Fiamme
Giovanni Sicuranza
Fumo.
E sotto, le fiamme.
E erba.
- Guarda come brucia, sembra il veglione di Capodanno.
Le parole lasciano la bocca dell’uomo in ectoplasmi di vapore che si perdono nello spiazzo.
- Beh, il freddo c’è – commenta la donna con un’alzata di spalle – Ma siamo ancora lontani dalla fine dell’anno – smette di versare il caffé nelle tazze, alza lo sguardo verso l’uomo e sospira – Però non dovevamo bruciare anche questa zona.
- E perché no? – replica lui, lo sguardo che continua ad insinuarsi tra le fiamme all’orizzonte – Sono tutte erbacce da estirpare, no?
La donna si alza in piedi e ancora lo guarda, dall’alto in basso. Lui rimane seduto, a sostenerne lo sguardo.
Silenzio, spezzato dal lungo frinire del fuoco.
- Dovevamo fermarci prima di questo spiazzo, conoscevi gli ordini.
L’uomo sputa, una valanga densa di saliva che crolla su un ciuffo di erba disperso tra il pietrisco.
- Senti bella, me ne sbatto, io – con una mano indica il fuoco che ondeggia, scoppia e salta nell’aria in un esili acrobazie di fumo – Tanto qui siamo protetti dalla ghiaia. E le fiamme se ne stanno laggiù, buone, a fare il loro lavoro.
Lei ha una scatto, il piede che diventa un calcio al selciato e sputa sassi verso l’uomo.
- Ehi – fa’ lui, chiudendo d’istinto le mani sul viso – Sei matta?
- No, tu sei matto, matto del tutto – replica la donna. Poi si affloscia di nuovo a sedere, questa volta con le spalle all’uomo.
Lui ride.
- Ma, senti, dai, è sempre erbaccia da estirpare, no? Cosa importa se abbiamo esagerato un po’, dico.
- Tu hai decisamente esagerato! – sottolinea lei, più forte della voce del fuoco, gli occhi fissi sull’agonia dell’erba.
- Uffa, va bene, ho superato io la linea indicata.
L’uomo si alza, spazza via polvere e detriti dal pantalone e si porta di fronte alla donna, con un giro largo, prudente, senza avvicinarsi troppo.
Lei tenta un nuovo calcio, ma da seduta le riesce solo un’impacciata imitazione e lui è lesto ad afferrarle una caviglia.
- Lasciami, stronzo!
- Certo, ti mollo. Ma prima mi ascolti. E mi guardi, va bene?
La donna abbassa lo sguardo e lui da’ un breve strattone alla caviglia.
- Ahi.
- Va bene?
- Che vuoi? – fa’ lei, gli occhi che saltano in quelli dell’uomo, la gamba un ponte di jeans teso tra la ghiaia e le mani di lui.
- Lo sai cosa è successo laggiù, no? Lo sai?
- Che vuoi?
Le mani dell’uomo stringono. Lei cerca di sottrarsi alla presa, ma si sbilancia e cade su un fianco, la polvere che sbuffa intorno ai capelli e dentro la bocca.
- Non fingere, tanto non ti mollo!
La donna ha una rapida esplosione di tosse, tenta di puntellare le mani al suolo per sollevare almeno il viso, ma lui è lesto a girarle la caviglia e a farle mangiare nuovo terra. Allora chiude occhi e labbra e pugni mentre l’odore pesante della polvere, del pietrisco e di chissà cos’altro salta nelle narici. La voce dell’uomo le rotola addosso con impeto.
- Le ecologiste fanatiche come te mi sono sempre state sulle balle. E anche il lavoro che fai, come si chiama, l’erborista, insomma, alla farmacia, con quel banco di erbette e tisane per rincoglioniti – altro strattone alla caviglia, la ghiaia che striscia sulla guancia di lei ed aprire sottili disegni di sangue – Allora, se fai la volontaria con me per pulire i campi dalle erbacce, ti rilassi e mi fai bruciare fin dove dico, porca puttana, hai capito? – strattone, nuovi ghirigori di sangue – Hai capito?
Sì, fa lei con la testa, piano, attenta a non tagliarsi ancora, le lacrime che incontrano le ferite e diventano un rosa pallido sulla ghiaia.
Sì. Sì, ripete ancora, sì, sì.
L’uomo lascia andare la presa con uno sbuffo. La gamba crolla come carne morta rispondendo con altri sbuffi di polvere e terriccio.
Lei rimane ancora immobile, stupita, svuotata.
Sente i passi di lui che si avvicinano al viso e le sue palpebre si stringono ancora di più, in un abbraccio frenetico e doloroso che la esclude dal mondo esterno.
- Cos’è, collega? – l’uomo si è chinato all’altezza del suo viso, forse si è addirittura sdraiato al suolo, lo intuisce dalla voce e dall’alito ammuffito di fumo – Sei impietrita?
E poi la risata, grassa, soddisfatta, lunga, che le aggredisce le orecchie e le fa’ piovere gocce di saliva sul viso.
- Impietrita – ansima lui – Non è buffo? Te ne stai qui, mentre la tua cara erba se ne va in fuoco, e sei diventata proprio come questa ghiaia.
