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"L'anno dei dodici inverni" di Tullio Avoledo. Il mio parere


Un poeta arabo, tanto tempo fa, ha scritto che il cuore contiene ogni cosa.

Non so se è vero.

Ho imparato a non fidarmi dei poeti. Più sono bravi e più ti portano lontano dalla verità.

Ho conosciuto un solo poeta di cui potevi fidarti. Anche questo è stato molto tempo fa. O meglio, dovrei dire ‘fra molto tempo’.

Ma questa è una cosa che capirete solo alla fine, se avrete la pazienza di seguirmi in una storia che è insieme complicata e semplice.

Complicata come l’amore. Semplice come la vita. Ma si potrebbe dire anche contrario: semplice come l’amore, complicata come la vita”.

Questo è l’incipit de “L’anno dei dodici inverni” di Tullio Avoledo. Ma non voglio fermarmi all’incipit pur non andando oltre.

Qui c’è tutta la semplice poesia dell’autore, già vista in altri romanzi, come “L’elenco telefonico di Atlantide”, “Lo stato dell’Unione”, “La ragazza di Vajont”, “Breve storia di lunghi tradimenti”.

Ora, la storia in questione non può essere anticipata, senza nulla distogliere all’energia che pervade personaggi e narrazione.

È una storia che cade, goccia su goccia, dal serbatoio dell’incipit e si allaga, fino a diventare un lago di passione, tensione, colpi di scena. Una storia d’amore con un prezzo, come a volte avviene nella realtà. O sempre, se è vero che ogni rapporto è basato su un compromesso, in cui si da e si toglie.

Il protagonista de “L’anno dei dodici inverni” da molto a una famiglia estranea, sapendo che la madre, e soprattutto la bambina, non saranno solo un passaggio nella sua vita. È un uomo che scavalca il tempo, che si gioca tutto, per l’amore della bambina. È la rincorsa oltre i limiti delle coincidenze sfavorevoli, oltre la morte.

Un ritrovare lei, dopo anni, prima degli anni, durante gli anni, in una girandola di temporalità, che coinvolge il lettore nella poesia.

Anche con questo romanzo, Avoledo dimostra essenzialmente due cose: l’abilità di costruire storie e personaggi che rimangono dentro il lettore anche dopo che ha chiuso il libro, a lungo; di essere un Autore misconosciuto, per la misura, sottile ed elegante, delle sue parole.



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