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Mobbing - seconda parte -

Riconoscere il Mobbing.



Il riconoscimento tardivo del fenomeno del Mobbing è del tutto inutile nei confronti del "mobbizzato" che ha abbandonato il posto di lavoro e si trova in una condizione irrimediabile di danno e di isolamento; è quindi necessario riconoscerlo nelle sue prime fasi, onde controllarne gli effetti. Durante la prima fase è possibile percepire segnali orientativi di conflitto sul posto di lavoro solo apparentemente risolto o non risolto, con comparsa di sentimenti di sfiducia, tali da impedire ogni tentavo di risoluzione o di rappacificazione tra le parti; ecco che il conflitto non è più normale e comune, ma può agire da starter per il Mobbing. Nella seconda e nella terza fase si continua ad evitare l'argomento di scontro oggettivo per porre la discussione su un piano sfuggevole e soggettivo; ecco che cominciano ad evidenziarsi le caratteristiche proprie del Mobbing, che di seguito riportiamo:


• lamentele: sono spesso sottovalutate o considerate con senso di fastidio dal superiore, al quale il "mobbizzato" si rivolge, denunciando un clima di disagio che persiste, nei confronti della stessa persona: questo potrebbe essere un chiaro segno di inizio di Mobbing;


• pettegolezzi: é la costituzione di miti psicologici creati intorno a qualcuno; questi molto spesso nascondono veri casi di Mobbing;


• assenze protratte: si tratta di assenze connesse a disturbi psicosomatici, insorti in soggetti che non avevano mai manifestato problemi di salute e ricollegabili a stress in ambiente lavorativo; un'accurata indagine all'interno del mondo lavorativo, confrontata con la documentazione clinica prodotta, permetteranno di verificare se si tratta di una forma di Mobbing in fase di sviluppo o meno;


• assenze di informazioni: non vengono fornite informazioni necessarie alla vittima per svolgere bene il suo lavoro e farlo progredire, così che quest'ultima viene posta in posizione di svantaggio e perde qualsiasi stimolo ad intervenire in una discussione lavorativa, temendo di essere già superato;


• mancanza di comunicazione: l'assenza di comunicazione verbale, per imbarazzo o diffidenza (es.: presenza di un neo- assunto), non è un segnale di Mobbing; quest'ultimo è posto in essere allorquando nell'ambiente cessa la comunicazione, nei confronti di una singola persona, senza che si sia verificato un cambiamento esterno, mancando soprattutto argomenti di discussione connessi alle relazioni umane (sport, politica, hobbies, ecc);


• indebolimento del legame con i colleghi: si tratta di un calo d'intensità di tutti i rapporti tra i colleghi: si affievoliscono la cooperazione, la solidarietà, l'aiuto reciproco e lo spirito di squadra nei confronti della vittima;


• creazione di partiti: in questo caso lo sviluppo del Mobbing è segnalato dalla formazione di fazioni in lotta, ove una funge da "mobber" e l'altra è mobbizzata;


• eccesso di controllo: il controllo razionale è necessario in ogni azienda; è quando diventa ossessivo, non equo, estremo, e rivolto dai colleghi verso un altro collega, che si può parlare di azioni mobbizzanti;


• isolamento di colleghi: insieme alla mancanza di comunicazione, costituisce una delle strategie preferite dai "mobber"; si tratta di un isolamento provocato dai colleghi, non dipendente dal carattere della vittima, che normalmente si presenta socievole e affabile, né tantomeno connesso con questioni lavorative;


• paura di diversi compiti: occorre verificare se chi rifiuta un determinato compito, lo faccia per imperizia o motivi di salute, ovvero perché vuole sfuggire dal "mobber";


• trappola del fuori gioco: si tratta di una critica permanente verso una persona, concernente il lavoro, per poi spingersi alla vita privata, ai gusti e alle opinioni;


• discussioni senza fine: a differenza di un normale diverbio in cui si cerca un compromesso nel rispetto delle parti, in caso di Mobbing non c'è più un problema da risolvere poiché quest'ultimo è costituito dall'avversario stesso; si arriva così a perdita di tempo lavorativo, con intervento dell'Amministrazione alla ricerca del colpevole spesso identificato nel mobbizzato;


