Nei prossimi giorni mi permetterò di ricordare sinteticamente come l'Unità d'Italia si svolse nella convinzione di pochi, nell'opportunismo di molti, nelle stragi, mai più superate per entità e crudeltà, nemmeno durante la seconda guerra civile italiana, quella di Liberazione dai nazi-fascisti.
Nei gravi errori economici, che hanno ampliato il divario tra Nord e Sud.
Ma, resa giustizia alla Storia, non festeggiare il 17 marzo è indegno di un popolo maturo e civile.
Siamo italiani solo quando muore un militare, quando la Nazionale vince i campionati?
Il culto passionale, e superficiale, della Patria ha rappresentato una delle poche intuizioni dei governanti fin dall'inizio.
L'italiota, superstizioso, religioso, aveva bisogno di una nuova "divinità", di nuovi miti per sentirsi parte della Nazione.
In questo senso vanno letterature discutibili come "Cuore" di De Amicis o il servizio di leva che durava anni, per forgiare l'italiota nel mito.
O la decisione di continuare a tollerare la presenza ostile della Chiesa.
Il Fascismo ha ben appreso questa strategia, tra l'altro portata avanti, in modo più "colorato", ai giorni nostri.
Indifferenza o passione veloce nella retorica. Questo è il modo di sentirci italiani che abbiamo appreso.
Manca una "cultura" civica unitaria.
Se avessero soppresso il Festival di Sanremo, forse, ci sarebbero state più proteste.
un italiota
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