Nessun caso per il commissario Massimo
Riserbo
Giovanni Sicuranza
Primo
incipit - failure
Lo
stacanovista vede chi è in vacanza come un corpo estraneo e il massimo del
fastidio sei tu, che hai deciso di vagabondare per trentuno giorni leggeri di
niente.
Eccolo
il suo moto fugace, una smorfia di rigetto acuto; no, realizza meglio, hai
condiviso su internet le foto di quanto te la godi, di quanto nulla ti stressi,
e il rigetto ha un balzo, diventa
iperacuto, si trasforma in un raggio missile. Chi vive per lavorare, per scelta
o per necessità, vorrebbe plasmare a sua immagine e sudore chi lavora per
vivere; ti licenzierebbe, se potesse, ti estinguerebbe dal mondo.
Nella
più tollerante delle prospettive, ritiene che tu sia uno scarto ambientale.
Il
problema dello stacanovista non è esistere come stacanovista, è che i suoi
ritmi di lavoro devono essere i tuoi; se lui lavora sabato e domenica e tu
resisti, sei fuori; se ti prendi un mese di ferie, sei uno sconsiderato.
L'uomo
a cui mi rivolgo solo a questo punto annuisce, scala la marcia e svolta a
destra.
Hai
ragione, sbuffa tra iperventilazioni da sigaretta, sei un tipo fottuto dalla
grande ragione, è un po' come chi guida con il fiato del motore sul culo della
tua auto, giusto?, il problema non è che vuole guadagnare strada, e ancora più
strada, no, è che il suo ritmo è tutto concentrato in quei pochi centimetri che
vi separano, che lui stabilisce, è nell'attimo di un tamponamento dai risvolti
imprevedibili.
Siamo
arrivati?, fremo, preoccupato per questa similitudine. Guardo nello specchietto
retrovisore, che penzola dal lato passeggero con collo spezzato in chissà quale
manovra. Dietro di noi il sole africano ci cade addosso, e prima, a pochi
istanti da un tamponamento, frena l'auto di ordinanza della polizia della
Repubblica di Cabo Rojo.
Il
commissario Mjassimo Riserbo spegne il residuo della sigaretta in una lunga
inspirazione, le braci nere, le guance scavate, gli occhi rossi.
Mi
fissa, mi getta nei polmoni i metaboliti della sua nicotina, quindi dice
Bene,
autore, questo è il luogo del delitto, scendiamo e mostrami il cadavere.
Cosa
c'è che non va?
Lui
mi fissa, espira gas e mi fissa.
Credevo
che fossimo in un racconto noir, insomma, lo sai, mi hai creato apposta, io
sono il grande commissario Massimo Riserbo, indagatore seriale della tua serie
narrativa in giallo e buio, e tu, invece, mi fai esordire con un polpettone
fuori luogo sugli stacanovisti.
Ah,
è questo?
E'
questo, dico, autore, ti sembra un esordio interessante? Avresti dovuto
introdurre la scena dell'omicidio, magari annunciare la storia con particolari
sulla vittima, meglio se piccanti, credo, oppure aprire con una prospettiva
delirante sull'assassino, un particolare che non svela identità, ma arrapa le
curiosità del lettore, invece
sospira,
cerca un'altra sigaretta, quando si accorge che non ne ho create altre,
schiaccia i pugni sul volante
Non
hai slanci creativi, ammettilo, non ci vuole un Calvino per capire che ti sei
servito di questo incipit per toglierti qualche sassolino dalle scarpe.
E
anche se fosse? Io sono l'autore.
Massimo
Riserbo apre la portiera, lo scatto di un mitragliatore amplificato nel
silenzio africano, e lancia un piede al suolo.
Bravo,
autore, eccoli qui, tutti sparsi, i tuoi sassolini stacanovisti.
Cauto,
tanto cauto, lo imito, prima un piede, poi l'altro.
Mi
guardo intorno. Soffio.
Beh,
così somiglia di più ad un paesaggio africano, no?
Lunare,
edita meglio, autore, questa è atmosfera da viaggio al centro della terra,
brutta copia e in bianco e nero; ghiaia e polvere, chilometri di ghiaia,
polvere nel vento, vento di polvere. E l'asfalto che era qui, all'inizio del
tuo monologo, a che riga del tuo delirio è stato sepolto?
Vuoi
dire che questi sono tutti i sassolini delle mie scarpe?
Massimo
Riserbo apre le braccia come un cristo morente.
Io
mi guardo intorno, l'idea del mio incipit è svanita, il parcheggio del
villaggio turistico, l'auto della polizia che ci segue.
Ci
sono frammenti di sassolini tra i nostri passi e i nostri respiri, privi di
orizzonte, vuoti di narrazione.
Sei
uno stacanovista che rimugina stacanovismi, dice Massimo Riserbo, e se ne sta
così, sospeso, ad attendere che questa storia, questa trama di indagini e
omicidi tra le feste di un villaggio, abbia nuovo inizio.
Sai
cosa, caro autore, dico che ti tocca riprendere a lavorare.
***
![]() |
László Moholy-Nagy, "The Olly and Dolly sisters", around 1925 |
Secondo
incipit - play on
Il
suo collo è fragile come un passerotto, potrei spezzarlo in un istante, però
non mi va; questa notte lo vesto con il mio respiro, lo riscaldo, lo mordo e
sono leggero.
Adesso
vivo così, domani, al risveglio, penserò a come ucciderla.
Uhm,
mugula lui, uhmmm, e allenta la presa.
Il
romanzo si apre sul petto, una ferita di narrativa sul pigiama di cotone verde
palude.
E'
un buon inizio, commissario Massimo Riserbo, non dovresti interrompere così la
lettura, lasci in sospeso anche chi ti sta leggendo, rifletti.
Massimo
Riserbo cerca altro, lui, personaggio principale della serie noir dei miei
racconti, rifiuta di proseguire anche con questo inizio.
Un
altro fallimento dopo i sassolini nelle scarpe, questa è letteratura buona per
una merenda in auto-grill, borbotta, è notte, non riesco a dormire, c'è vento,
e nei romanzi noir il vento di notte dovrebbe aprire storie avvincenti, subito.
Però
quando esce dal bagno il suo umore è già sollevato, grato all'autore che non lo
ha descritto mentre apriva la patta del pigiama, tirava fuori il salsiccio
intirizzito e violaceo e infettava la tazza del cesso con piogge di urina
giallo denso.
Ma,
dico, lo hai appena fatto, ti rendi conto? Sei uno scrittore fetente, non si
mostrano i personaggi in queste situazioni!
Una
ciabatta sibila dal piede, inizia il volo dal gate del bagno, plana sul letto e
giace accanto al romanzo. Stanno bene insieme, questi oggetti rigettati,
sembrano dire che ci sono storie da assaporare solo nell'intimità domestica,
romanzi belli da leggere in solitudine, in ciabatte, trasandati, incuranti di
chi osserva, e non da condividere come stiamo facendo noi.
Oppure
che ci sono storie scritte con i piedi, corregge Massimo Riserbo, mentre si
sfila la giacca del pigiama.
Chissà
dove pensa di andare, adesso, il telefono della stanza d'albergo deve ancora
squillare, l'azione non è definita.
Massimo
Riserbo si siede sulla sponda del letto, incrocia una gamba sull'altra,
appoggia una mano sul mento, sbuffa.
Afferra
la cornetta al primo squillo.
Era
ora, finalmente sono in una storia noir, no, non dico a lei, a proposito,
scusi, chi mi cerca in questa notte ventosa di vacanza?
Si
tratta di un uomo.
Si
tratta di un turista italiano arrivato da sei giorni al Villaggio Do Maròn
della Repubblica africana di Cabo Rojo. La donna delle pulizie è entrata nei
bagni comuni dell'ingresso, quelli riservati alle donne, e lo ha trovato con i
pantaloni e la testa abbassati.
I
pantaloni all'altezza delle caviglie, la testa nel fondo del cesso. Gli slip
no, commissario, sono ancora saldi, il bordo perso dentro rivoli di ciccia. Sì,
non voglio offenderla con questi particolari, era per dire che non dovrebbe
essere stato sodomizzato, e, sì, certo che il medico legale farà l'autopsia,
ma, capisce, il punto è che questo è un posto di vacanze, relax e divertimento,
anzi, è l'orgoglio della nostra animazione, e l'animazione è vita per
definizione, mica morte. No, no che non va bene, per questo mi permetto di
disturbarla, tutti sanno che il celebre commissario Massimo Riserbo alloggia in
un albergo del nostro povero paese, e, certo, lei è qui per rilassarsi, ma il
suo aiuto sarebbe molto apprezzato anche dal console, mi creda, e come faccio a
sapere di lei, dice, e chi sono io, dice, ah, commissario, così deve essere per
dare inizio al racconto, altro non so, sono un personaggio secondario
dell'autore, nemmeno un nome mi ha dato, però sono il responsabile della
sorveglianza al Do Maròn, ecco, mi permetta, chiedevo la cortesia di un suo
intervento, se potesse trovare il responsabile entro la pagina cinque di questo
racconto, in modo da allietare i lettori e allo stesso da non rovinare la
reputazione del nostro turismo, noi, guardi, le saremo molto grati, compreremo
tutte le storie di "Nessun caso per
il commissario Massimo Riserbo" e lei avrà la dignità di dettare ogni
incipit che vuole, almeno finché l'autore di questa storia soggiornerà nella nostra
pacifica Repubblica.