• litigi continui: si tratta di Mobbing quando i litigi concernono tematiche banali, coinvolgono le stesse persone e sono ininterrotti;


• rassegnazione interna: il mobbizzato mostra di svolgere il suo lavoro senza interesse personale, per costrizione;


• dimissioni: possono diventare l'ultima possibilità di sfuggire al Mobbing, costituendone un probabile segnale quando il dimissionario non ha un impiego alternativo. Tuttavia, proprio in quest'occasione spesso il mobbizzato, sciolti i legami con i colleghi, trova il coraggio di denunciare quanto subito;


• insorgenza di comportamenti maniacali: si tratta di dipendenze ossessive da qualcosa di esterno (droga, alcool, ecc...) che procurano un sollievo momentaneo ed effimero, ma che in realtà conducono ad un progressivo isolamento peggiorando la condizione del mobbizzato a tutto vantaggio del "mobber";


• tentativi (alcuni riusciti) di suicidio: è una decisione tragica ed estrema spesso anticipata da richieste di aiuto, più o meno consce, della vittima che solitamente identifica la propria situazione lavorativa come causa del gesto in un messaggio scritto chiarificatore. Questa decisione lascia tutti i colleghi increduli, in quanto la vittima era talmente isolata da non avere avuto la possibilità di manifestare segni di disagio.


Importanti, al fine del riconoscimento del Mobbing, è anche la reazione del mobbizzato che risulta differente, secondo Frey, Bente e Frenz (1995) nei due sessi. Infatti, mentre la donna reagisce con un incremento dell'attività, comportandosi nervosamente, e giustificandosi pensando che "chi lavora molto può anche sbagliare molto", l'uomo al contrario tende a diminuire l'attività verbale- gestuale, probabilmente pensando che "chi non fa nulla non sbaglia mai".


In sintesi il mobbizzato è (Walter 1993): " una persona che:


- mostra dei sintomi di malattia, si ammala, si assenta dal lavoro, si licenzia;


- è colpita da stress psichico o fenomeni psico- somatici, attraversa fasi di depressione o manie suicide;


- definisce il suo ruolo in termini di passività ("non mi fanno partecipare")


- da un lato è convinta di non avere colpa;


- dall'atro crede di sbagliare sempre tutto;


- mostra mancanza di fiducia in sé, indecisione e un senso di disorientamento generale;


- rifiuta ogni responsabilità per la situazione o accusa distruttivamente se stessa".


Lo stesso Autore, definisce i "mobber" come: " persone che:


- tra due alternative di comportamento scelgono quella più aggressiva;


- quando si trovano in una situazione di Mobbing s'impegnano attivamente affinché il conflitto prosegua e s'intensifichi;


- conoscono e accettano in modo attivo le conseguenze negative che il Mobbing ha per la vittima ("è colpa sua se lo trattiamo così");


- conoscono e accettano in modo passivo le conseguenze negative che il Mobbing ha per la vittima ("cosa devo fare io? Non l'ho fatto per cattiveria. Qualcuno deve pur perdere");


- non sono consapevoli delle conseguenze negative che il Mobbing ha per la vittima ("ma cosa c'è che non va con te? Non fare la vittima!");


- non mostrano nessun senso di colpa;


- non solo sono convinti di essere senza colpa, ma addirittura credono di fare qualcosa di buono;


- danno ad altri la colpa e sono convinti di avere soltanto reagito a delle provocazioni".






Processo diagnostico:






1. RACCOLTA DATI: • ANAMNESI (sia medica generale che psichiatrica mirata)


• SINTOMI


• RILIEVI SEMEIOLOGICI (E.O. psichiatrico: segni spontanei e segni provocati)


• TEST


2. IPOTESI DIAGNOSTICA (verificata sulla base della documentazione medica)


3. TERAPIA


4. VERIFICA






Valutazione medico- legale del Mobbing: il problema del nesso di causalità:


con la sentenza della Cassazione del 15/06/00 il Mobbing entra nella giurisprudenza italiana come entità risarcibile, sotto forma di danno biologico; in conformità a tale sentenza il mobbizzato ha diritto ad un risarcimento da parte del datore di lavoro, purchè dimostri l’esistenza del danno e il nesso di causalità tra questo e gli eventuali fenomeni persecutori sul posto di lavoro.


