Olio e Aceto su Tela - Giovanni Sicuranza
Amedeo era abile nell'olio su tela; dopo il corso di cucina, pensò di avere trovato la strada del successo, perché avrebbe dato ad ogni sua opera il sapore dell'olio DOP.
Amedeo aveva talento, forse sì, e volontà, certo che sì, ma questi aneliti evolutivi si esprimevano in una combinazione fatalmente malaticcia.
L'artrite reumatoide aveva iniziato a divorargli le dita già durante i primi disegni a scuola elementare ed era così vorace che si adattò bene all'ambiente del corso di cucina, e accelerò il suo decorso maligno; eppure Amedeo andò avanti, sfumatura dopo dolore, rosso ibuprofen, amalgama di urla su tela. Lo sforzo di un anno dedicato al primo quadro, aveva reso le mani due pezzi di legno, nodosi, pulsanti inquietudine, testardi ad ogni cura. All'alba del trecentosessantacinquesimo giorno, un'alba di inizio novembre, Amedeo si accasciò sulla tela, i residui dell'olio a sfrigolare sulle dita, così densi da sovrastargli l'ultimo gemito.
Lo trovarono dopo, troppo dopo, in una stanza chiusa, decadente come un blues, con l'aria così viziata e fetente, che il padrone del palazzo, Mastro Vibrissa, pensò di correggerla subito con una damigiana di aceto; l'aceto, ecco, spiegò agli affittuari, l'aceto che tutto pulisce e tutto porta via.
Versarlo ovunque, ecco, chiosò al suo pubblico pagante, l'aceto è la soluzione più rapida ed economica per ridare sapore all'appartamento; così anche Mastro Vibrissa iniziò la sua magna opera, con vigore, e non si fermò fino a quando la damigiana esalò gli ultimi blop acetonici sui resti del defunto inquilino, sull'indecenza del moroso inquilino, sommergendo lui e quel telo ben strano, macchiato da contorte impronte di dita.
Amedeo aveva talento, forse sì, e volontà, certo che sì, ma questi aneliti evolutivi si esprimevano in una combinazione fatalmente malaticcia.
L'artrite reumatoide aveva iniziato a divorargli le dita già durante i primi disegni a scuola elementare ed era così vorace che si adattò bene all'ambiente del corso di cucina, e accelerò il suo decorso maligno; eppure Amedeo andò avanti, sfumatura dopo dolore, rosso ibuprofen, amalgama di urla su tela. Lo sforzo di un anno dedicato al primo quadro, aveva reso le mani due pezzi di legno, nodosi, pulsanti inquietudine, testardi ad ogni cura. All'alba del trecentosessantacinquesimo giorno, un'alba di inizio novembre, Amedeo si accasciò sulla tela, i residui dell'olio a sfrigolare sulle dita, così densi da sovrastargli l'ultimo gemito.
Lo trovarono dopo, troppo dopo, in una stanza chiusa, decadente come un blues, con l'aria così viziata e fetente, che il padrone del palazzo, Mastro Vibrissa, pensò di correggerla subito con una damigiana di aceto; l'aceto, ecco, spiegò agli affittuari, l'aceto che tutto pulisce e tutto porta via.
Versarlo ovunque, ecco, chiosò al suo pubblico pagante, l'aceto è la soluzione più rapida ed economica per ridare sapore all'appartamento; così anche Mastro Vibrissa iniziò la sua magna opera, con vigore, e non si fermò fino a quando la damigiana esalò gli ultimi blop acetonici sui resti del defunto inquilino, sull'indecenza del moroso inquilino, sommergendo lui e quel telo ben strano, macchiato da contorte impronte di dita.
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[immagine: "Fluer", Mario Pitarresi, http://www.ioarte.org/artisti/Mario-Pitarresi/] |
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