Il silenzio
Giovanni Sicuranza
La tromba riapre tutte le mie ferite.
E' come se le note fossero lame che sanno dove andare, precise, senza esitare, nonostante la taverna sia un drappo scuro di fumo.
Sulla porta, fuori, c'è scritto che è vietato fumare e che i trasgressori saranno puniti. E' vero, solo che quel fetente del proprietario ha messo il cartello all'esterno. E dentro tutti fumano tutto.
Jazz nicotinico. Sincopato come i respiri.
Poi, inaspettato, l'assolo di tromba.
Da dove siedo, mica riesco a vederlo, ma so che il trombettista ha deciso di uccidermi. E' per come dirige le note.
Un fa che riapre la cicatrice al volto. Il sol che morde quella al petto. E tanti diesis e bemolle in una lenta processione, che mi avvolgono come sudario.
Sono stato sette volte in questo locale. Sette come i peccati capitali.
Ne ho commessi almeno sei, l'omicidio è stato il più sapiente, spesso per possedere la donna d'altri. Il resto, beh, non posso mica ricordarli tutti.
La tromba è la vendetta di questi bastardi. Degli spiriti, dei sopravvissuti, delle donne che hanno preferito darsi alla morte piuttosto che a me.
Questa sera tocca a me.
Lascio che la sigaretta si spenga, che la sua luce sia un fioco sussurro inghiottito dalle note, che la sua cenere nevichi sul tavolo.
Ecco perché avete sempre lasciato che tornassi, sera dopo sera, ogni volta più solo. Ho cercato con forza l'amore, ucciso dalle ferite lasciate da mia madre sul viso, sul petto. Coltellate perché smettessi di piangere e chiamarla. Avevo quattro anni.
Non mi ha ucciso solo perché ha capito che la mia vita era già finita.
Ho sempre amato il jazz, sincopato come il cuore terrorizzato. Con quei distacchi improvvisi, le variazioni senza preavviso, è come l'apologia di un omicidio per ritrovare la vita.
Voi sapevate, vero?
Stringo il moncherino della sigaretta tra le dita e spunto nel bicchiere. Un attimo prima, solo un soffio prima che l'ultima nota mi raggiunga.
Sapevate che uccidevo per solitudine e che ogni volta mi sentivo sempre più solo e ferito. E morto.
Ora questo pezzo è solo per me.
Mi lascio andare sullo schienale, il capo reclinato all'indietro, con il collo esposto al taglio del fa diesis.
Chiudo gli occhi e non provo più niente.
Sì, mia madre lo sapeva, forse aveva visto anche come sarebbe finita. Ha bevuto, mia madre, ha riso, mia madre, ha consumato se stessa nella sporcizia dopo le ferite che hanno violato per sempre la mia vita.
Sapeva, no, forse sperava, che "Il silenzio" avrebbe spezzato la mia fuga omicida lungo il sentiero della solitudine. Silenzioso. Pieno di impalpabile fumo.
Affonda, nota.
Sia "Il silenzio" la musica che lacera il vuoto del cuore. "Il silenzio" di Giovanni Sicuranza
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