Proprio su quest’ultimo punto la valutazione medico legale incontra le problematiche più significative, in quanto entrano in crisi alcuni cardini di determinazione del nesso causale, quali ad esempio il criterio cronologico, a causa della variabile intercorrenza di tempo tra gli avvenimenti e le manifestazioni cliniche, o il criterio topografico, per le ripercussioni psicologiche di, ad esempio, percosse esercitate su altre regioni corporee.


Un altro problema valutativo è legato alla raccolta di dati attendibili sul fenomeno e, in particolare, la raccolta delle testimonianze, che andranno ricercate proprio fra quei colleghi ipoteticamente responsabili (o compiacenti) del Mobbing.


Inoltre, a tutt’oggi, mancano strumenti psichiatrici mirati, quali ad esempio test specifici, per porre una diagnosi di certezza.


Infine, può essere difficile stabilire se, rispetto a manifestazioni psicopatologiche, il mobbing si ponga come causa, o, piuttosto, come concausa, in associazione ad altri eventi stressanti di varia natura, e, in questo caso, quanto ruolo svolga nella patogenesi dei disturbi riscontrati.






Il Mobbing e la Giurisprudenza:


se lo Stato si preoccupa di tutelare il cittadino nel momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, e ancor più segue il lavoratore stesso durante l’attività lavorativa, nell’ambito in questione, la tutela fondamentale è fornita dagli art. della Costituzione 2 , 3 , 4 .


L’art. 35 Cost. stabilisce che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.


L’art. 46 Cost. individua un momento di grande sintesi e armonia nel mondo produttivo: la Repubblica riconosce, infatti, il diritto dei lavoratori a partecipare effettivamente alla gestione dell’attività imprenditoriale, nell’ottica dello spirito collaborativo. Il fine è la valorizzazione economico-sociale del lavoro compatibilmente alle libere scelte imprenditoriali. L’art. 2094 c.c. definisce il prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga a prestare la propria attività, in cambio della retribuzione, secondo un rapporto non solo di subordinazione ma soprattutto di collaborazione. Queste posizioni che compongono il diritto al lavoro sono resi pienamente effettivi, qualora vengano garantite condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro. A tale scopo viene in soccorso l’art. 32 Cost. che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Un’applicazione dei principi generali sopra indicati è rappresentata dalla previsione contenuta nell’art. 37 Cost. che assicura alla donna lavoratrice le condizioni idonee all’adempimento "della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. L’art. 32 trova un addentellato nella materia del lavoro nell’art. 35 (che stabilisce che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni") e nell’art. 41 (che prevede che l’iniziativa economica privata "non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza , alla libertà , alla dignità umana).


