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"Dove scorre il fiume" - video introduzione al romanzo di Giovanni Sicuranza





Introduzione al romanzo di Giovanni Sicuranza "Dove scorre il fiume". 

L'idea nasce dalla caratteristica, in gran parte invisibile e ignorata, di Bologna, una sorta di "Venezia sepolta". 
Nelle sue viscere, infatti, scorrono fiumi, che, a brevi tratti, ancora vedono la luce, in scorci caratteristici della città e provincia, prima di tornare nell'oscurità.

Tra i link utili, segnalo: 




Il video è assemblato da una trasmissione di "Superquark" e da "Bologna sotterranea", presenti su Youtube.

L'incipit del romanzo.
Dove scorre il fiume. 
Morte sull’Aposa 
(Giovanni Sicuranza)

Corre, corre veloce oggi, come mai è riuscita a fare prima.
L’uomo la osserva, affascinato, perso tra le lame lucenti del sole che si innalzano dai suoi profili.
Con lo sguardo l’accompagna fino al masso, dove la vede aprir- si, come in oscena offerta, per poi avvolgerlo di bianca spuma.
E non può trattenersi dal sorridere, nonostante la peccaminosa similitudine.
Nonostante questo non sia il momento migliore per eccitarsi.
Ma l’acqua è impeto raro, d’estate come d’inverno, anche ora che le stagioni non hanno senso.
Però chiamarle ancora con il loro vecchio nome aiuta a elaborare il mito; lo insegnano i Maestri.
L’uomo annuisce sui pensieri della Regola, poi muove un passo, attento a non violare l’Acqua con il suo corpo.
Lei così piena di vita, lei così imprevedibile.
Pura, anche se, dopo il masso, un altro oltraggio tenta di ostruirne la corsa. Un oltraggio ben più grave.
L’uomo si morde il labbro inferiore e socchiude gli occhi.
Vede tutta l’indignazione del fiume per questo nuovo ostacolo, immondo. Sente l’acqua ribollirgli intorno, le vibrazioni rabbiose della schiuma.
- Dobbiamo rimuoverlo, signore.
Amentore Cerisoni, maresciallo capo del Presidio Religioso, abbandona quelle immagini, infastidito.
Muove un altro passo, cauto, sulla sponda umida. Il confine tra il sacro dell’acqua e il profano degli uomini.
- Il bambino dov’è?
- Signore, credo che...
Amentore ha uno scatto verso la donna al suo fianco.
- Cosa - sibila, duro - Cosa c’è, capitano Darlia? Cosa.
Lei abbassa lo sguardo, pronta.
Conosce gli spigoli del suo superiore e preferisce non continuare, non respirare nemmeno, se possibile.
E poi c’è il regolamento, chiaro. I gradi della Forza d’Ordine dei Presidi Religiosi sono da intendersi subordinati al sesso, per cui nella scala gerarchica la donna ha un potere inferiore rispetto all’uomo.
Sempre.
- Allora, capitano - insiste il maresciallo - Mi dica del bambino. - Lo abbiamo trovato seduto sulla sponda, proprio lì, di fronte. - Era nell’acqua? - si affretta a chiedere Amentore, anche se il tono è già pesante di angosce.
- No, signore - il capitano Darlia sospira, gli occhi ancora al
suolo - Per fortuna non è stato necessario sopprimerlo - un altro sospiro - Ora è nell’avio. Lo abbiamo portato lì, perché lei potesse interrogarlo e perché - una pausa - perché...
Amentore segue lo sguardo del capitano, che si alza appena, fragile, fino ad incontrare l’ostacolo blasfemo adagiato nel letto del fiume.
Allora anche lui guarda. Guarda ancora le onde che scavalcano lievi quel cadavere d’anziano e si chiede quanto energia stia sprecando l’acqua.
Il fiume Aposa è sacro. Una rarità di vita.
- Maledizione - mormora, infastidito.
Ogni cittadino di Bonomia sa bene che non può immergersi senza permesso, pena l’annullamento della carta di credito-vita e la soppressione.
Non si può insudiciare l’acqua con il corpo, a maggior ragione suicidarsi nel fiume è inconcepibile sacrilegio.
Amentore guarda il capitano che a sua volta guarda il cadavere dell’anziano, rivolto a faccia in su, gli occhi sbarrati sulla volta di pietra che racchiude l’Aposa nel suo lungo percorso sotto la città di Bonomia.
Uno sguardo velato dalle onde, che non potrà vedere nulla, mai più. Perché chi si getta nel fiume sacro perde anche l’Anima.
Amentore ha un sospiro spezzato, morso dalla rabbia.
[…]

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