La
pagina dopo è dedicata all'autocompiacimento del commissario davanti allo
specchio della stanza, al suo trasformarsi in tipico commissario noir, con
trench colore sabbia del deserto dopo una notte di pioggia, con pipa troppo
nera incorporata tra le labbra pallide, ischemiche, soffocate da decenni di
fumo, e l'occhio torvo, il destro, il sinistro non ben descritto, in costante
penombra, certo dal fascino tenebroso; non mi attardo nella descrizione, anche
se sarebbe utile a farvi sentire più familiare il personaggio, e a dare spessore
a queste pagine per una pubblicazione; e la pagina successiva, densa del
viaggio in automobile fino al parcheggio del Villaggio Do Maròn, oasi per
italiani in cerca di respiro africano, di divertimento e cucina nazionale,
sempre italiana, chiaro, con lasagne alla bolognesa e pizza della bella
margherita, con tutti i deliri che forse avete già letto sullo stacanovismo e i
sassolini d'autore, anche questa ve la risparmio, pure se sarebbe una bella
occasione per descrive il panorama da scorcio africano, la sua notte che sa di
strade decomposte, dissestate, e di lampioni defunti, anzi, mai nati, accesi
solo nei proclami del sindaco; e, ad accompagnare l'unica strada a una corsia,
fianco su fianco, da un lato il silenzio del deserto, un silenzio che si muove,
che muta forma nel vento, dall'altro il gorgoglio dell'oceano, la bava densa
delle sue onde che ha il gusto degli
istinti primordiali; un buon autore avrebbe tempo per dipingervi tutto questo,
lo sapete, e pure le stelle, come arrivano fin qui, con una superbia
sconosciuta nelle altre parti del mondo. Ma io no, forse darei dignità al mio
narrare, eppure non ho la perseveranza meravigliosa ed intricata di un down
brown, io frammento le narrazioni; se c'è un morto, devo correre al chi, e al
perché, soprattutto al perché, così accade nelle narrazioni con finale
catartico, e tu che leggi devi avere una spiegazione, e ogni personaggio deve
essere plasmato su questa spiegazione.
Solo
che Massimo Riserbo è un personaggio troppo noir, cerca i particolari, si attarda
nella loro sezione, è lento, oggi non lo narro oltre; del resto al Villaggio Do
Maròn, benessere all inclusive in terra africana, è iniziata la musica,
potente.
Molto
italiana.
(segue
se vi pare)
Prima
prospettiva - retromarcia
E'
giunto.
Il
Villaggio si apre ai suoi passi, mocassino nero dopo mocassino nero, la forma
squadrata di bare trascinate nella ghiaia.
In
filodiffusione si fronteggiano le note di "As The Dark Wave Swells";
non è un pezzo noir, anzi, fa molto Sergio Leone e spaghetti western, ma le
chitarre e gli strumenti a fiato dei Bambi Molesters hanno l'epica di notti
africane. Al Villaggio Do Maròn lo sanno e su suggerimento della Direzione
stanno piratando l'album completo per amplificarlo tra palme di dune e cedri
d'oceano.
Lui
è il commissario padre di ogni romanzo noir, lo riconoscerebbe anche chi
indossa solo frasi harmony, e ne sentirebbe l'odore maschio chiunque sospira in
cinquanta sfumature di grigio, e viene a leggerle notte su notte, perché il
giorno dopo dovrà essere moglie e mamma e babbo e condivisioni.
Lui
si chiama Massimo Riserbo, ma è come dire che Diego Armando Maradona si chiama
così, è come dare del Signore al Dio tuo, perché questa figura che spezza ogni
altra ombra all'ingresso del Villaggio Do Maròn è la mitologia delle indagini.
Fuma,
come ogni personaggio noir sa fare, eppure lui e la sua pipa sono un unico
corpo, siamesi di tutta la trama; mai si abbandonano, nemmeno quando il
commissario parla, spara, salta, fa la doccia; non quando, in questo clima
africano, dimagrisce in lunghe sedute sul water. E farà pure caldo, ma il
borsalino non manca, calato come un orologio di Dalì dall'angolo sinistro della
fronte fino a metà degli occhi, la postura da gringo del noir; si dice che dopo
centinaia di storie il cappello sia sempre questo, nero pece, e che la pece ci
sia davvero a tenerlo saldo sui capelli, ma lui smentisce, risponde che queste
sono libertà d'autore e che tu che leggi non devi farti fuorviare.
Lui
non suda, non puzza, lui non ama, lui è il granito oltre la sommatoria di tutti
i commissari noir.
L'espressione
seria, le labbra bianche e la protuberanza della pipa come linee rette che si
intersecano, immote; il sorriso c'è, un pelo di sorriso, lo intuisci quando fa
il grooming alla sua pistola, una calibro 9 lasciata dal padre. E siccome è un
personaggio noir di rilievo, anche lui ha una tragedia familiare che lo ha
segnato e che serve a renderlo più vicino all'empatia del lettore.
Mentre
Massimo Riserbo si allontana dall'ingresso, mentre i suoi passi cigolano verso
il bagno delle donne, dove lo attende il cadavere di un'incredibile storia, e
non ci legge, questo devi sapere del tuo commissario.
Massimo
era un bambino timido, balbuziente, dileggiato dai compagni di scuola, solo e
consumato dal terrore di crescere, la mamma sempre a proteggerlo, negandogli la
possibilità di sbagliare, ala di rapace, il padre poliziotto, quasi un estraneo
devoto alla missione di giustiziere della corruzione e dell'infamia, desiderio
irraggiungibile, inimitabile. Poi accade che Massimo compie dodici anni e la
mamma per festeggiare organizza una festa nel giardino dell'oratorio. Ci sono
tutti i compagni di classe, genitori inclusi, mamme soprattutto, perché in
genere in coincidenza di queste feste i padri hanno impegni inderogabili, e
queste mamme formano piccoli gruppi intenti a cercare frasi stereotipate, non
impegnative, del tipo "tua figlia
ha un vestitino che è un amore", "ti trovo ogni volta più giovane".
Queste frasi corrispondono al grooming degli scimpanzé e dei gorilla, quando un
esemplare spulcia l'altro e viceversa, servono a scaricare la tensione tra gli
individui, a rafforzare i legami comunitari, a mostrare all'altro che non si è
pericolosi. Insomma, non te la faccio lunga, anche perché nel frattempo Massimo
Riserbo è stato accolto dalla Sicurezza del Villaggio Do Maròn e immagino
vorrai essere con lui quando scopre il cadavere, però la sua tragedia devi
proprio saperla, così ti riporto a questa festicciola tutta palloncini
sorridenti e dolci colorati e cori sul coccodrillo come fa e le tagliatelle di
nonna Pina, bambini che saltano, si rincorrono, vengono agguantati da
rimproveri materni e ricominciano, e donne a gruppi da tre, massimo quattro,
agli angoli della sala dell'oratorio, da dove si muovono rapidamente per
rifornimento di bevande e cibo per poi tornare in postazione o aggregarsi ad
altri gruppi con sorrisi smaglianti.
E'
bello, chi non ha questi ricordi?
Massimo
no, Massimo
non
c'è.
Se
ne sta fuori dall'oratorio e piange, solo, silenzioso, si dispera accucciato
nell'angolo dei bagni, perché mamma ha promesso al mondo che con il taglio
della torta terrà il suo primo discorso di ringraziamento.
Ma
no o mmmamma io i io non so no no non non n mi piace ce; basta con questa
storia, con calma e ce la farai, sei uomo ormai, poi vedrai il tuo papà, sarà
contento di sapere che anche il suo erede si è comportato da eroe, che ha fatto
fuori tutte le sue paure.
E
al taglio della torna mamma chiama il suo cucciolo, una volta, ma qualcuna l'ha
visto?, io no, cara, lo chiama ancora, tre volte, adesso arriva, vedrai, e
tutto il resto accade veloce, Massimo ricorda la pistola, il papà la lascia nel
cassetto centrale dell'armadio, armata, perché non si sa mai chi può bussare
alla porta, tu, figliolo, però, non permetterti mai di prenderla, mai,
prometti, tanto un giorno sarà tua, come mio padre l'ha lasciata a me alla fine
della guerra, Massimo ricorda il peso, non della pistola, però, di quello che
aveva dentro, un peso nero e peloso come un ragno, e ricorda il mirino che
tagliava allo stomaco la mamma e le sue amiche e i compagni di classe, e
ricorda bene che il ragno moriva come le lacrime, poi ricorda il papà, il suo
enorme poliziotto che chiede, urla, impreca, domanda, ma lui non balbetta più,
lui ha perso del tutto la voce; e oggi ricorda anche che la sua infanzia
finisce così, almeno quella peggiore; dopo lo rinchiudono in un centro di
rieducazione e lì nessuno si cura di aiutarlo, lì c'è la legge del più forte, o
cresci o muori, e così Massimo esce adulto, muto e fiero, granito di
sentimenti; passa da casa, trova la pistola del padre, la prende, dice ciao
alla tomba dei genitori e si arruola nella legione straniera. Dopo sette anni
di conquiste, saccheggi, stupri e risate, guarda l'orologio e capisce che è
ora; così si sposa, lei è Mariella, bella come una stella, e lui si innamora,
si innamora davvero, e si trasforma in un biscottino, e quando Mariella sta per
partorire la prima bambina di dodici
figli desiderati, tutto di nuovo finisce. Mariella muore di parto. Massimo non
comprende altro, la stella è diventata un buco nero; vende la bambina a una
coppia sterile e fa domanda per entrare nella polizia. Crede che solo
ripercorrendo le orme del padre eroe, assicurando alla giustizia i criminali,
può trovare un'ultima ragione di riscatto. Quando lo assumono, compra una pipa;
ha scoperto che a stringere un oggetto tra le labbra può ricominciare a parlare
senza balbettii. E ha scoperto che se stringe la pipa in un abbraccio di
labbra, la bocca indolenzisce come dopo avere preso un pugno.