Relativamente alla materia che qui si tratta, occorre dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c. in forza del quale "l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Inoltre, l’art. 9 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970 n° 300) prevede che i lavoratori, mediante i sindacati, hanno diritto di accertare l’attuazione delle norme antinfortunistiche sul posto di lavoro. Possono, inoltre, " promuovere la ricerca " e pretendere che vengano attuate le misure di cui all’art. 2087 c.c. Le norme indicate hanno "ispirato" il legislatore nella emanazione delle norme di settore tra le quali ricordiamo: il DPR 19 marzo 1956 n° 303; il DPR 27 aprile 1955 n° 547; il Dlg 15 agosto 1991 n° 277; il Dlg 19 settembre 1994 n° 626 e successive modificazioni. L’art. 2087 c.c., secondo lo spirito della Costituzione che lo anima, è una norma generale che si applica, oltre le ipotesi espressamente previste dalle specifiche disposizioni antinfortunistiche. La tutela comprende non solo l’integrità psicofisica del lavoratore ma anche la sua personalità morale, la dignità umana, la persona nella sua essenza. La norma in questione era, fino a qualche anno fa, del tutto inapplicata. La sentenza che per prima ha accolto il termine Mobbing nel lessico giurisprudenziale, è la pronuncia emessa dal Tribunale di Torino, Sez. Lav. I grado, datata 16/XI/99 . Il Giudice, nella pronuncia in esame, identifica un chiaro caso di Mobbing. La responsabilità del danno biologico subito dalla lavoratrice è da imputare al datore di lavoro il quale in forza dell’art. 2087 c.c. deve garantire la tutela della integrità della persona del lavoratore, anche nella ipotesi in cui il comportamento lesivo principale sia stato posto in essere da un suo dipendente (capo reparto). Il datore aveva l’obbligo di controllare, di vigilare affinché le "azioni mobbizzanti" non si verificassero. Le vessazioni e il danno conseguente potevano essere concretamente impediti da una attenta e oculata attività di prevenzione da parte del datore. La persona mobbizzata ha l’onere di provare il nesso eziologico tra l’inadempimento delle misure ex art. 2087 c.c. e il danno biologico (Cass. Sez. Lav. n° 5491 del 2 maggio 2000) ; essa, però, non è tenuta a provare il Mobbing in quanto tale, poiché esso costituisce un fatto notorio, che rientra "nella comune esperienza" e può essere posto a fondamento della decisione ex art. 115 c.p.c. , previa allegazione dei fatti costitutivi da parte dell’attore. Seguendo l’impostazione giuridica delineata dalla Corte torinese, il datore di lavoro, al fine di essere esentato dalla responsabilità civile, deve dimostrare ex art. 1218 c.c. che la mancata adozione delle misure ex art. 2087 c.c. (inadempimento) è stata determinata "da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile". La giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Lav. N° 12339 del 5 novembre 1999) ha ritenuto che le cause naturali sono irrilevanti qualora sussista una causa umana, costituita cioè da un comportamento umano illecito. Il danno biologico (infarto cardiaco) conseguente alla dequalificazione professionale (danno professionale) non attenua o esclude la responsabilità del datore, solo perché il lavoratore ha una propensione al fumo di sigaretta o ha subito nel passato delle malattie che potrebbero facilitare il danno per cui si agisce. Il criterio di valutazione della responsabilità basata sulla concorrenza delle cause, trova applicazione in relazione alle condotte umane illecite. La giurisprudenza di legittimità è attualmente orientata ad affermare la responsabilità del datore per tutti i fatti lesivi che si verifichino in danno dei lavoratori e in violazione dell’art. 2087 c.c., anche se i comportamenti persecutori provengono dai suoi preposti o altri dipendenti (Cass. n° 7768 del 1995 ; Cass. Sez. Lav. n° 5094 del 18 aprile 2000, che tratta di un caso di molestie sessuali, perpetrate dal capo ufficio). Abbiamo sottolineato che per la giurisprudenza maggioritaria l’art.2087 c.c. prevede una responsabilità di tipo contrattuale perché la disposizione de qua rientra nel contenuto del contratto di lavoro (v. anche Cass. 2053/77; 3260/77; 2858/79; 28/80;2654/81;1295/82;2799/86 e le più recenti Cass. Sez. lav. 143/00; 1307/00). Non sono mancati orientamenti secondo i quali la responsabilità del datore, nelle ipotesi in esame, sia di tipo extracontrattuale ex art. 2043 c.c. In tal senso è la sentenza del Tribunale di Milano esaminata dalla Cassazione con sentenza n° 5491/2000 . In altre occasioni la Cassazione ha ammesso la concorrenza di responsabilità contrattuale ed extacontrattuale in capo al datore. (Cass. SS.UU. n° 4441 del 14/05/87; Cass. Sez. Lav. n° 411 del 24/01/90; Cass. Sez. Lav. n° 7768 del 17/07/95; Cass. Sez. Lav. n°12763 del 21/XII/98). La giurisprudenza di legittimità stabilisce che, qualora un medesimo fatto doloso o colposo integri la violazione dei diritti primari della persona, indipendentemente da un contratto (principio del neminem laedere) e la violazione di obblighi contrattuali, sussiste il concorso di responsabilità aquiliana e contrattuale. Rientra nella facoltà del danneggiato