L’intuizione di Celestino
Giovanni Sicuranza
“Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella tua filosofia”, dice Amleto a Orazio.
Tardo pomeriggio di oggi. Nebbia tra le dune di marmo della Certosa, il cimitero di Bologna.
Un paio di minuti sulla lapide di mio zio, deceduto il 21 gennaio 1984.
L'anno del "Grande Fratello", non quello della televisione, che ancora ci era risparmiato, ma del fosco romanzo di Orwell.
Mio zio Celestino osservava le stelle, ricordo, le cercava ogni sera, anche mentre correggeva i compiti dei suoi alunni in Filosofia.
"Eh, Giovanni, forse Orwell ha ragione e forse si è ispirato a Shakespeare, alla frase di Amleto".
Io me ne stavo seduto sugli scalini in pietra del suo giardino. Erano freddi, ricordo, ma le sue elucubrazioni valevano il mio natico disagio.
Zio Celestino era il "fuori" della famiglia, il professore da cliché di una narrazione alla Giulio Verne. Ricco di un mondo di fantasie e acuzie, di associazioni stupefacenti, che facevano i salti mortali sui cammini silenziosi del resto del mio parentado.
Anche la sera del 21 gennaio 1984 si annunciava con un'associazione priva di parametri logici.
"Cosa c'entra Orwell con Shakespeare, zio?"
Un sospiro, il quaderno dello studente che si chiude, lento. Lui con lo sguardo dentro il cielo.
"Orwell racconta di un controllo globale. Amleto ricorda a Orazio che la terra e il cielo racchiudono più della filosofia"
Silenzio. Attesa sul profilo di mio zio. Le guance decadenti su zigomi eccessivi, i baffi bianchi, così decolorati da spezzare le penombre dei lampioni.
"Sai, Giovanni, comunque la rigiri, la Filosofia è sempre terrena, perché è dell'uomo"
"E' la risposta ai nostri interrogativi, no?"
"No"
Vento freddo sulle natiche, lo rammento bene.
"E' tentare di riempire il vuoto del cielo, perché chi ci osserva è lassù. Quindi, caro nipote, Orwell ha solo reso terreno l'occhio celeste e la frase di Amleto va riletta nel giusto contesto"
Mi sono spostato, prima sollevando una natica, poi l'altra.
Quella sera non riuscivo a seguire zio Celestino. Quella sera, per la prima volta, mi sembrava che i miei parenti avessero ragione a denigrarlo con "è solo un fuori di testa".
La mia impressione un attimo prima della sua morte.
"Rimetti al suo posto la Filosofia, terrena e inconcludente, e nella frase di Amleto rimane il cielo. Questo intendeva Shakespeare, questo il moto di partenza di Orwell".
Zio Celestino che allarga le braccia, che abbraccia le stelle, che forse in quel momento è davvero nelle stelle.
"Ci sono più cose in cielo, solo in cielo".
E' andato, ricordo di avere pensato, e anche che è meglio se vado anch'io.
"Alla fine, vedi, Giovanni, ci sono più cose solo in cielo. Solo in cielo".
Sono le 21.15 del 21 gennaio 1984 e zio Celestino muore su queste parole. Ucciso da un meteorite.
Uno sciame sfinito dal viaggio iniziato nella Costellazione di Orione. Piccoli pezzi di ferro, luminosi come occhi, puntati sulla Terra. E uno di loro in caduta incandescente nella fronte di zio Celestino.
Quanto rimane è un corpo plastifcato. Braccia aperte, un sorriso che si allarga di rosso tra i baffi bianchi.
Forse quella sera nemmeno lui aveva intuito quanto fosse oltre rispetto a tutti noi. Ancora una volta avanti.
"Ci sono più cose in cielo", ho fatto scrivere sulla lapide.
Semplicemente.
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