Da
allora l'uomo e la pipa sono unico corpo.
[segue
se vi pare]
Seconda
prospettiva - prima marcia
Massimo
Riserbo non è in questo brano.
Suppongo
che se la sia presa perché ho svelato il segreto della pipa, lui che non
conosce le emotività con cui occorre riempire i personaggi affinché una storia
funzioni. Ma tu che leggi, che stai pensando di condividere con tutto il social
network la serie completa del commissario, persino che conviene pubblicarla,
sai bene cosa intendo e comprenderai bene se, pur di non lasciare in sospeso le
prossime tre pagine, facciamo un giro intorno ai personaggi del Villaggio Do
Maròn, oasi artificiale per il benessere dei turisti italiani della Repubblica
africana di Cabo Nigro.
Ah,
era Cabo Rojo, lo so, forse il tuo sistema di navigazione non ha aggiornato il
nome dello Stato, ma mentre giacevi in trance nell'infanzia del commissario,
qui tutto è cambiato.
La
Repubblica governata da un assolutismo comunista, da cui prendeva nome Cabo Rojo,
è crollata sui fiumi del turismo occidentale, sorgente di beltà; il Presidente
e i Ministri se ne sono andati a spendere euro e promesse da qualche parte in
Russia e hanno lasciato il posto ad una Repubblica di ispirazione
antropologica; al motto di "la terra ai nostri avi", gli anziani dei
clan locali ora guidano il Paese, tutti africani puri, da cui il nuovo nome
Cabo Nigro. Può darsi che nel corso del romanzo la Repubblica cambi ancora
guida, ma gli italiani del Villaggio non se ne accorgeranno, comunque
dovrebbero essere abituati a ben altri cambiamenti affinché nulla cambi. Non
aggiungo altro, un autore che vuole vendere molte copie della propria opera non
prende posizioni politiche, al massimo accenna un passo, uno schizzo in
sottofondo, perché è la storia che deve funzionare, la storia dei propri
personaggi, intendo, mica quella sociale. Qui, soprattutto, importa che il
Villaggio Do Maròn continui ad essere un angolo di divertimento per famiglie,
per coppie, per chi giunge attratto dai corpi statuari della gente locale, che
più è giovane e bisognosa di euro meglio è per il commercio. E allora importa
sapere che i Dirigenti del Villaggio Do Maròn hanno stretto un accordo con i
clan malavitosi al governo: voi non assalite i turisti, non li depredate dei
loro euro, anzi, li proteggete con un servizio di vigilanza, e questo luogo
sarà una continua fonte di denaro che saremo lieti di spartire con ogni
fratello africano; sì, il baratto è interessante, ma, vedete, c'è solo il
problema di questo cadavere turistico; oh, no, non preoccupatevi, si tratta del
primo omicidio da quando il villaggio è stato fondato, abbiamo chiamato il
migliore esperto della narrativa noir internazionale, risolveremo il delitto
entro questa edizione; avevate detto in poche pagine; lo so, ma l'autore si
lascia prendere dalla storia, introduce sempre nuovi particolari, anche questo
aspetto della politica locale non ci voleva; signori, attenzione alla parole,
questo aspetto è il fondamento della nostra Storia, delle nostre generazioni,
ricordate, noi siamo i nostri avi, viva la Repubblica di Cabo Nigro!; viva,
viva!
Così
è, adesso Massimo Riserbo ha più pressioni per assicurare il colpevole alla
giustizia e invece non si mostra, anzi, siamo a pagina dieci del romanzo e
nemmeno il cadavere del turista italiano si vede; ricordi, se ne sta ancora lì,
accovacciato con la testa nel water dei bagni pubblici femminili, i pantaloni
calati sulle gambe, e se non lo spostano entro breve, con il cado che fa,
insomma, capisci, dovrai arieggiare ben bene il luogo in cui stai leggendo.
Non
inizia la mia buona trama noir, converrai, e allora ti presento l'altro
personaggio, la spalla misteriosa e seduttrice di ogni commissario, il suo
desiderio tormentato e spesso solo cerebrale, a meno che non decida per una
scena di sesso, che, insieme a quella di un incubo del protagonista carico di
segni premonitori, in genere è tra gli intermezzi più graditi alla trama, è
come un frizzantino servito a metà giornata.
Eccola.
Lei
muove le gambe a ritmo rap da un lato all'altro della porta del bagno delle
signore e si tratta di signore gambe, sode, slanciate, in grado di reggere e
dirigere la monta di secoli di gang band, e poi, più giù, la magia dei piedi,
piccoli, dal profilo fragile, sfiorati dal suolo con la delicatezza di un arco
appena teso, eppure forti, la spinta sensuale per questo corpo di donna.
Tutto
bene?
Si
blocca, questa femmina, le gambe incrociate una sull'altra, le mani serrate sul
basso ventre, la vestina colore frutta tropicale che si adagia sulle dune dei
seni e dei fianchi.
Tutto
bene, signora?
L'uomo
della sorveglianza non ha bisogno di descrizioni, è qui solo per spezzare il
ritmo della descrizione e lo sa, per questo ogni tanto sospira, troppo sfumato
per tentare un qualsiasi approccio con la donna.
Le
sembra, mi sto pisciando addosso e non posso entrare, tutta colpa di quel corpo
accucciato sulla tazza.
Signora,
mi scusi, tra poco arriva il commissario e lo spostiamo, se ha la cortesia di,
ehm, ritirarsi nel suo bungalow, sono certo che il servizio igienico è migliore
di questo, mi permetta.
Lei
scrolla il capo, un gesto breve, lascia che l'uomo possa vederle le onde
inquiete degli occhi, poi mostra il sorriso cattivo con cui ha imparato a
difendersi dagli umani.
Non
voglio tornare in camera, sono già qui, all'ingresso, sto uscendo, e prima
gradirei svuotare la vescica.
Pausa.
Se
non le secca.
Comprendo,
freme l'uomo, vuole accomodarsi nel mio ufficio?, ma questo non lo dice, non
osa, anzi, proprio non ne è capace; ripeto, il suo ruolo in questa trama non lo
prevede.
Può
solo sorridere impotente e osservare stupefatto la donna che entra a pieno
titolo in questa storia; un salto nel bagno, un altro, un calcio al cadavere, e
si accovaccia sulla tazza.
Signora,
la prego, singhiozza.
Si
volti, grazie.
E
l'uomo si gira, finge di osservare il soffitto dell'ingresso, i dipinti di
scene d'Africa made in Milano; in realtà vorrebbe esplodere su quella femmina
italiana o morire con questo desiderio nel corpo e così rimane fino a quando la
donna non lo oltrepassa, senza un saluto, ed esce nel buio pieno del deserto.
L'uomo
della sorveglianza svanisce, non interessa più; in fondo, non leggendone oltre,
esaudiamo il suo desiderio di morte con la voglia di lei dentro.
La
donna si affretta al parcheggio, corre a piedi nudi sulla ghiaia, i colori di
mango e papaya della veste che si gonfiano al vento; apre la portiera di una
Panda geriatrica a noleggio e mette in moto un istante prima che un'altra auto
entri nella zona di sosta.
Da
un'occhiata attraverso lo specchietto, appena incuriosita, ma non riesce a vede
il guidatore, quindi esce in retromarcia sull'unica strada che attraversa in
diagonale il Paese. A Cabo Nigro si può andare solo dalla spiaggia sud,
attrezzata per turisti, a quella nord delle baraccopoli, sconsigliata da ogni
guida; sensi unici ovunque informano che il percorso inverso non è autorizzato;
in mezzo, la città di Santa Madre Nigra - fino a ieri Santa Madre Roja - sede
del Parlamento, aperto all'inizio di ogni cambio governo, e dei negozi, anche
questi in genere chiusi, ma rapidi nello scoprire serrande e luci quando la
polvere si alza e giunge il rombo di un motore.
Alle
ore 23 locali di questo giorno di agosto, Santa Madre Nigra si accende di luci
psicadeliche, diventa l'anfiteatro di un concerto stile Pink Floyd, in un
sincronismo spettacolare, e ogni abitante, festoso, scende sulla via.
Fermati,
fermati italiana, aspetta, solo un istante, vieni a vedere le meraviglie del
mio negozio, vieni a vedere i vestiti belli per la tua bellezza, signora, vieni
con me, le migliori sculture di legno di tutta l'Africa attendono i tuoi
capelli belli d'oro, signora.
Lei
non si ferma, guida attaccata ad una smorfia di silenzio, tace e guida.
Al
suo fianco si innalza un latrato e si spegne subito, nel buio, quando la città
perde la turista.
Forza
cucciolo, siamo quasi arrivati, mormora lei, la mano destra che scende dal
volante e, leggera, affonda nel pelo sul sedile passeggero. Sente un umido
caldo percorrerle il palmo, lento e solenne come cammino di lumaca, e poi
riprendere, allora freme e finalmente ha il primo sorriso vero da quando è
entrata nella storia.