avvalersi dell’azione di tutela più opportuna in ordine all’onere probatorio (2043, 1218 c.c.), ai termini prescrizionali (prescrizione quinquennale per l’azione extracontrattuale). Qualora fosse prescritta l’azione risarcitoria per fatto illecito, il danneggiato può far valere la responsabilità contrattuale, nei termini più lunghi. Ma si può rilevare che il meccanismo risarcitorio nel settore contrattuale offre al danneggiato degli strumenti giuridici più vantaggiosi (onere probatorio sull’inadempimento degli obblighi, sul danno e sul relativo nesso causale). La giurisprudenza di merito ha ampliato la tutela del lavoratore, adottando la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. , nelle ipotesi di comportamenti vessatori o discriminatori che pongono in grave pericolo i diritti del lavoratore. Le Corti di merito, affrontando i casi di isolamento per dequalificazione, inattività forzata, ecc., hanno giustificato la tutela d’urgenza sulla base della irreparabilità del pregiudizio (periculum in mora) e sulla verosimiglianza del diritto (fumus boni iuris) (Trib. Milano Sez. Lav. II grado, 26 novembre 1999; Trib. Roma Sez. Lav. I grado, 18 aprile 2000 e altre). Dalla analisi del panorama giurisprudenziale possiamo rilevare le seguenti forme di Mobbing: danno biologico (alla salute) derivante da umiliazioni, dequalificazione professionale, demansionamento, sovraccarico di lavoro o di mansioni, lavoro usurante, danno alla sfera professionale (o danno alla immagine professionale) dovuta a i fattori sopra indicati. Possiamo rimarcare che le forme di Mobbing possono ledere la sfera della salute, in senso stretto (nel caso di infermità), la personalità morale e lo status di lavoratore (nel caso di danno professionale) la sfera personale (in tali casi si potrebbe parlare di danno esistenziale, anche sulla scorta degli ultimi sviluppi giurisprudenziali: recente sentenza del la Cassazione Sez. I n° 7713/00). Il danno biologico assume una valenza contrattuale, poiché consegue alla violazione della disposizione di cui all’art. 2087 c.c., con funzione integrativa del contratto, sulla base dell’art. 1374 c.c. Infatti, tale articolo, stabilisce che " il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge......". Inoltre, il dovere di buona fede (art. 1375 c.c.) e di correttezza (art. 1175 c.c.) impongono al datore di lavoro di garantire la sicurezza sul posto di lavoro e la tutela della integrità del lavoratore. cardine dell’ordinamento, in primis le norme costituzionali, immediatamente applicative quale l’art. 32 (tutela della persona). I casi più recenti di danno biologico affrontati dalla giurisprudenza sono i seguenti: danno biologico (infermità) derivante da lavoro usurante (Cass. Sez. Lav. n° 2455 del 2000), svolto senza il beneficio dei riposi settimanali; la sentenza in esame stabilisce che il danno de quo è distinto rispetto al danno da usura psicofisica, per il mancato godimento del riposo settimanale. Quest’ultimo danno si ritiene presunto nella imposizione delle prestazioni usuranti; il danno biologico, invece, ai fini della risarcibilità, deve essere concretamente provato (sussistenza della infermità), unitamente al nesso eziologico tra il comportamento del datore e il danno medesimo. La Cassazione in esame considera il danno biologico de quo di natura contrattuale poiché consegue ad un illecito contrattuale. La mancata concessione dei riposi settimanali integra una violazione delle previsioni contrattuali; danno biologico (infarto) derivante da sovraccarico di lavoro (Cass. Sez. Lav. n° 1307/0019). La Cassazione che si cita coglie l’occasione per ripercorrere i passaggi giurisprudenziali che hanno portato ad una piena tutela della salute, anche in campo contrattuale ex art. 32 Cost. Il Giudice di legittimità ricorda che a carico dell’imprenditore sussistono degli obblighi a tutela della integrità (artt. 32 Cost., 2087 c.c.), della dignità del lavoratore (art. 41 Cost.); danno biologico (depressione), derivante dall’isolamento fisico e psicologico del prestatore, costretto a lavorare in luogo angusto, e dalle continue e mirate umiliazioni e aggressioni verbali (Trib. Torino Sez. Lav. I grado del 16/XI/99); danno biologico (depressione e infarto al miocardio) derivante da dequalificazione professionale (Cass. Sez. Lav. n° 123339 del5/XI/99). La giurisprudenza, nella ipotesi de qua, ha escluso che la propensione al fumo di sigaretta e una arteriosclerosi coronarica possano costituire causa concorrente con la responsabilità del datore; danno biologico (disturbi nervosi con somatizzazioni quali nausee, vomiti, dolori epigastrici) derivanti da una serie di provvedimenti disciplinari ingiusti (Cass. Sez. Lav. n° 491 del 2 maggio 2000). La giurisprudenza, nella fattispecie de quo, ha ribadito la natura contrattuale dell’art. 2087 c.c. e la conseguente responsabilità del datore. Essa non ha accolto il ricorso del lavoratore, perché quest’ultimo non ha provato il nesso eziologico tra i comportamenti persecutori del datore e i pregiudizi subiti. In relazione all’onere probatorio sul nesso causale in oggetto, v’è da segnalare la sentenza della Cassazione Sez. Lav. n° 143/200020; la