Un suono nuovo, sottile, di sassi che precipitano su pietrisco. La donna ha un’immagine, la bocca dell’uomo fetida di carie e fumo spalancata accanto al suo naso, una manciata di ghiaia raccolta e che filtra dalle dita di lui al suolo, accanto ai profili del suo volto.
- Dimmi, saputella, come si chiama l’erba che sto bruciando?
No, fa lei, ma sempre con la testa, perché le parole sono troppo deboli per incontrare questa violenza e in un rapido pensiero teme che se aprirà la bocca quella saliva sporca le entrerà dentro.
No.
- Ma sei proprio una testarda – la rimprovera l’uomo, in un tono che sembra deluso.
- Ah – esclama lei, stupita, quando avverte i primi sassi che le cadono sui capelli, come zampe di insetti.
- Dai, non facciamo notte – insiste lui, quando le mani hanno sputato tutta la ghiaia sulla donna – Che erba sto bruciando?
- Loie – inizia lei, subito interrotta da un sussulto.
- Cosa? Ma sai parlare? Prima eri tutta acidità spara sentenze e ora.
- Loietto – alza allora la voce lei – Loietto, è una specie d’erba comune, forse c’è anche della festuca e della poa, credo – termina tutto d’un fiato e subito serra di nuovo le labbra.
- Ecco, brava – l’uomo ha un sospiro che le allunga altri assaggi di fetore – Beh, per me è solo erba. Ma anche in mezzo a quell’erba c’erano dei nomi, ricordi? Ben più importanti della tua loetto.
Loietto, corregge lei, meccanicamente, quasi senza nemmeno ascoltarsi, perché ha già capito quanto il bastardo sta per dirle.
- Federico e la sua ragazza, massacrati mentre se la spassavano nel prato. Le prime vittime di quel pazzo che se ne va in giro da due anni a mutilare e uccidere – la voce dell’uomo si avvicina ancora di più al suo volto, dura come la pietra che le ha tagliato il viso e che ora lei sta raccogliendo nei pugni – Lo sai quello che fa’ alla nostra gente, no? Ne ha già ammazzati sette, come bestie. Quell’erba era macchiata di sangue, del sangue di mio fratello Federico, ed io l’ho bruciata! Hai capito, saputella?
- Ho capito, sì, stai tranquillo – gli dice finalmente lei e apre lo sguardo e i pugni, con tutto il pietrisco che getta negli occhi dell’uomo.
- Ehi! – urla lui, mentre crolla a sedere, le mani che si portano al viso – Ma che cazzo!
Lei ha un balzo, solleva il corpo e la polvere e le lacrime e il sangue. Ora il calcio è preciso, violento, in mezzo alle gambe dell’uomo.
Lui si accartoccia su se stesso come carne bruciata ed inizia ad ululare.
- So tutto – altro calcio, che esplode nello stomaco – Sono una saputella anche in questo! – e via un nuovo calcio, diretto al capo.
L’uomo ha smesso di lamentarsi. Se ne sta lì, immobile, in posizione fetale, troppo impegnato a risucchiare frammenti di aria e polvere.
Anche lei respira veloce, mentre una mano scivola sul terriccio appiccicato alla fronte e l’altra entra nel marsupio agganciato alla vita.
- Li hanno trovati tutti privi di mani e di occhi. Lo so, stronzo – si china sull’uomo e lo afferra per i capelli. Con uno strattone lo costringe a sollevare i suoi occhi, spalancati e bovini – Anche in questo ne so più di te.
Cosa?, chiedono quegli occhi dilatati di stupore. La bocca dell’uomo arranca ancora alla ricerca di fiato.
- Le erbe soffrono, come tutti noi, mai letto niente in proposito? – domanda a sua volta la donna e con la mano lancia in basso il volto di lui.
Crack, risponde il naso quando si schianta sulla ghiaia.
Allora l’uomo tenta di reagire, le braccia che zoppicano cieche nell’aria alla ricerca di lei.
Ma la donna è già in piedi.
- Guarda cosa hai fatto – mormora, lo sguardo che sale sul fumo all’orizzonte e poi scende sulla muraglia di fiamme – Hai ucciso l’erba.
Un rapido luccichio acceca lo sguardo di lui.
- Ehi, ehi – inizia, terrorizzato, rivolto alla donna che si è chinata ancora a un solo soffio dal suo volto.
Perché quel luccichio non è il bagliore del fuoco, non è il riflesso del sole sulla ghiaia.
- E’ un’ingiustizia a cui bisogna rimediare – spiega lei, scandendo bene le parole – Nessuno di voi si preoccupa della sofferenza delle erbe, no, sapete solo sfruttarle – afferra un’altra volta una ciocca dei capelli dell’uomo e lo costringe ad entrare nei suoi occhi illuminati – Per questo devo tagliarvi le mani, per farvi capire cosa si prova ad essere massacrati senza potere reagire. Per questo devo estirparvi gli occhi, perché come loro possiate solo ascoltare la morte senza poterla fronteggiare.
- Aspetta – riesce finalmente ad articolare l’uomo, in uno sforzo che gli spezza i polmoni, mentre in un angolo lontano della mente capisce che si sta pisciando addosso.
- È la punizione, capisci – conclude lei, triste – Ci sono solo io a vendicarle.
E nello spiazzo al centro delle fiamme, mentre l’erba brucia e ancora brucia, la ghiaia si riempie di urla e sangue.
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