Poco
prima dell'estremità nord del Paese, dove l'oceano schiuma inquieto e i
lampioni sono svaniti, nei pressi della foresta di cedri, ferma l'auto, scende,
apre la portiera anteriore del passeggero.
Il
cane esce con un salto, annusa l'aria e inizia a rincorrersi la coda.
Lei
si inginocchia, inclina la testa da un lato, attende con una mano tesa. Dopo un
tempo non segnato da orologi, il cane si placa, con la coda bassa si avvicina,
lecca ancora la mano, scodinzola.
Bravo
cucciolo, vedrai che da questa notte starai meglio.
Due
occhi neri, enormi di infantile oscurità, dove la luna d'Africa gioca con
riflessi d'incanto, entrano nella donna.
Sai
quanti "mi piace" se ti condividessi ora, pensa lei, e intanto lo
avvolge tra le braccia, sul seno, delicata come una mamma sa fare, e sente che
il cane si rilassa. Così, mentre la notte rimane notte e la luce non appartiene
delle stelle, ma all'oceano che ribolle, e il canto non è degli animali, ma del
vento che corre nella foresta e urla la sua sorpresa quando esce sulla
spiaggia, la donna che è la nostra protagonista, e il cucciolo rapito a una
coppia vicini di bungalow, si avviano ai cedri.
E
lei fa quello che fa da quando era una ragazzina e amava tanto i cani e suo
padre le portò un carlino tutto feste e bava.
Lascia
il cucciolo ai limiti della foresta e, veloce, torna all'auto. Presto, mette in
moto, ingrana a marcia, preme sull'acceleratore, in fretta, deve fare sempre
così, presto, prima che il cucciolo torni a lei, prima di rischiare di
investirlo.
Così
la donna abbandona i cani ai limiti dei boschi, delle foreste, nelle zone
rurali dove si radunano branchi di randagi che lei stessa ha contribuito a
popolare. Se non sono suoi, li rapisce ai padroni e li porta via.
Li
lascia al loro destino, liberi, e se saranno accettati dal branco, bene, se no
sarà solo selezione naturale, e se il branco diventerà un pericolo per gli
uomini ancora meglio, sarà ristabilito quello che accadeva all'origine.
La
donna entra a Santa Madre Nigra, sono le ore 02 di un nuovo giorno che è sempre
notte, e ancora la città si accende e la chiama a sé.
Lei
prosegue, silenziosa, decisa sul pedale dell'acceleratore, la Panda che
mugugna, esausta, e quando vede un bambino a fianco di un cane, un meticcio dal
pelo grigio, vorrebbe investire il bastardo e liberare l'animale.
Idiota,
sorride rivolta al bimbo, sei come gli altri, ami i cani solo perché li abbiamo
deviati dal lupo, li abbiamo trasformati dalle bestie fiere che sono in
caricature per la nostra compagnia; un incrocio genetico ed ecco a voi un
barboncino, un altro e guardate che bel beagle; idiota, idiota criminale.
Il
bimbo alza una mano, un saluto timido, e lei si accorge che gli mancano tutte
le dita.
Se
le ha divorate il tuo cane, vanne fiero; chi li ama davvero dovrebbe
abbandonarli, tutti, dovrebbe lasciarli liberi di tornare alla loro natura di
branco, non plasmarli a somiglianza dell'uomo.
Abbandonate
i vostri cani, urlerebbe adesso, mentre la città si spegne, rassegnata di nuovo
alla sua perdita.
È
solo un grido della mente; una volta si sentiva frustrata, incompresa,
diventava furiosa, persino rabbiosa, ma ha appreso l'autocontrollo quando ha
smesso di litigare con quel fottuto addestratore di cani da caccia del
fratello, quando lo ha abbandonato, pezzo su pezzo, alla gioia di un branco di
randagi.
Del
resto ha una reputazione da osservare, è la professoressa Magnifica Alfa,
richiesta ovunque per consulenze, persino in questo deserto africano, dove
hanno problemi di centinaia di razze canine abbandonate, diventate selvagge,
pericolose.
Lei,
nota studiosa dei comportamenti del lupo, di questi problemi se ne intende.
Per
questo non urla, non più, per questo sorride a ogni notte che vive.
(segue
se vi pare)
Terza
prospettiva - in folle
Il
cadavere giace supino sul marmo lindo del Villaggio Do Maròn, e così lo trova
il commissario, dopo che ha aperto la porta del bagno delle donne.
E'
scivolato?, chiede, gli occhi che filtrano dal borsalino, squarciano veli di
pipa e giungono all'addome del morto.
Nossignore,
voce di comparsa dietro le spalle; lui nemmeno si volta, occhi sulla t-shirt
dell'uomo, altezza ombelico, dove la scritta "Cabo Rojo No Stress"
diventa più grande, con effetto lente d'ingrandimento.
Avevate
detto che era reclinato sulla tazza delle signore.
Ah.
Pausa. Allora è scivolato.
Si
vede che non era ancora in rigor, non quando ha cambiato posizione.
Certo.
Si
vede che non è ancora avanza la decomposizione, l'addome non è gonfio di gas.
Certo,
signore, magari li ha espulsi prima tutti nel bagno.
Non
è uno stacco che fa ridere.
No,
ha ragione, scusi.
E
dovreste cambiargli la maglietta.
Prego?
C'è
ancora scritto Cabo Rojo.
Uh.
Massimo
Riserbo chiude gli occhi, il respiro, l'udito. Le narici diventano mani e
lingua e orecchie.
C'è
odore di urina fresca.
Lei
è un portento, commissario.
Lo
so, grazie. Dunque, inizia, e finalmente si gira verso la voce alle spalle;
l'uomo sorride bianco in un volto negro, più nero di ogni nero universo.
Massimo
Riserbo non si affanna a intuirne gli occhi, rimane nella filiere di luce dei
denti, inspira a fondo il sapore infinito della pipa; dunque, dice,
ricapitoliamo, tutto quanto ho osservato ci dice che il vostro turista è morto
da poco, non più di quattro o cinque ore, e la stima tiene conto anche della
temperatura qui, al chiuso, certamente pari a 23 gradi.
L'uomo
che sorride di bianco al bianco lo sa, ha programmato lui stesso la temperatura
del condizionatore ad inizio serata, con il numero dei gradi che brilla giallo
proprio sopra il cadavere, ma annuisce ugualmente, un bel sì sì con la testa
per compiacere l'ospite.
Posso
essere più preciso.
Ah
sì?
Sì.
Magnifico.
Mi
dica, quando Cabo Rojo è diventato Cabo Nigro?
L'uomo,
che è figlio degli avi d'Africa, che è tra i fondatori del villaggio e
promotore dell'accordo di non aggressione tra i clan e i turisti italiani, si
gratta il lobo di un orecchio, destro o sinistro nulla cambia.
Da
due ore e quarantasette minuti.
Sicuro?
Come
la notte.
Allora,
visto che l'uomo indossa ancora la maglietta di Cabo Rojo, possiamo dire che è
morto tra le 20 e le 22 scorse, minuto più, minuto meno.
Incredibile.
Alle
ventitré, al più tardi.
Incredibile.
Però
qualcosa non torna.
No?
Una
donna è stata qui dopo, sento la sua urina, l'ho detto.
Ma
come fa, scusi?
Non
ha scaricato e deve avere trattenuto a lungo la vescica, l''odore è forte;
inoltre questo è il bagno delle donne, e avverto un misto di sangue mestruale,
provi a controllare, anzi, mi faccia la cortesia di raccoglierne un campione e
poi farò urinare tutte le donne fertili del Villaggio.
No
no, mi scusi, questo no, non dobbiamo turbare i nostri turisti.
Massimo
Riserbo tace.
L'uomo
affloscia le spalle e se ne va mesto verso la tazza.
Il
commissario guarda altro, le pareti di marmo bianco, linde, splendenti come uno
spot pubblicitario, lo specchio in comune sopra la fila dei lavandini, che
riflette un tipico commissario noir e la porta d'ingresso del bagno.
E
il segno dell'assassino dov'è?, chiede, senza smettere di scrutare l'ambiente.
Sopra, sulle travi del soffitto in verde lacca, se ne stanno accucciati un paio
di ragni tarantola, una decina di insetti strani e panciuti e qualche altra
roba che striscia piano.
Come
dice, commissario?, l'uomo del Villaggio è tornato al suo fianco.
In
ogni romanzo noir il serial killer lascia un segno particolare, che so, carte
da gioco, una filastrocca, una scritta con il sangue sul muro, ah, forse dovrei
vedere se ha inciso un indizio sul cadavere.
Forse,
commissario, mi stavo giusto chiedendo quando avrebbe esaminato il corpo.
Come?
Niente,
mi scusi; un inchino; vado a cercare un bicchiere per raccogliere l'urina della
donna.
Non
la beva tutta. Sette passi dopo Massimo Riserbo è chino sul corpo del turista e
può conoscerne il viso.
La
morte lo ha già accarezzato, baciato, ha appena iniziato ad amarlo.
Il
profilo del naso è affilato, le orbite infossate.
Labbra
cianotiche, occhi spalancati e; una mano del commissario scivola sulle mutande;
immaginavo, hai ancora una bella erezione, amico.