Cassazione che si considera, pur non entrando nel merito della decisione impugnata del Tribunale, in quanto congruamente motivata, esprime un giudizio circa la necessità (e l’onere) di provare il nesso causale tra fatto dannoso e pregiudizio. In difetto, la diffusione di accuse diffamatorie, legittimano il licenziamento, per il venir meno del rapporto fiduciario (giusta causa); in materia di molestie sessuali o atti di libidine (atti sessuali) nell’ambiente di lavoro, sono da segnalare le seguenti sentenze: Cass. sez. Lav. n° 7768 del 17/07/1995 e Cass. sez. Lav. n° 5049 del18/04/00, le quali impongono al datore di lavoro ex art. 2087 c.c. di adottare tutti i provvedimenti idonei (sanzioni disciplinari, licenziamento) a prevenire e far cessare tali comportamenti; la mancata concessione di benefici previsti dall’ordine di servizio dell’azienda, per i dipendenti meritevoli, come ritorsione nei confronti del lavoratore ad una sua azione giudiziaria precedente nei confronti dell’azienda (Cass. Sez. Lav. n° 12081 del 28X/1999). La Cassazione, nella ipotesi de qua ha confermato la illegittimità del comportamento ritorsivo dell’azienda, condannandola a reintegrare il lavoratore nei suoi diritti. La Corte di Cassazione, nella sentenza che si considera, stabilisce che l’art. 2087 c.c. " trova una fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro "…e nei limiti costituzionali (art. 41 Cost.). L’inadempimento dell’imprenditore può concretizzarsi in condotte commissive e/o omissive. Il danno biologico che ne deriva rappresenta una categoria di danno che si differenzia dal danno morale ex art. 2059 c.c., dal danno alla vita di relazione e dal danno che pregiudica la capacità reddituale in concreto; danno biologico (aggravamento e stabilizzazione di una sindrome ansioso-depressiva), causato dalle continue visite del medico fiscale , su richiesta del datore di lavoro (Cass. n° 475/99). L’ipotesi de quo è stata riconosciuta come una forma di persecuzione sistematica causante il danno alla salute, il danno morale, il danno patrimoniale, quale mancato guadagno derivante dalle "forzate dimissioni". Le richieste di controllo devono essere fondate da un intento persecutorio e discriminatorio in danno del lavoratore; danno professionale o danno alla dignità professionale , dovuto a cumulo di mansioni, anche inferiori rispetto alla professionalità acquisita (Trib. Civile di Milano, Sez. Lavoro n° 2908 del 5/XI-29/XII/99); nella ipotesi in esame, la Corte di merito succitata, stabilisce che la condizione umiliante, derivante dal cumulo di mansioni, per la volontà ripetuta e manifesta del datori di non potenziare l’organico dell’ufficio, legittima il lavoratore medesimo (nella fattispecie concreta si trattava di un giornalista capo redattore di un periodico) alle dimissioni, senza preavviso, per giusta causa ex art. 2119 c.c. o per i motivi previsti dal contratto nazionale di categoria. Nella ipotesi in esame, la lavoratrice ha diritto ad ottenere l’indennità di preavviso; danno professionale derivante dalla dequalificazione o demansionamento, in violazione dell’art. 2103 c.c. L’ipotesi in esame riguarda la lesione della sfera professionale, costituita dalle conoscenze ed esperienze lavorative acquisite sul campo e che il lavoratore ha diritto a valorizzare e migliorare in virtù dell’art. 2 Cost., dell’art. 2103 c.c. Viene, in altri termini, tutelato la sua dignità e il suo status di lavoratore, a prescindere dal verificarsi di danni biologici in senso stretto, danni morali e patrimoniali. Esso costituisce una categoria di danno autonomo rispetto alle altre ipotesi di danno ed è valutato sia nell’an (sussistenza) che nel quantum (entità), sulla base della durata del momento dequalificante, con esclusione di responsabilità, qualora l’assegnazione a mansioni inferiori abbia avuto una durata brevissima, o sia dettata da motivi organizzativi, con l’assenso del lavoratore. Il demansionamento può causare un danno all’immagine professionale del lavoratore, al suo valore di mercato, con perdita di opportunità lavorative o di progressione della carriera. In tale ipotesi, il danno ha natura patrimoniale e viene risarcito in via equitativa ex art. 1226 c.c.21, sulla base di una percentuale (25%, 50%) della retribuzione dovuta per il periodo di demansionamento (v. Pretura di Milano 16/09/94). Inoltre, il datore dovrà reintegrare il lavoratore nelle mansioni precedenti, nel rispetto dell’art. 2103 c.c. (v. Pret. Milano01/04/98 e altre). Dalle pronunce giurisprudenziali in materia di danno professionale si può arguire che la responsabilità del datore è di tipo contrattuale. Da ultimo, segnaliamo la sentenza della Cassazione Sez. Lav. n° 7395 dello 02/06/2000; la pronuncia in esame stabilisce che , in virtù dell’art. 2103 c.c., sono equivalenti le mansioni che, anche se non identiche alle precedenti, corrispondono alle competenze tecniche del lavoratore e valorizzano il suo patrimonio professionale acquisito. In via generale possiamo affermare che la giurisprudenza ammette il risarcimento in via equitativa ex art. 1226 c.c. del danno da Mobbing, data la impossibilità di determinarlo nel suo preciso ammontare.


