Eventi
Giovanni Sicuranza
Non so cogliere l'evento quando sussurra.
Mi guardo intorno, il diaframma diventa sottile, fragile, l'aria si ingolfa nella gola e pesa, come una lacrima mai uscita dopo anni di ferite.
Le ombre si muovono prive di ragione. Nessun refolo accompagna quella del lampadario. Eppure.
Oscillazioni ovunque, onde di ombre che vanno e vengono, mentre gli oggetti sono immobili.
Non so cogliere l'evento irrazionale, anzi, lo rifiuto.
I miei compagni mi guardano, radunati sulla scrivania. Nei loro occhi la stessa perplessità.
"Lo rifiuti eppure ne scrivi. Noi siamo il tuo irrazionale a cui dai nome e volto e dialogo".
I miei compagni sono interrogativi nella notte.
Non posso permettere che mi svelino così. Di solito sono io farlo, pagina dopo pagina, mentre li invento nei racconti.
Ecco perché mi alzo dal bordo del letto e l'istante dopo sono alla scrivania. Chiudo il mio ultimo romanzo con uno scatto. I fogli schizzano sangue dappertutto, sulle mie mani, sul muro, tra le rughe del mio volto. Li ho schiacciati tutti, lo so. Una fine orribile, ma non posso permettermi debolezze lungo le gocce nere di questa notte.
Il tonfo del libro echeggia tra le pareti anziane dell'albergo.
Il mio diaframma si spezza. Nessun dolore. Nessun respiro.
Ve l'ho detto, non so cogliere l'evento quando sussurra. Lo rifiuto.
Per questo mi fossilizzo di nuovo sul bordo del letto. Immobile come faccio da decenni, in ogni prima notte di inverno.
Non mi volto quando la porta si apre e qualcuno sbircia nella stanza. A volte, anzi, spesso fuggono, subito, veloci, la porta che rimane aperta fino all'arrivo di un altro. Altre volte, se sono in gruppo, si spingono fino al mio libro. Non lo vedono, ma ne sentono la consistenza. Me ne accorgo da come ritraggono le mani, nemmeno fossero teste di tartaruga nel guscio della giacca. Del resto, è il tonfo del volume che chiudo, quando uccido i miei personaggi, ad attirarli fin qui.
A spargere la fama della stanza infestata.
Io li osservo, questi vivi che non mi notano.
Stringo i pugni, ma ho smesso di urlare che li vedo, seduto nel letto dove mi sono ucciso perché non avevo più idee.
E se le idee muoiono, quello che rimane è ombra di vita. Tanto vale diventare ombra davvero. E vedere muoversi solo le ombre. Per sempre.
Loro, invece, gli ospiti che irrompono nella stanza, li vedo. Tutti.
Non so cogliere l'evento irrazionale, vi ho detto che lo rifiuto.
Non voglio pensare che ogni uomo, ogni donna, entrati nella stanza della mia morte, sia in realtà solo apparenza di vita. Maschera.
Non posso credere che li vedo perché i vivi, oltre i loro corpi, sono già morti dentro.
Ombre che recitano la vita.
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