Ora,
guardami con questi occhi verde cataratta, scommetto che erano la parte
migliore di te, ehm, a parte sotto, intendo. Sei morto per asfissia acuta,
strangolato, no, confinato in un sacchetto di plastica, anche se qui intorno
non ne vedo e scommetto anche che;
un
gesto rapido, zac!, e Massimo Riserbo solleva la maglietta;
uh,
questa poi.
Cosa
succede, commissario?
Ah,
lei, torna a proposito, lasci perdere il bicchiere e mi aiuti a rovistare nelle
tasche dei pantaloni.
E'
necessario?
Nessuna
incisione sul petto, nessun verso sull'addome, guardi, se l'assassino non ha
lasciato almeno una carta da gioco, me ne vado, esco di scena.
L'uomo
del Villaggio ha un sussulto, corre verso il cadavere, si accovaccia, anzi,
giunge scivolando con le ginocchia sul pavimento.
Non
può farci questo, la prego.
Massimo
Riserbo stinge labbra e pipa e non si capisce come fa a parlare.
Non
esiste, non esiste proprio, in ogni storia che si rispetti l'assassino lascia
la sua firma, capisce? Succede nei romanzi, nei film, insomma, è molto
realistico.
Sono
costernato.
Vogliamo
fare annoiare chi legge? Insomma, la traccia dell'assassino caratterizza il
personaggio cattivo, segna le vittime, trascina pagina dopo pagina nella sfida.
E' il gioco di ruolo a cui possono partecipare tutti, soprattutto il lettore,
per questo c'è sempre.
Massimo
Riserbo si erge in trench e borsalino, incrocia le braccia, alza la testa al
soffitto.
E'
chiaro?
Gli
insetti smettono di strisciare sulle travi.
L'uomo
del Villaggio rimane in ginocchio, la testa china all'altezza del ventre del
cadavere, come in preghiera.
E'
chiaro.
Ora,
guardi, torno nel parcheggio, fumo un po', poi entro di nuovo in scena e lei
intanto cerca bene la firma dell'assassino.
Silenzio.
Massimo
Riserbo esce dal bagno, l'uomo del Villaggio prende dalla tasca interna della
giacca la penna stilografica e un'agenda, la sfoglia fino alla prima pagina
bianca.
Rimane
un istante con la penna a mezz'aria, come una lancia degli avi pronta a colpire
la preda, teso fino a quando richiama alla memoria una strofa delle canzoni del
Villaggio. Allora inizia a scrivere, veloce, in stampatello.
(segue
se vi pare)
Quarta
prospettiva - seconda marcia
E'
come una nota che cade, senti il ritmo, tum, e dopo di lei, tum, arriva
un'altra e tutte insieme, tum tum, hanno la cadenza di gocce di pioggia
sull'asfalto.
Non
trovi?
Massimo
Riserbo accenna a un su è giù di spalle, uno movimento sfiatato.
In
realtà gradirebbe ribaltare la donna sul cofano ancora caldo della Panda da cui
è scesa, ma un commissario noir deve mostrarsi come un ghiacciaio lontano,
distaccato.
Tenebrosamente
noir, trama dixit.
Lei,
mannaggia, si avvicina, gli sfiora una mano con un refolo di capelli belli come
girasoli, gli spoglia il respiro sul collo.
Mi
riferivo alla musica in sottofondo al Villaggio, ti piace, uomo?
Lui
ha un sovraccarico virile, per poco esplode, stretto nella bidimensione di
questa pagina, e deve chiamare a raccolta tutte le caratterizzazioni del macho
noir per non mutare indifferenza.
Credo
che sia un brano dei Lycia, "And Througth the Smoke and Nails",
riconosco la voce di lui, è un sussurro che scende nei corpi. Non trovi,
maschio?
Silenzio.
Silenzio
africano, carico di inizi, di inizi che dopo rimangono inizi, sterili di
sviluppo.
Sai,
bello, credevo di essere l'unico mammifero vivente in giro a quest'ora.
Uh,
no, ce ne sono altri. E anche uno morto.
La
donna ride, forse ulula, il vento cade, la riconosce come femme fatale della
trama e dei branchi randagi, si accuccia ai suoi piedi.
Solo
la musica dei Lycia aumenta di volume, come aumentano alcuni particolari
anatomici di questi corpi di maschio e di femmina.
Il
brano "The Body Electric" che spinge a fondo verso scene di sesso
primordiale, miscelato con i sapori della terra africana.
Ecco
come Massimo Riserbo conosce Magnifica Alfa; il borsalino si erge dagli occhi,
la pipa ha un pennacchio prolungato, il trench scende dalle spalle, scivola sui
lombi.
Nemmeno
l'autore può trattenere l'uragano in uno schema noir e allora ti lascio il
tempo di intuire come lui, no, scusa, come lei lo solleva in aria e lo sbatte
sul cofano bollente della Panda.
Non
ci sono urla, tutto si accende di silenzio, che è poi solo un inizio, un inizio
africano.
Hai
avuto il sentore di sesso; lo so, una toccata breve, inidonea ad incrementare
l'attenzione - e le vendite -, ci rifaremo nel prosieguo della trama, però
capisci che c'è pur sempre questo cadavere, da troppe pagine persiste, carne e
liquidi che si trasformano nel percorso della morte, e in fondo di lui poco e
nulla sappiamo.
E'
un italiano, turista del Villaggio Do Maròn della Repubblica di Cabo Nigro,
morto tra le ore 20 e le ore 23 del giorno prima, per asfissia, si direbbe,
forse con un sacchetto di plastica, che però non si trova; attende a pancia
all'aria sul pavimento del bagno pubblico delle donne ed ora, finalmente, reca
la traccia lasciata dall'assassino, la sfida lanciata al commissario, ecco il mio
passo, segui il mio cammino, vediamo se mi prendi prima del prossimo omicidio;
prima, soprattutto, che la trama diventi noiosa per le tentazioni di editori e
lettori.
L'assassino
è tra i principali motori della narrazione noir, forse il principale anche quando
in secondo piano rispetto a chi indaga, perché nelle vittime c'è sempre la sua
firma, e tutta la storia si plasma sulla sua psicologia, si tende nello sforzo
di anticiparne le gesta.
Ogni
assassino affrontato dal commissario Massimo Riserbo lascia per compiacimento
editoriale una carta da gioco, uno sfregio di corpi, una scritta di sangue
sullo specchio.
Nel
Villaggio do Maròn non si poteva proseguire senza.
"Qui
sotto il sole
splende
il nostro ballo
Non
occorrono parole
salta
danza e fallo"
Massimo
Riserbo ha letto due volte la frase, la prima veloce, a se stesso, la seconda
adesso, piano, ad alta voce.
Cosa
significa, suda dietro di lui Magnifica Alfa.
Nessuno
l'ha fermata, troppo deciso il suo passo, troppo simili i sudori e i sospiri
con quelli del commissario, per pensare
che non sia autorizza ad entrare nella scena del crimine.
Così
Magnifica Alfa irrompe ancora una volta accanto alla morte e non è un problema,
non per il commissario, non per lei, abituata ad eliminare fisicamente, se è il
caso, spesso anche quando non lo è, i padroni di cani al guinzaglio.
L'uomo
della Direzione del Villaggio sorvola con un'occhiata il Responsabile della
Sorveglianza, gli fa un cenno con la mano, rapido, nervoso, un fremito di
esortazione, e questi schiarisce la voce.
Abbiamo
trovato il biglietto nella tasca posteriore dei pantaloni, signore, quelli
calati sulle gambe.
Ah,
Massimo Riserbo ha un tono canzonatorio, proprio quelli? Vede altri pantaloni
calati, per caso?
Ehm,
ci permetta, annuncia la Direzione, ci sarebbero i suoi, commissario.
Magnifica
Alfa geme, Massimo Riserbo sprofonda gli occhi in basso e vede afflosciarsi la
reputazione sui boxer leopardati, con la scritta "uomo" rosso
passione proprio dove ci si aspetta che un uomo esprima il suo concetto; solo
dopo i boxer e sotto la carne pallida delle ginocchia, a metà gamba, ecco il
cencio dei pantaloni.
Scusate,
bofonchia, la pipa stretta in un abbraccio doloroso, con i microbi nella dieta,
con il caldo, insomma, devo essere dimagrito negli ultimi minuti.
Quando
ritrova la dignità della stazione eretta, rilegge la frase.
"Qui
sotto il sole risplende il nostro ballo"
E
però l'omicidio risale alla sera scorsa, voce della Direzione, perché riferirsi
al sole?
Giusto,
il motivo è da cercare oltre, non nel buio, ma nella luce; non nella
solitudine, ma nella coralità di un ballo.
Sublime,
standing ovation dei presenti, bravo commissario.
Però
non comprendo questo riferimento.
Quale,
commissario?
Beh,
"non occorrono parole" significa che il dialogo non è importante,
anzi, che è la parola è inutile.
Uh,
complimenti, dottoressa Alfa.
Grazie,
commissario. E quel "fallo", ehm.
Magnifica
Alfa fa l'occhiolino al commissario, lui controlla la tenuta dei pantaloni.
Sì?
Io,
io lo so, lo so, si agita il Responsabile della Sorveglianza, una mano che
sventola in aria come bandiera nera pirata.
Bene,
dice il commissario, questa volta tocca a lei.
Il
Sorvegliante rimane per un istante immobile, la mano eretta nell'aria, il
sorriso ampio, tenace.
Allora?,
sprona la Direzione.
Sì,
scusate, l'emozione; ecco, hanno portato il turista nel bagno delle donne,
vero?