Proposte di legge


In Parlamento giacciono alcune proposte o disegni di legge che prevedono degli strumenti per prevenire e combattere il fenomeno del Mobbing. Il DDL Camera 641022 dà una nozione molto ampia di violenza e persecuzione psicologiche, comprendenti tutti gli atti e comportamenti che i datori e lavoratori pongono in essere nei confronti del lavoratore , in maniera sistematica, duratura e predeterminata, al fine di distruggerlo psicologicamente. Il DDL in questione stabilisce che tali atti devono tradursi in lesione della capacità professionale, o pregiudicare l’autostima o provocare sindrome depressiva. All’art. 2 prevede la possibilità per il danneggiato di richiedere l’annullamento degli atti discriminatori. Un certo risalto è data all’opera di prevenzione ed informazione da parte dei datori e i sindacati, anche di concerto tra di essi (art. 3). Inoltre, all’art. 6, il giudice può disporre la pubblicità del provvedimento giurisdizionale di condanna del datore, mediante lettera agli interessati, omettendo il nome del datore medesimo. Le altre proposte di legge sono la n° 6667 e la n° 1813 che creano il reato di Mobbing. A queste si affianca il disegno di legge, già in discussione in Parlamento, sul danno biologico in generale. Per concludere, è opportuno aspettare le prime risultanze applicative del Dlgs 23 febbraio 2000 n°38, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L’art. 13, infatti, definisce in via sperimentale e ai fini della tutela assicurativa, il danno biologico "come la lesione alla integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Il risarcimento è dovuto indipendentemente dalla capacità di reddito in concreto del danneggiato". L’art. 13 prevede che, le menomazioni dal 6% al 16% sono indennizzate dall’INAIL, mediante capitale, dal 16% in su mediante rendita. E’ prevista, quindi, una franchigia per le menomazioni inferiori al 6%.


