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bianca speranza

Il pedale si abbassa, piano, delicato sulla pressione del piede.

La macchina perde il morso della frizione e in compenso conquista velocità, slittando sulle vie in discesa della collina.

L’auto chiude dentro l'uomo, l’uomo chiude dentro disperazione e alcol.

L’abitacolo suda. Suda oggetti minuti, penne, fermagli, post-it accartocciati

E penne nere e rosse e matite spezzate. E bicchieri di plastica.

Oggetti che rotolano senza appiglio, intorno e sull’uomo, l’uomo che proprio attraverso questi oggetti ha tentato di comunicare.

Frasi spezzate, scritte e abbandonate prima di ricominciare con altre parole.

Non avresti dovuto” “Per tutta la nostra vita insieme” “Mi hai tolto la mia

L’auto slitta sulla strada, verso la città, la strada che concede solo brevi rettilinei e poi si contorce, curva a destra e quindi a sinistra, a gomito lungo il fossato.

L’uomo sorride. Non ha più un nome, non ha più un futuro.

Ha solo la consapevolezza di avere scelto di morire, adesso, così.

Il sorriso si allarga, la prossima curva è un angolo stretto tra il cemento e il salto nel vuoto.

***

Quando arrivi?, chiede la donna affacciata al vento.

Ha ancora un nome, ma non sa che si sta trasformando in beffa:

- Speranza!

La donna si ritrae di scatto dalla finestra. Sull’uscio della stanza è ferma la madre, le braccia ben salde sui fianchi, gli occhi così sporgenti che sembrano volere attraversare il pavimento e raggiungerla. Addolorata è affetta da gozzo ipertiroideo e, tra le sue manifestazioni, c’è la protrusione dei bulbi oculari. Oltre a una certa demenza, che negli ultimi tempi si è aggravata.

- Non ti devi sporgere così dalla finestra! – chioccia, scuotendo la chioma di capelli arruffati e inceneriti dall’età – E poi fa freddo – aggiunge, ma senza più slancio. Ha visto il volto della figlia e sa di avere sbagliato, di nuovo, come le capita sempre più spesso.

Speranza è delusa.

- Pensavo fossi venuta a dirmi che lui è qui.

N-no, risponde la madre, non con la voce, ma con un tremolio delle spalle, chinando la testa.
La voce non è importante, nessun dialogo è più importante per la figlia, da quando Giovanni se ne è andato.

Troppo alcol nella vita di Giovanni, troppa nebbia nella relazione tra lui e la figlia.
Fino a quando il loro mondo non è svanito.
Fino a quando Giovanni, in un delirio alcolico, non ha spinto Luciano, il loro migliore amico, in un fossato.

Non solo aveva immaginato scene di sesso tra lui e la moglie, le aveva vissute, nel dolore, le aveva odiate, nonostante le rassicurazioni di lei e di Luciano e della psicoterapeuta.

Luciano è sopravvissuto alla caduta di oltre dieci metri, ma da allora non è più lui, lo sanno tutti in paese. Dopo il trauma cranico vive come se fosse entrato in un altro mondo. Un mondo che perde i confini dei ricordi.  

A Speranza questo ora non interessa.
Non ha mai più visto Luciano, se non negli occhi della figlia piccola, perché convincere Giovanni che almeno una di quelle scene, a cui aveva assistito per caso, non era solo delirio, ma realtà, le era bastato a comprendere che stava andando oltre.

Anche se Giovanni era diventato violento, anche se Giovanni non era più un uomo, non solo nella vita, ma nemmeno a letto, dopo l'incidente aveva compreso che non era Luciano la soluzione.

La soluzione era ritrovare l’uomo che amava.
Solo che, nel frattempo, uno spermatozoo di Luciano le aveva lasciato un’alternativa. 

Bianca le ricorda Luciano, gli stessi occhi chiari, grandi, lo stesso naso sottile, la fronte alta. In nulla di lei c'è l’uomo amato.
Bianca cresce con Speranza e nonna Addolorata nell’oscurità di una figura maschile.