Coro
dei presenti: vero.
Gli
hanno calato i pantaloni, vero?
Vero.
L''uomo
della Sorveglianza accenna ad un inchino e prosegue
E
questo riferimento al "fallo", insomma.
Insomma?
Chiaro
riferimento sessuale, dico io, tutto per umiliare la vittima.
E
perché?, fa Massimo Riserbo.
Ah,
si affloscia l'uomo della Sorveglianza, ah, perché.
Cala
il silenzio, quel silenzio africano che non prosegue oltre; persino i Lycia non
sanno più cosa cantare.
Magnifica
Alfa si china sul cadavere; non uno screzio di ribrezzo altera la sua bella
espressione, pensa Massimo Riserbo con un sospiro d'affetto dentro i boxer.
Le
mani di lei passano sulle guance crespe del residuo d'uomo, le dita percorrono
i capelli folti, colore scarafaggio nero, sigillati dal gel, fino a uscire
all'altezza della nuca, piegate come artigli.
Lo
conosco, era qui da diversi giorni, un tipo che si faceva i fatti suoi.
Beh,
insolito per la vita di un Villaggio.
Certo
commissario, declama la Direzione, al Villaggio Do Maròn è garantito il
divertimento ogni giorno, tutti per tutti, animazione ventiquattr'ore su
ventiquattro.
Con
fuoriprogramma letali.
Ah,
commissario, è solo uno spiacevole incidente, che lei certo ci farà dimenticare
in fretta; a proposito, questo non doveva essere solo un racconto breve? Un
flash per il gusto di chi legge la pagina web dell'autore?
Un
accendino lungo, negro, tanto negro, tatuato da una "M" d'ebano per
tutta al lunghezza dell'impugnatura, sbuca da una tasca del trench; Massimo
Riserbo si prende qualche istante; accende la pipa anche se è già accesa, in un
gesto molto noir.
Tutti
attendono, persino le cose striscianti sul soffitto del bagno, tranne una,
avvolta dalle spire del fumo, attonita, che si lascia andare allo sballo di un
salto nel vuoto.
Magnifica
Alfa è lesta a fotografarla con il cellulare mentre serpeggia tra le insenature
delle mattonelle in marmo.
Una
scolopendra!, bellissima, la condivido sul web, bella cucciolotta, la taggo
con "vacanze",
"amore", "tenerezza", oh, sai quanti "mi piace"?
Sicura?,
dice Massimo Riserbo, e non smettere di tirare con la pipa, lo sguardo bavoso
sui piedi di femmina accanto all'artropode, insomma, permetti, non è come
mettere un gattino, non ha la stessa espressione paciosa.
Magnifica
Alfa esita, morde il labbro inferiore, contrae le dita dei piedi verso
l'interno, come a temere il contatto con il mostro.
Vero,
funziona solo se condivido animali che ricordano i cuccioli umani, ci
vorrebbero un micino sopra un pianoforte, che so, un cagnolino che sbadiglia,
un leone albino che fa le fusa; e con
la punta del tacco, rabbiosa, trafigge l'immondizia strisciante, che mai più
striscerà; ecco, se avessi fatto secco un leone, tutto il popolo del web
sarebbe insorto con slogan tipo "brutta schifosa", "daremo la
caccia anche te", e altri esempi di civile indignazione a comando; per
questo scolopendricidio, invece, il nulla della coscienza.
Per
cortesia!, l'uomo della Direzione batte le mani, una volta, secco, non
prolunghiamo oltre la trama; abbiamo altre notizie di quest'uomo?
L'uomo
della Sorveglianza si apre in un nuovo sorriso, tira su la mano, tesa verso il
soffitto; una tarantola si muove pigra verso le dita, nere, lieta che in questo
Villaggio ci siano tanti scarafaggi, ma le prede spariscono in fretta.
Prego,
dice la Direzione, e la Sorveglianza
abbassa la mano, prende un bloc-notes dal panciotto, e legge.
Il
cadavere era di un medico, tale Dario Parcella, provincia di Torino.
E
che ci faceva qui?
Il
turista, commissario, era arrivato una settimana fa e doveva essere nostro
ospite per un'altra settimana.
No,
intendo, nella strofa l'assassino non si cura di lui come persona, voglio dire,
non fa riferimenti specifici al nome, al luogo di provenienza, alla
professione; lo ha condotto fin qui, lo ha umiliato, lo ha ucciso e poi lo ha
trasformato in una poesia impersonale.
Come
parli bene, uomo, sospira Magnifica Alfa, occhi e capezzoli puntati sul suo
corpo.
Vada
avanti, dice lui, la pipa che si allunga tra le labbra.
Sì,
commissario; in effetti, lo diceva prima la signora, era un turista anomalo,
nel senso che non partecipava all'animazione del Villaggio.
Cioè,
freme la Direzione, niente ginnastica acquatica del buon risveglio?
Niente,
signore.
E
il gioco del musichiere di mezzogiorno, maschi contro femmine, quello sì, vero?
E l'appuntamento serale con la disco dance, quello sì, vero?
L'uomo
della Sorveglianza schiarisce la voce, si stringe nelle spalle.
Sono
spiacente, niente.
Come
fate ad esserne sicuri?
Commissario,
al Villaggio abbiamo assunto due fotografi con l'incarico di immortalare ogni
momento felice dei nostri ospiti; l'album fotografico è un successone delle
partenze, dice l'uomo della Sorveglianza.
Ci
sono anche immagini di cani con i loro proprietari?
Certo,
signora Alfa.
Bene,
posso vederle?
Sono
pubbliche, signora, esposte in video giorno dopo giorno alla reception, non lo
sapeva?
Magnifica
Alfa dice no con la testa.
Ma
questo cosa c'entra?
Niente,
scusa commissario, è la mia deformazione professionale di esperta di lupi.
Massimo
Riserbo ha un attimo di smarrimento, cerca di entrare nell'oceano degli occhi
della donna, ma lei già guarda l'uomo della Sorveglianza, gli fa persino
l'occhiolino per indurlo a proseguire, e tutto svanisce nella narrazione.
Abbiamo
per l'appunto un paio di foto di questo turista.
Bene,
si anima la Direzione, gioca a freccette?
Ehm,
no.
Ah,
certo un patito di bocce!
Nemmeno
questo, temo.
Ma,
insomma, questo-questo coso italiano, insomma, cosa è venuto a fare qui da noi,
al Villaggio do Maròn della Repubblica di Capo Nigro?
Ecco
le foto, l'uomo della Sorveglianza le allunga, cauto, al centro del locale.
Tutti
i colli dei presenti si allungano, gli esseri striscianti si radunano sulle
travi del tetto, scrutano.
E
che cos'è?, tuona la Direzione.
E'
un uomo steso sul lettino accanto alla piscina principale, foto uno e foto due.
Ho
capito, idiota, ma cosa fa?
Magnifica
Alfa tenta: legge un romanzo?
Massimo
Riserbo socchiude le palpebre, non chiede permessi, si impossessa delle foto,
le innalza al soffitto. Gli insetti, spaventati, cambiano territorio.
Questo è "I mille segreti della cattedrale", sbuffo di pipa, il thriller dell'estate, ottocentoventisette pagine di sfumature gotiche senza spessore; altro sbuffo, la mano si apre, la foto si affloscia sul pavimento, l'uomo della Sorveglianza è lesto a chinarsi per coglierla.
Uhm, qui legge un altro libro.
Un altro?, geme la Direzione.
Sì, si vede bene il titolo, "Sotto la terra qualcosa campa", autore tale Sicuranza; mah, che titolo cretino; l'uomo della Sorveglianza rimane chino a terra, anticipando il gesto del commissario, e questa volta riesce a riprendersi la foto prima che termini la caduta al suolo.
Quindi il turista italiano, questo Parcella, sarebbe venuto da noi per leggere?, barcolla l'uomo della Direzione, Solo per leggere?
Magnifica Alfa avverte uno stimolo improvviso, guarda con desiderio la tazza accanto al cadavere, poi decide che è meglio trattenersi, quantomeno per prolungarsi accanto al commissario.
Nel web ripetono tutti che leggere fa bene, che rende intelligenti; l'uomo della Sorveglianza allarga le braccia; io non so, leggo solo il regolamento del Villaggio, quello scritto all'ingresso, almeno so cosa devo sorvegliare, però sembra che chi scrive questi slogan sul potere della lettura abbia un grande seguito, insomma, come si dice in Italia, chi legge tanto ha una mela un più.
Marcia in più, dice Magnifica Alfa.
Ecco, proprio così, ricordavo della mela marcia.
Massimo Riserbo ha un grugnito; in realtà freme di due voglie: accendersi la pipa, ma la pipa arde da quando è stato descritto, e giacere con la femmina al suo fianco, nonostante Magnifica Alfa abbia appena marcato il territorio con una puzzetta.
Comunque non ha intenzione di lasciare la donna ad una-scopata-e-via; comprende che nasconde qualcosa, che deve approfondire la sua seduzione; prima, al parcheggio, ha taciuto sul mestruo di lei, così abbondante da riempire il motore della Panda, e sul particolare dell'odore di urina mestruata, che riempiva il bagno la prima volta in cui ha visto il cadavere.
Per questa notte ho saputo abbastanza, annuncia, rapido, e muove passi veloci verso l'uscita.
L'uomo della Direzione si interpone da un lato, quello della Sorveglianza dall'altro.