I numeri del Mobbing in Italia:


i Paesi europei in cui questo fenomeno è maggiormente studiato (le ricerche datano al massimo dieci anni), sono quelli del Nord, in particolare Svezia e Norvegia, dove l'estensione del Mobbing ha reso necessaria l'istituzione di appositi servizi di monitoraggio della salute mentale del lavoratore, in rapporto all'ambiente di lavoro, e di cliniche specializzate nel trattamento delle sue ripercussioni psichiatriche. Il primo studio si deve a Leymann che nel 1997 ha pubblicato il questionario LIPT ancora ritenuto un valido strumento d’indagine del fenomeno. Nello stesso anno Zapf pubblicava una versione modificata del LIPT idonea alla realtà tedesca, oggetto del suo studio. Anche in Italia il problema sembra avere largo riscontro, basti pensare che i dati diffusi dalla "Associazione Nazionale Mobbizzati" parlano di circa un milione di lavoratori colpiti sul territorio nazionale. Nel 1998, Ege rendeva noti i risultati di uno studio condotto in Italia con l’utilizzo del questionario LIPT da lui modificato per la realtà del nostro Paese. Ege ha sottoposto al test 301 vittime del Mobbing nelle varie regioni italiane notando:


- una prevalenza del fenomeno nel Nord Italia: 65 % (massima incidenza in Emilia Romagna:: 26,9%);


- che il 38% dei mobbizzati provenivano del settore dell’industria produttrice di beni- servizi, il 21% proveniva dalla Pubblica Amministrazione, il 15% da altri settori (es. istituti di credito, Ente Poste ecc…), il 12% dal settore scolastico ed infine l’8% da settore Sanità- Ospedaliero;


- che oltre il 66% del totale (più di 2 vittime su 3) lavoravano in aziende di oltre 100 dipendenti;


- che oltre l’80% delle vittime era adibita a mansioni impiegatizie contro l’8% circa addetto alla produzione;


- che il 13,62% era vittima di Bossing, di cui il 17% dirigenti;


- che il 48% delle vittime aveva un’età compresa tra 41 e 50 anni, mentre il 32% un’età compresa tra 31 e 40 anni e il 15% un’età compresa tra 51 e 60 anni;


- una sostanziale equivalenza tra i due sessi;


- che per il 43,5% la durata del Mobbing superava i 5 anni, mentre per il 38,5% si svolgeva in un periodo compreso tra i 3 e i 5 anni, rilevando una durata del fenomeno maggiore rispetto ai Paesi del Nord- Europa. A tale proposito è interessante ricordare come Leymann sostenga che una durata del fenomeno inferiore ai 6 mesi non debba essere interpretata come Mobbing;


- che nel 58% dei casi il “mobber” era un superiore della vittima, mentre nel 30% era un collega coadiuvato da un capo della vittima, nel 10% si trattava di un collega della vittima ed infine nel 2% ricopriva una posizione inferiore;


- che nel 43,5% il “mobber” era rappresentato sia dal sesso maschile che da quello femminile, nel 37,9% è da maschi e infine nel 18,6% da femmine;


- che nel 45,5% le azioni mobbizzanti erano perpetrate da 2- 4 persone, nel 26,2% da più di 4 persone, nel 19,9% da una sola persona e nell’8,3% da tutto il reparto;


- che il 60,08% delle vittime accusava disturbi psicosomatici consistenti in agitazione pressoché continua, mentre il 20,2% lamentava tremori frequenti;


- che l’84% delle vittime era preda di depressione.


[continua in "Mobbing - L'erosione della vita" di Giovanni Sicuranza; 8 euro su "Il mio libro", Gruppo Espresso: 
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=522493  ]

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