I tuoi occhi sono
stagni lucidi, che
esondano sulle guance.
Il tuo vestito nero è
un manto di paura,
che incurva le spalle.
Lontano, sento l’eco
del rollio della tempesta
nei tuoi pensieri.
La neve è caduta rossa,
come petali di rosa
dalle rughe dei miei inverni.
Sulle lame delle spade
sguainate dall’ipocrisia,
mi hanno già dato sepoltura.
Ma proprio da questo acciaio,
che mi ha tagliato il respiro e
lo ha reso muto nell’eterno,
ora puoi trovare il giardino
dove rinasce la tua primavera,
sopra i denti digrignati dei traditori.
I tuoi consanguinei non
hanno avuto la mia carne,
sepolta e celata dalla terra.
Ma tu, solo tu, hai colto i miei frutti.
Usali, e cresci, forte e amata.
Guerriera.
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