Giovanni è dapprima finito in galera, poi, giudicato parzialmente non in grado di intendere e volere, è stato trasferito in un centro di disintossicazione.
*** Speranza è di nuovo alla finestra, la madre una figura ancora presente alle sue spalle, ma con la stessa consistenza dell’aria che entra nella stanza in scudisciate di freddo.

Dove sei?, chiede, i pensieri rivolti al vento e alla collina davanti agli occhi.

***

Giovanni ha paura, eppure preme sempre più sul pedale, l’auto che affronta con impazienza le curve della collina.

Il sole è un disco rotto tre nubi nere e l’uomo all’interno dell’abitacolo ha il cuore come il sole.

Un cuore rotto tra sensi di colpa.

Oggi dovrebbe ricominciare la sua vita. Una nuova occasione. Oltre la collina, sua moglie Speranza. E Bianca, un cucciolo di tre anni mai conosciuto.

Non ha più desiderio di alcol, Giovanni, ma, mentre lascia che l’auto acquisti velocità tra le curve della collina, sente la fame del desiderio di ricominciare.

La curva a gomito si avvicina veloce. È l’ultima prima di entrare nel comune dove è stato bambino e uomo e poi un alieno smarrito da se stesso.

***

L’auto salta sul dosso e per un istante sembra che i suoi fari disegnino un sorriso di griglia a denti stretti sulla parete alla sinistra.

Il guidatore la vede e inizia a ridere.

Per l’ultima volta, prima di salire sull’auto, ha cercato di mettere insieme pezzi di vita, quei frammenti di appunti che gli ricordano vagamente sentimenti spezzati, ma non c’è riuscito.

E allora, se c’è un vuoto così grande dentro, un vuoto che nessuno, tra medici e parenti e amici riesce a spiegargli, tanto vale ridere.

Ridere a una vita che non gli appartiene più.

La prossima curva è quella del confine con il comune.

Ha un filo sottile di ricordo, fragile, a cui non riesce né a dare maggiore consistenza, né a spezzare del tutto. Un filo che lo tormenta da tre anni e che gli taglia la carne dei pensieri, giorno dopo giorno. 

Aveva una donna, una volta, una donna che ha amato e che ora nemmeno sa più chi è.
Forse questa donna portava in grembo una figlia. Sua figlia.

Ma dal salto nel burrone non ricorda più nulla. E nessuno sa dirgli nulla. È come se fosse un alcolizzato in preda a un delirio.

È tempo allora di prendersi almeno quello che gli è rimasto. La morte.

***

Speranza vede il soffio di un secondo tramonto innalzarsi dalla collina. Rimane a fissare l’incendio tra gli alberi, lontano come la fiamma di una candela.

Non si muove, nemmeno quando la madre corre al suo fianco e, presa da troppo slancio, inciampa e precipita oltre la bassa balaustra.

Nemmeno si accorge, Speranza, che Addolorata è grumo di carne agonizzante tre piani più sotto.

Non si cura di null’altro, Speranza, perché ha capito che quel bagliore tra le colline è un annuncio di morte.
Le dita artigliano la balaustra fino a scricchiolare di dolore, la bocca si apre in un urlo senza suono.
Non ha più parole, Speranza.

Solo ora, mentre si illudeva di ritrovarle nel ritorno di Giovanni, capisce che la vita intorno a lei è stata un inganno. Ha vissuto nell’illusione di aggirarlo, di imprigionarlo nel rinnovo della serenità.

Lei, Giovanni, Bianca.

Ma la fiamma che si innalza dritta dalla collina è come un dito che ammonisce.

Giovanni non tornerà mai a casa, lo sente, lo sa perché lo ha sempre saputo.

In realtà lui ha smesso di vivere quando si è fatto ingannare dall’alcol.

Ma ha smesso anche lei, quando ha ingannato Giovanni, urlando che era un alcolizzato visionario nonostante l’evidenza del tradimento, erodendone così la debolezza della mente.

Speranza ha un sussulto.
All’improvviso si rende conto che dovrà annunciare alla figlia che suo padre è morto, oggi, sulla collina.

Dovrà continuare l’inganno e questo la svuoterà ancora di più. Sempre di più.

Ancora non sa che, invece, Bianca, in ogni caso, saprà la verità.

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