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Facciamo un gioco




Facciamo un gioco

Giovanni Sicuranza



- Facciamo un gioco - mi dice. 

So che non dovrei, ma come si fa a ascoltare i suoi aliti senza conati. 

- Facciamo un gioco - mi dice. 

E nemmeno questo dovrei, ma rabbrividisco. 

Ha sbrandellato una famiglia solo poche ore fa. 

Ancora ne porta addosso le urla di sangue e membra.

Il figlio di cinque anni, la figlia di due. Lei.

Il marito no. 

Il marito sono io. 

E vorrei che questo fosse un incubo.

- Facciamo un gioco. 

Ancora. Impassibile. 

La sua caverna nera di suoni. 

Il suo occhio mi guarda, ballerino nell'ovale dell'orbita. 

Il suo occhio piange vermi. 

- Ho ucciso, ma, vedi, non provo emozioni. 

No, conferma la mia testa, che va per conto suo, leggera sullo stupore dei  pensieri. 

- Facciamo un gioco. Se no a cosa serve ritrovarmi. 

Ci sono enormità di espressioni che è meglio non fare davanti a uno zombie che ha sterminato la tua famiglia, lo so, perché mi chiamo Vitale Dallamorte, e qui mi conoscono come il migliore medico legale, come l'appassionato di esoterismo. 

Se fossi nato solo trecento anni prima, sarei processato per stregoneria, perché si mormora che il dottor Dallamorte cerchi la vita nei defunti. Perché ho sempre lasciato che tutti lo credessero.   

Ma come faccio a non piangere, ora, mentre sembra che le sue labbra gonfie si aprano in un fetore di sorriso. 

Mentre tra i suoi denti intuisco carne mista della mia famiglia.  

- Facciamo il gioco del "tu sei me e io sono te" - mi dice, il viso che abbandona la putrefazione e diventa uomo. 

Gli occhi che riprendono vita. I capelli che rinascono in riccioli rossi, troppo simili ai tramonti. 

Troppo simili ai miei.

Si alza alla nuova forza di gravità, lento. 

Le articolazioni che scorrono l'una sull'altra, in fruscii bagnati. 

Poi. 

Guarda lungo la lapide da cui è nato, mentre le mani scivolano sul vestito elegante. Sulla giacca e sui pantaloni blu, sul completo firmato da funerale. 

Le sue mani risorte. 

E come faccio a non notare che gli manca il mignolo della mano sinistra. 

Quello che ho perso un mese fa, durante la sua autopsia. 

Non trema, la sua mano mutilata, quando mi guarda con gli occhi verdi, che sono i miei. 

- Io sono te. Tu sei me - solo questo mi spiega. 

La mano è aperta sulla bocca nera della tomba. 

Occhi negli occhi, io e lui, lui e me, in piedi tra i sussurri dell'imbrunire. 

Annuisco. 

Nella mia vita non ho mai vissuto. 

- Vai. 

Sì, gli dice la mia testa. 

Ho recitato il buon marito, il padre giocoso e severo. Ho celato la mia apatia nel lavoro a fianco della morte. Ho permesso che la gente intuisse la verità per essere vero nelle loro paure.  

Nella mia vita sono sempre stato solo. Senza me stesso. 

- Io sono te - dico all'uomo risorto. 

E mi incammino sul sentiero della nostra tomba.   


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