Nessun caso per il Commissario Massimo Riserbo - capitolo quarto o della misticanza - Giovanni Sicuranza
Il Commissario Massimo Riserbo riceve il verbale sul primo caso di tomba violata, lo legge, lo comprende, sospira. L'alito condensa dubbi sulla finestra che racchiude i grigi nebbia d'autunno.
Un furto aggravato, una macchietta tra i reati, almeno nella scaletta dei casi anelati, eppure il Commissario sente il dovere di dedicare la fine della giornata al cimitero di Putrescina, rudere lapidario appollaiato sull'apice della Collina di Passo Zoppo, perché una salma svanita significa discendenti indignati, allarme sociale, articoli e chiacchiere da bar, magari condivisioni scandalizzate su Facebook.
Riserbo vede il suo profilo gonfiarsi di proteste, figurarsi, poi, mica è sparito un cadavere nessuno, no, hanno trafugato la salma di un martire cristiano.
Riflette, il Commissario, e tra le dita girano i lembi del suo borsalino nero, nero come i timori di chi vede oltre le penombre dell'autunno, di chi sale con gli occhi lungo le gobbe della collina, fino ai profili bui del cimitero.
Qualcuno indicherà il campo nomadi in equilibrio tra le discariche della collina, sotto il cimitero di Putrescina; quelli che sono i diversi, sempre, proprio quelli che osano tenersi lontano dalla società, ecco, chi altri può spingersi all'orrore, al sacrilegio di disseppellire un cristiano martirizzato, un santo, il nostro eroe, il prete che si consegnò ai nazifascisti per essere fucilato in cambio della vita di sette bambini?
Massimo Riserbo si dice che è meglio fare un salto anche nel campo nomadi, dopo il giro al cimitero, ovviamente scortato dai media, e, nella circostanza, ricordare che quelle sette vittime mancate nello scambio con il prete, Don Salvatore, poi passato alla gloria del paese come Padre Nostro, il Martire Padre Nostro, erano cuccioli rom. No, anzi, questo non lo ricorderò, decide il Commissario, sia mai, che poi qualcuno è capace di scrivere che sono un buonista, peggio, un elucubratore di sinistra.
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Questi pensieri uscirono nella nebbia mattutina del Commissario e poi si allargarono in quella della città, ma la sera già erano dispersi, per sempre. Sei ore dopo la lettura del verbale, Massimo Riserbo scoprì di avere tra le mani un caso più pesante di un trafugamento di salma.
Il Martire Padre Nostro, defunto osannato, era stato visto caracollare nella parrocchia del paese; all'uscita. giuravano i testimoni, brandiva come clava il corpo del nuovo parroco. Quando Massimo Riserbo gli sparò, Padre Nostro aveva perso fascino e guadagnato orrore; il proiettile entrò nel lobo frontale, uscì in quello occipitale e si fermò dentro il cartello che invitava i genitori a presentarsi alla scuola materna non oltre le 18; a quell'ora, madri, padri, nonne e zie, tutti erano presenti e urlavano ai loro bimbi, ma i bimbi erano sordi e muti e disarticolati; sparsi in giardino, i crani appena aperti dalla potenza di Padre Nostro, beato protettore dei cuccioli del paese.
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I primi a tornare furono i martiri e i santi e i beati.
Il Cristianesimo aveva inventato un'aldilà di gioia per i meritevoli in questa vita; soprattutto aveva basato il Credo sulla Resurrezione dei corpi, di tutti i corpi, un'idea più potente di ogni Rivoluzione, perché si trattava della prima svolta democratica della Morte; ognuno poteva contare sul potere della rinascita del corpo. Verrà il giorno in cui tornerete in beatitudine, questo diceva il Cristianesimo, e beati i poveri, anche questo diceva, sì, perché saranno i primi. Due concetti potenti, tali da creare le premesse per un varco definitivo tra il qui e l'oltre. Un richiamo irresistibile per le masse oppresse in questa vita, nei secoli dei secoli, solo che prima o poi questa Resurrezione sarebbe dovuta accadere, non importava quanto fosse irrazionale, importava la sua promessa, la sua salvifica promessa, importava la forza della fede moltiplicata per miliardi di individui in migliaia di anni. Non più un solo Lazzaro, ma la massa, gli umili come i potenti, tutti insieme, nudi di terra, si sarebbero liberati dai sudari.
I primi a uscire dalle tombe furono i cadaveri dei martiri e dei santi e dei beati. Seguirono i poveri e i dimenticati.
In tutto il mondo miliardi di corpi decisero che era giunto il tempo, ma, quando si trovarono nelle stesse società, nello stesso materialismo che li aveva afflitti, cominciarono ad incazzarsi.
Tornarono a noi, i nostri cari, i nostri antenati, i nostri figli, tornarono scheletrici e tornarono putrefatti, casa mia e casa tua, e tornarono furiosi, devastatori del mondo, cavallette enormi, fameliche.
I più giovani aggiornarono i profili r.i.p. su Facebook e Twitter e diedero vita alle prime comunità di morti, dove i "mi piace" seguivano le notizie di nuovi pasti a base di familiari.
Infine ci fu solo fame, fame di carne.
A quel punto nessuno dei ritornanti fece distinzione tra consanguinei ed estranei, nelle loro fauci diventammo tutti uguali.
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Un anno dopo la resurrezione della salma di Padre Nostro, primo martire cristiano ritornante e sbranante, le tombe sono vuote, il mondo è dei morti, il Papa e i suoi Ministri sono stati linciati da una folla impaurita di cristiani, al grido "La Resurrezione è una iattura, ridateci la Morte!", e Massimo Riserbo non ha fatto alcun sopralluogo, né rilasciato dichiarazioni ai media sull'increscioso evento della tomba vuota e sulle colpe presunte dei rom.
Unico sopravvissuto alla sagra dell'umano bollito, si è rifugiato in una casa di campagna, sotto una luna ostile, a pochi metri dal corpo di una donna, forse morta, forse no, forse amata, forse no.
E' da qui che è partita la storia di questo romanzo, ma non è da qui che può ripartire. Prima, lo capite, è accaduto ancora altro. Troppo altro per giacere tutto in questo capitolo
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