Massimo Riserbo pregusta il sapore del sangue sulle nocche e si chiede se adesso c'è la scena in cui fa a cazzotti giusto per soddisfare i lettori più dinamici.
Ma l'uomo della Direzione alza le mani; l'uomo della Sorveglianza, dopo una rapida occhiata, lo imita.
Cosa c'è?
Commissario, la Direzione gradirebbe risolvere subito il caso.
Ho bisogno di dormire, così, tanto per lavorare meglio dopo.
Allora dobbiamo attendere il prossimo capitolo?, la voce di Magnifica Alfa, il sussurro roco delle foglie lunghe al vento africano, te ne vai a leggere prima di dormire?
L'uomo della Direzione sorride; l'uomo della Sorveglianza, dopo una occhiata, sorride.
Massimo Riserbo no.
Si gira verso la donna, le allunga una mano.
Femmina, se leggere libri servisse davvero a renderci migliori, io, che sono il protagonista sommo di tutte le indagini noir, diventerei una divinità di conoscenza;
si avvicina, un passo sulle frattaglie della scolopendra, l'altro sospeso, il tallone nel nulla;
le porge anche l'altra mano;
siamo saturi di narrativa dallo stile piatto, dai cliché con frasi cioccolatino e finali consolatori, ci compiacciamo di queste letture volatili; aspetta, anche quando crediamo di avere tra le mani un libro di qualità, temo che questo non serva a migliorarci, non ad evolverci, intendo; sai, credo sia solo per soddisfare il nostro bisogno di narrare ed essere narrati; serve a illuderci di avere il controllo della narrazione della vita e della morte; la narrativa inizia dalle domande angoscianti del vivere, tipo dove andiamo, perché andiamo, a che ora torniamo, insomma, hai presente; magari a breve uscirà anche un gps dell'oltretomba, ma al momento ci terrorizza essere sprovvisti di coordinate e, invece, ecco che arrivano le storie e ci definiscono le forme dell'amore e della morte; uh, i personaggi, noi sì che ci facciamo male, noi siamo i sofferenti; i lettori, certo, la lettura è la loro emotività, ma ha gli attimi del sogno, dell'incubo, e si prolunga nei residui di tempo che occorrono a cancellare l'emozione lungo il risveglio; voglio dirti anche questo, leggere molti libri non apre le nostre pregiudizievoli e radicate posizioni mentali, figurati, scegliamo i testi che confermano il nostro modo di percepire, vogliamo emozioni riconoscibili, quelle empatiche per ognuno, tipo, oh, questo libro è bello, ah, quanto mi ha fatto sognare, e, wow, mi turba per quanto è profondo; gli altri libri, quelli a noi lontani, diventano scarto, oblio prima ancora di essere percepiti; alla fine, a dirtela tutta, mi chiedo quanti di questi autoproclamati lettori forti, di queste roccaforti del "leggere arricchisce la persona", non siano sociofragili, ombre che nascondono nelle letture seriali l'impotenza di vivere il mondo; altrimenti spiegami la necessità di condividere slogan del tipo "solo chi legge cresce"; facci caso, in questi mantra non importa distinguere cosa leggi, importa annunciare l'azione del leggere; per favore, non cresco se in un anno leggo decine di libri stile ipermercato o che confermano le mie vedute; mi rilasso, mi svago, e va bene, accidenti, e alla fine dell'ultima pagina dell'ultimo libro rimango con i miei limiti; insomma, quello che voglio dire, credo, è che non cresco se dentro mi entra carta su carta e non la gente, non il mondo.
Lei lo fissa.
Hai finito con il pistolotto pedagogico da cliché narrativo?
Beh, ci voleva, in genere al lettore piace condividere queste frasi, danno spessore alla trama, danno l'illusione che il romanzo si sia elevato a saggio sociale.
Lei lo fissa.
Questo è "I mille segreti della cattedrale", sbuffo di pipa, il thriller dell'estate, ottocentoventisette pagine di sfumature gotiche senza spessore; altro sbuffo, la mano si apre, la foto si affloscia sul pavimento, l'uomo della Sorveglianza è lesto a chinarsi per coglierla.
Uhm, qui legge un altro libro.
Un altro?, geme la Direzione.
Sì, si vede bene il titolo, "Sotto la terra qualcosa campa", autore tale Sicuranza; mah, che titolo cretino; l'uomo della Sorveglianza rimane chino a terra, anticipando il gesto del commissario, e questa volta riesce a riprendersi la foto prima che termini la caduta al suolo.
Quindi il turista italiano, questo Parcella, sarebbe venuto da noi per leggere?, barcolla l'uomo della Direzione, Solo per leggere?
Magnifica Alfa avverte uno stimolo improvviso, guarda con desiderio la tazza accanto al cadavere, poi decide che è meglio trattenersi, quantomeno per prolungarsi accanto al commissario.
Nel web ripetono tutti che leggere fa bene, che rende intelligenti; l'uomo della Sorveglianza allarga le braccia; io non so, leggo solo il regolamento del Villaggio, quello scritto all'ingresso, almeno so cosa devo sorvegliare, però sembra che chi scrive questi slogan sul potere della lettura abbia un grande seguito, insomma, come si dice in Italia, chi legge tanto ha una mela un più.
Marcia in più, dice Magnifica Alfa.
Ecco, proprio così, ricordavo della mela marcia.
Massimo Riserbo ha un grugnito; in realtà freme di due voglie: accendersi la pipa, ma la pipa arde da quando è stato descritto, e giacere con la femmina al suo fianco, nonostante Magnifica Alfa abbia appena marcato il territorio con una puzzetta.
Comunque non ha intenzione di lasciare la donna ad una-scopata-e-via; comprende che nasconde qualcosa, che deve approfondire la sua seduzione; prima, al parcheggio, ha taciuto sul mestruo di lei, così abbondante da riempire il motore della Panda, e sul particolare dell'odore di urina mestruata, che riempiva il bagno la prima volta in cui ha visto il cadavere.
Per questa notte ho saputo abbastanza, annuncia, rapido, e muove passi veloci verso l'uscita.
L'uomo della Direzione si interpone da un lato, quello della Sorveglianza dall'altro.
Massimo Riserbo pregusta il sapore del sangue sulle nocche e si chiede se adesso c'è la scena in cui fa a cazzotti giusto per soddisfare i lettori più dinamici.
Ma l'uomo della Direzione alza le mani; l'uomo della Sorveglianza, dopo una rapida occhiata, lo imita.
Cosa c'è?
Commissario, la Direzione gradirebbe risolvere subito il caso.
Ho bisogno di dormire, così, tanto per lavorare meglio dopo.
Allora dobbiamo attendere il prossimo capitolo?, la voce di Magnifica Alfa, il sussurro roco delle foglie lunghe al vento africano, te ne vai a leggere prima di dormire?
L'uomo della Direzione sorride; l'uomo della Sorveglianza, dopo una occhiata, sorride.
Massimo Riserbo no.
Si gira verso la donna, le allunga una mano.
Femmina, se leggere libri servisse davvero a renderci migliori, io, che sono il protagonista sommo di tutte le indagini noir, diventerei una divinità di conoscenza;
si avvicina, un passo sulle frattaglie della scolopendra, l'altro sospeso, il tallone nel nulla;
le porge anche l'altra mano;
siamo saturi di narrativa dallo stile piatto, dai cliché con frasi cioccolatino e finali consolatori, ci compiacciamo di queste letture volatili; aspetta, anche quando crediamo di avere tra le mani un libro di qualità, temo che questo non serva a migliorarci, non ad evolverci, intendo; sai, credo sia solo per soddisfare il nostro bisogno di narrare ed essere narrati; serve a illuderci di avere il controllo della narrazione della vita e della morte; la narrativa inizia dalle domande angoscianti del vivere, tipo dove andiamo, perché andiamo, a che ora torniamo, insomma, hai presente; magari a breve uscirà anche un gps dell'oltretomba, ma al momento ci terrorizza essere sprovvisti di coordinate e, invece, ecco che arrivano le storie e ci definiscono le forme dell'amore e della morte; uh, i personaggi, noi sì che ci facciamo male, noi siamo i sofferenti; i lettori, certo, la lettura è la loro emotività, ma ha gli attimi del sogno, dell'incubo, e si prolunga nei residui di tempo che occorrono a cancellare l'emozione lungo il risveglio; voglio dirti anche questo, leggere molti libri non apre le nostre pregiudizievoli e radicate posizioni mentali, figurati, scegliamo i testi che confermano il nostro modo di percepire, vogliamo emozioni riconoscibili, quelle empatiche per ognuno, tipo, oh, questo libro è bello, ah, quanto mi ha fatto sognare, e, wow, mi turba per quanto è profondo; gli altri libri, quelli a noi lontani, diventano scarto, oblio prima ancora di essere percepiti; alla fine, a dirtela tutta, mi chiedo quanti di questi autoproclamati lettori forti, di queste roccaforti del "leggere arricchisce la persona", non siano sociofragili, ombre che nascondono nelle letture seriali l'impotenza di vivere il mondo; altrimenti spiegami la necessità di condividere slogan del tipo "solo chi legge cresce"; facci caso, in questi mantra non importa distinguere cosa leggi, importa annunciare l'azione del leggere; per favore, non cresco se in un anno leggo decine di libri stile ipermercato o che confermano le mie vedute; mi rilasso, mi svago, e va bene, accidenti, e alla fine dell'ultima pagina dell'ultimo libro rimango con i miei limiti; insomma, quello che voglio dire, credo, è che non cresco se dentro mi entra carta su carta e non la gente, non il mondo.
