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Foglie d'autunno.

Foglie d’autunno
Giovanni Sicuranza


Una giornata piena di ottobre, la stanza di Arianna ricoperta di foglie gialle.

Fossili d'oblio estivo ristagnano tra le pareti.

Arianna li osserva e si chiede se è davvero riuscita a salire sulle spalle della sua amica, a aprire le braccia, felice, in mezzo al mare.

Sopra Lina, lo scricciolo, la sua minuta compagna di scuola.

Sì, la rassicurano le foto, guardati, avvicinati.

Fossili di fotogramma. Appesi agli angoli vuoti, tra i poster di Reddy e i DVD di Danza Stellare.

Fossili di Arianna e Lina, come dire di un brontosauro e un topino, che rendono immortale la fine.

Le foglie cadono tra i capelli di Arianna. Inutili. Morte.

Lei le calpesta, le ignora, l’attenzione dentro e oltre le foto.

Queste, lo sa già, le porterà con sé tutta la vita.

La psicologa ha sentenziato che le servono a comprendere. I genitori hanno mugugnato, perplessi.

Le fotografie sono rimaste.


***


"Facciamo che io sono l'albero e tu le foglie!", aveva urlato Lina, per superare i borborigmi delle onde.

Arianna l'aveva guardata con occhi velati di mare.

"Dai, forza, con tutti i tuoi capelli, sarò un grande salice!".

"Ma va", aveva riso lei, "Peso almeno quattro volte più di te!", ma intanto aveva separato le acque fino all'amica.

Lina le arrivava al seno. Lina le guardava sempre il seno. Promontori floridi rispetto alla sua pianura.

"Un giorno me le farai baciare?", le aveva chiesto nella penombra dello spogliatoio. La scuola aveva smesso di respirare, perché era l'ultima ora prima delle vacanze estive. Perché così aveva fatto Arianna.

Un desiderio piccino, la paura che l'amica scoprisse il turgore dei capezzoli.

"Vedremo". E la maglia era calata sul petto come saracinesca.

Non aveva detto "no", non aveva detto "sì". "Vedremo" implicava la consapevolezza di una complicità maggiore.

Finalmente insieme al mare, Lina non aveva più chiesto nulla. Arianna si sentiva sollevata. O delusa, chissà.

"Non lo sai", sorride l'amica, lo sguardo che si arrampica sul suo.

"Cosa?", sussulta lei, le mani che si portano al seno.

"In acqua siamo più leggere. Ti posso prendere sulle spalle", Lina sembra convinta, "Io, magra, che ti reggo. E tu, con i capelli lunghi, fino all'acqua".

"Un salice da palude", aveva concluso Arianna, con una smorfia.

Gli occhi vedevano la scena. L'elegante sul topino, i capelli che coprono il topino. Divertente.

Al primo tentativo, Lina aveva barcollato, la testa inghiottita velocemente nel mare, come un ramoscello nel vortice. Avrebbero potuto capire. Lì c'era stato il bivio tra la vita e la morte.

Al secondo tentativo, il salice nell'acqua si era realizzato. Su un equilibrio precario, Arianna sovrastava Lina, la copriva quasi completamente con i capelli. E si sentiva potente. Lina continuava a spostarsi di lato, da una parte, dall'altra, avvolta dall'amica e da un improvviso silenzio. Arianna rideva e alzava le braccia al cielo.

Un amico, Roberto, aveva iniziato a fotografarle in rapida successione.

"Ridicole, bellissime", rideva, scattava, “Patetiche, stupende”.

Ogni foto, ogni clik, era come acqua che nutriva la pianta acquatica. O meglio, la sua chioma nera.

Arianna rideva con lui, con l’obiettivo spalancato come in un espressione di stupore. E sentiva il potere.

La schiena dritta, il seno a sfidare il vento, i lunghi capelli che scendevano fino a coprire le onde.


***


Nelle fotografia c’è un film. Sequenza dopo sequenza, piastrelle rettangolari che riempiono le pareti della stanza. Che sono le pareti della stanza.

Una ad una, in successione, raccontano.

Ogni giorno, ogni volta, senza dare tregua alla memoria.

“Sono terapeutiche”, ribadiscono ai Servizi Sociali, “Lasciatele lì”. I genitori escono da ogni colloquio con nuove ombre e rughe a testimoniare perplessità.

Le foto rimangono.

Arianna rimane, chiusa nella stanza d’autunno.

Anche Lina rimane, ma solo nelle immagini. In ogni immagine. Da quando sorride con l’amica, appena visibile sotto la mole e i capelli di lei, a quando la risata è strappata da una smorfia di dolore.

Le braccia si muovono, sfuocate tra spruzzi d’acqua, Arianna le copre gli occhi con le mani e ride, bella e giunonica.

La testa di Lina scompare, solo le mani sono protese a cercare aria, Arianna è ancora sopra di lei. Ancora ride.

Poi schiuma bianca e corpi confusi, tre braccia, una gamba che emergono. Arianna è di nuovo fuori dall’acqua, la bocca è ancora aperta, ma non ride più. Anche se è solo una foto, si sente l’urlo di dolore. Riempie lo sguardo di chi scorre la sequenza. Rimbomba anche in Arianna, ogni notte. Le braccia magre di Lina, apparentemente immobili, tese nella sforzo di risalire nell’aria, le mani serrate sui capelli di Arianna. Le ciocche di capelli che si strappano, l’acqua intorno che ha una tonalità rossastra. La grande Arianna spaventata, rabbiosa, gli occhi spalancati, i denti ben disegnati, le mani che affondano nell’acqua, il corpo chinato, come a spingere. A trattenere in basso. E altre ciocche di capelli recise. Sangue sul capo di Arianna. Solo Arianna. Arianna che piange, il viso ritratto da un filtro rosso. Il suo sangue. Zolle di cuoio capelluto divelte. Sangue.

Nelle ultime due foto, Lina non esiste più.


***

Una giornata piena di ottobre, la stanza di Arianna ricoperta di foglie gialle.

Fossili d'oblio estivo ristagnano tra le pareti.

Arianna è alla finestra. Il capo chino.

Un’altra foglia si stacca dalla nuca e, discreta, si adagia sul pavimento. Lei se ne accorge, ma non la guarda.

In alcune parti i capelli stanno ricrescendo, in altre le cicatrici sono vaste.

Lina è affogata cercando di usare i suoi capelli come appiglio, li ha strappati nella foga di un respiro.

Arianna non ricorda di averlo fatto, ma le fotografie mostrano anche quello che la mente rimuove. Il tentativo di Lina l’ha spaventata, l’ha resa furiosa. Lei, così perfetta in quel momento. Per reazione ha spinto Lina ancora più a fondo, fino a quando non ha più sentito le mani strapparle i capelli.

Forse anche dopo, chissà.

L’albero è stato il loro ultimo gioco, i capelli le chiome.

Ogni mattina d’autunno Arianna scende nel giardino del palazzo, riempie una cesta di foglie morte, sale in camera, chiude fuori il mondo e si siede davanti allo specchio.

Quando ha finito con tutte le foglie, la testa è diventata chioma d’albero.







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