da anomie, nonchè da deficit di completezza morfo-sintattica. Queste rappresentano il sintomo più evidente del disturbo afasico e quello maggiormente persistente. In questo caso trovano indicazione tecniche rivolte alla risoluzione di specifici disturbi linguistici


AFASIA FLUENTE

Il paziente fluente si caratterizza per la presenza di anosognosia (disturbo cognitivo della consapevolezza della propria produzione) e per i deficit della comprensione verbale. È necessaria un’ attenta valutazione dello stato cognitivo generale per attuare una diagnosi differenziale con disturbi psichiatrici (confabulazione, nevrosi etc.) La produzione verbale è eccessivamente ridondante, talvolta può essere presente la cosiddetta “insalata di parole”, di scarsa o nulla efficacia comunicativa; è rilevante la presenza di parafasie semantiche, verbali e fonologiche e di un marcato paragrammatismo; le serie automatiche sono diversamente compromesse in ragione dell’entità del disturbo afasico.

La comprensione verbale è molto danneggiata in tutti i suoi livelli; il punteggio equivalente del token test è quasi sempre deficitario .

Si riscontra una marcata difficoltà nel rispetto delle regole pragmatiche della comunicazione, in particolare del rispetto dell’alternanza dei ruoli e di aderenza al contesto comunicativo.

Nella prima fase sono consigliabili terapie cognitivo linguistiche e in proposito può giovare l’impiego della tecnica T.W.A, Treatment Wernicke Aphasia proposta da Helm-Estabrooks e Albert. (1994).

Le tecniche indirizzate al miglioramento degli aspetti pragmatici della comunicazione possono essere impiegate solo quando il paziente diviene consapevole del proprio deficit linguistico; nella nostra esperienza, abbiamo osservato l’utilità di impiegare il setting terapeutico della metodica P.A.C.E., proponendo al soggetto il materiale solo attraverso il canale verbale, orale e scritto, e richiedendo di esprimersi unicamente attraverso tale modalità.

La riabilitazione di questa sindrome deve procedere avendo come obbiettivo prioritario la consapevolezza della propria produzione.

Possono essere individuate due forme principali di afasia fluente: grave e medio-lieve.

D) Afasia fluente grave.

Il disturbo della consapevolezza rappresenta sicuramente il più grave handicap nella riabilitazione del paziente afasico fluente. La sua produzione verbale non è utile ai fini comunicativi, poichè il gergo verbale non consente il riconoscimento delle reali intenzioni linguistiche del soggetto. In realtà tale disturbo diminuisce con il miglioramento della comprensione verbale mediante l’impiego di esercizi che coinvolgono i livelli maggiormente compromessi .

E) Afasia fluente medio-lieve.

L’espressione verbale di questi soggetti si caratterizza per la presenza di parafasie semantiche, verbali e fonologiche, segno inequivocabile di un interessamento del sistema lessicale-semantico. In questo caso sono impiegate tecniche di derivazione neurocognitivo-linguistiche.

Tecniche di derivazione pragmatica non sono consigliabili in prima istanza per questi pazienti.

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Conclusione. L’invalidità civile e l’afasia.


Le percentuali di invalidità variano a seconda del "tipo" di disturbo e della lievità o gravità dello stesso:

I disturbi del comportamento sono da classificare come:

lievi (11- 20 %) quando non interferiscono in misura significativa con la possibilità di vita di relazione normale (vi è una riduzione incostante dell'iniziativa psicomotoria e comunicativa, modico aumento dell'irritabilità, occasionali accessi di comportamento violento);

medi (21- 30 %) quando i disturbi interferiscono in maniera significativa con la possibilità di vita di relazione normale (deve esserci una frequente riduzione dell'iniziativa psicomotoria e comunicativa, aumento dell'irritabilità e frequenti accessi di comportamento violento);

gravi (41 - 50 %) quando vi è una grave interferenza con la normale vita di relazione (vi è riduzione stabile dell'iniziativa psicomotoria e comunicativa, instabilità del tono dell'umore, frequenti accessi di comportamento violento).

I disturbi della memoria sono da classificare come:

lievi (11 - 20 %) in presenza di deficit occasionali della memoria di fissazione;

medi (21 - 30 %) quando il deficit della memoria di fissazione è marcato;

gravi (41 - 50 %) vi è un deficit grave della memoria di fissazione e di quella autobiografica, in presenza di disorientamento spazio-temporale.

Per quel che riguarda il deficit delle funzioni intellettive, siamo in presenza di un deficit:

lieve (61 - 70 %) quando si associa un deficit di memoria lieve con almeno due dei seguenti segni: disorientamento temporale, afasia lieve, disturbi lievi del comportamento;

medio (71 - 99 %) quando vi è un grave deficit della memoria, disorientamento temporale, afasia lieve e media, autosufficienza nelle necessità personali della vita quotidiana (non vengono precisate quali);

grave (100 %) quando si associano deficit di memoria grave, disorientamento temporo-spaziale,

afasia media e grave, disturbi del comportamento, dipendenza dagli altri per le necessità personali della vita quotidiana.

Riassumendo, per l'afasia:

estratto dal Decreto Ministeriale - Ministero della Sanità - 5 febbraio 1992

 
Tabella delle percentuali di invalidità per l'afasia

codice Patologia minimo max fisso

3001 Afasia lieve 21 30 0

3002 Afasia media 61 70 0

3003 Afasia grave 91 100 0


Come emerso dalla lettura precedente, la grave forma di afasia può portare al diritto all’indennità di accompagnamento qualora comprometta atti quotidiani della vita, con necessità continuativa di un’assistenza.


Non solo. Congruo un riconoscimento di stato di handicap, anche in connotazione di gravità, quantomento per “inserimento sociale”, “occupazione”.


A latere, e sinteticamente, si ricorda che:

in ambito Previdenziale, qualora l’afasia sia tale da ridurre in modo superiore a 2/3 la capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini, congruo il riconoscimento di Assegno ordinario INPS (ex art. 1, L. 222/84);

in particolari professioni, quali l’insegnamento, dove il linguaggio assume ruolo fondamentale, è possibile valutare ipotesi di inabilità assoluta e permanente alle mansioni di qualifica (INPDAP);

causa di servizio qualora l’afasia sia dovuta a fatti inerenti al servizio svolto.


Dott. Giovanni Sicuranza, medico legale

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