Lei lo fissa.
Hai finito con il pistolotto pedagogico da cliché narrativo?
Beh, ci voleva, in genere al lettore piace condividere queste frasi, danno spessore alla trama, danno l'illusione che il romanzo si sia elevato a saggio sociale.
Lei lo fissa.
Tace.
Lui la fissa.
Niente altre puzzette, donna?
Cosa?
Puoi andare prima in bagno, se vuoi.
Prima di cosa, uomo?
Stiamo parlando come due personaggi da romanzo di formazione, donna.
E allora entriamo in un altro genere, uomo, tipo erotico patinato.
Lui annuisce, lei, improvvisa, gli lecca il collo.
L'uomo della Direzione ha compreso e si è dileguato; l'uomo della
Sorveglianza, dopo una rapida occhiata, ha fatto lo stesso.
Giunge il momento di cambiare scena.
(segue se vi pare)
Quinta prospettiva - gratta la marcia
Sgualciscimi.
L'uomo che è pipa e trench e borsalino emerge con la testa dalle gambe
di Magnifica Alfa, allunga le braccia verso l'alto, cieco di umori, fino a
quando raggiunge un appiglio elastico, eretto contro la gravità, stringe saldo
il capezzolo, fa lo stesso con l'altro seno, e si tira su, all'altezza del viso
rubino di lei.
Non dovevi smettere.
Massimo Riserbo scrolla la testa, da un lato, dall'altro, rapido.
I fluidi della femmina si slanciano dalla pipa satura, dai capelli,
dal naso, esondazioni dense che si disperdono a corolla sulle lenzuola.
Magnifica Alfa ha un sussulto, vede l'uomo e vede un cane che si
asciuga.
Un desiderio nuovo, diverso, le scalda il sangue.
Prendimi, maschio.
Aspetta, prima cosa hai detto?
Come?
La parola che hai usato prima.
Non capisco, ma chi se ne frega, bastardo, mi stavi facendo godere.
Fine del dialogo, il segnale è chiaro: braccia incrociate sui
seni, viso che si volta dal lato opposto, lungo la porta.
Massimo Riserbo tenta di inspirare, la pipa gli rimanda sapori di
bosco dopo la pioggia.
Hai detto "sgualciscimi".
E allora; lei non si rilassa; non è una parola volgare.
No, anzi; Massimo Riserbo batte le mani, lieve, le sfiora una spalla,
lei si ritrae; "sgualciscimi" è splendido, adatto alla trama, ha un
doppio senso che attrae il lettore, voglio dire, non è solo un'esortazione
erotica, descrive la nostra esistenza di personaggi.
Noi - pausa - noi personaggi?
Noi personaggi di carta.
Magnifica Alfa ripone uno sguardo pesante in quello di Massimo
Riserbo.
Sgualciscimi.
Sì, fa lui con la testa, gli occhi aperti, felici come quelli di un
bimbo.
Sgualciscimi, ripete lei, le mani che scendono sul petto dell'uomo,
unghie che scavano epidermide e frazionano peli.
Sì, sì, sissì.
Commissario, rilassati, prima tutto quel discorso sulla narrativa,
adesso fai l'esegesi di un mio gemito, un suono che doveva portarmi al culmine,
una nota appena, il principio di una musica intensa; "sgualciscimi" e
avresti ascoltato il mio orgasmo, invece adesso, ma dai, non siamo in un
romanzo di spessore, siamo qui; lui sussulta al tocco delle labbra sul ventre;
e siamo anche qui, dice la donna, prima di riempirsi la bocca della sua
virilità.
L'uomo inarca la schiena, Magnifica Alfa affonda, e poi ci sono
sospiri sudati, rantoli e ronchi, e ci sono articolazioni che diventano
leve di potenza e si plasmano come mai potrebbero in un corpo solo.
Dopo ore, la donna e l'uomo giacciono una accanto all'altro, la pelle
della schiena lacera di graffi, sangue che gocciola sulle lenzuola
smembrate.
L'uomo le lambisce i capezzoli, mordicchia; le dita esplorano
insenature nelle pareti buie della vagina, scivolano sulla clitoride, la
riempiono di desiderio, ricominciano, ritmo lento, ritmo veloce, dentro e
fuori, una farfalla e una valanga che sfondano confini, mescolano identità; ha
i polsi legati, la donna, con slip e reggiseno lacerati alla sponda del letto,
e ha gli occhi socchiusi, l'olfatto eretto a penetrare le sfumature del sudore
maschio; mugola, libera, femmina dai muscoli tesi, smette di pensare a lei come
a una scimmia nuda, si ritrova lupa.
Aperta al dominante.
Dopo, all'uomo sfinito, dona un morso al collo.
Ehi, vuoi divorarmi?
Lei attende un istante, un solo istante, sorride.
Però ti stai ancora eccitando, uomo.
Lasciami qui ancora un poco, ti prego, mi rilasso; le mani ruvide di
lui che tornano ai seni fieri; uhmmm, hai mica latte da offrire?
Lo sai che non servono per il latte, dice lei; le dita si allungano,
tendono l'intimo che lega i polsi, sfiorano la nuca dell'uomo, sotto il sudore
del borsalino.
Che cosa?
Solo il capezzolo è per il nutrimento dei cuccioli, il seno invece si
è sviluppato come richiamo sessuale.
Confermo, ridacchia il maschio, le labbra che si avvicinano, ne
ingoiano il turgore atavico.
Lei solleva il mento per dare spazio alla suzione, libera i polsi
senza sforzo, le mani scendono rapide sui glutei di lui, le unghie assaggiano
la consistenza muscolare.
Davvero, sussurra, e in realtà parla a se stessa, nei primati come il
macaco e lo scimpanzé le femmine eccitano i maschi con i colori accesi delle
natiche, noi donne dovevamo trovare un altro modo per richiamarvi, perché con
la statura eretta il sedere non bastava più; così l'evoluzione, che di sesso è
esperta, ci ha gonfiato qui, due glutei pettorali per ricordarvi il nostro culo
da scimmie nude; abbiamo spostato davanti il richiamo sessuale, perché i
rapporti sociali non si svolgono più tra volto e sedere; un sospiro, lui
continua a succhiare; i capezzoli hanno la forma adatta per la bocca del
neonato, sono come quelli delle altre specie di mammiferi, e il biberon è
modellato su di loro, mica sul seno, facci caso, il seno quando allatta è
scomodo, lo è per la madre, lo è per il figlio, chiedilo a qualunque puerpera;
insomma, queste tette si sono sviluppate per eccitare il maschio, non per
l'allattamento.
Massimo Riserbo emerge dalla suzione, allunga il volto su quello di
lei, sulle labbra rosse e dischiuse che lasciano intravedere gli incisivi, i
canini.
Hai mai allattato?
La femmina è rapida, stringe le mani sulla nuca del maschio, lo
costringe a flettere il collo con violenza.
Ehi!
Fa male, uomo?
Sì.
E allora non chiedermi cose frivole.
Un'altra spinta, il collo scricchiola, ogni desiderio maschio si disperde
in questo dolore acuto.
Scommetto che nemmeno riesci a parlare, adesso, ringhia lei, scommetto
che sei troppo impegnato a respirare.
Smett smettila o o
O, o, o cosa?
E la presa svanisce.
La testa dell'uomo si affloscia sul cuscino, a un soffio dalla spalla
di lei.
Non mi interessa l'allattamento,
pausa,
Nessuno, nulla, deve diventare un peso per me.
Massimo Riserbo cerca le forze per sedersi sulla sponda del letto.
Posso darti la schiena?, chiede.
Sì, tranquillo.
Tranquillo?
Magnifica Alfa sorride, gli sfiora la pipa con la lingua, la penetra,
lambisce i suoi stessi umori.
Scusa, è che non sopporto certi argomenti.
Lui scrolla le spalle, ma non smette di massaggiarsi il collo.
Non sopporto i vincoli, le catene; anzi, meglio, non tollero i
guinzagli.
Uh?
Sì, pensa a queste povere bestie instupidite dai voleri dell'uomo,
costrette a plasmarsi su bisogni e capricci della nostra specie.
Massimo Riserbo si gira appena verso la voce.
Non capisco.
Parlo dei cani; lo sai, sono una studiosa del comportamento dei lupi.
D'accordo, ma cosa c'entrano i cani.
Pausa.
L'uomo ha sempre avuto rispetto e terrore del lupo, devi immaginarci
in Europa, in Nord America, condividere enormi distese tra migliaia di branchi;
il lupo sociale, il lupo astuto, il lupo coraggioso; e il lupo assassino, il
lupo sterminato.
Beh, sì, e il lupo trasformato in cane, in tante razze canine dopo
secoli di selezioni genetiche.
Bravo,maschio. Vuoi sapere cosa ci fa in Africa una come me?
Qui non esistono lupi.
Ma ci sono i cani. Cani che hanno bisogno di aiuto.
Vuoi dire cani randagi?
Silenzio.
Magnifica, tutto bene?
Sì, risponde lei con la testa, anche se l'uomo, che continua a darle
le spalle, non può vederla. Tende i muscoli della schiena, del bacino, delle gambe, un sincronismo
perfetto sulla pelle liscia di sudore, e ha uno slancio sul pavimento.
Massimo Riserbo si gira, l'espressione sbigottita.
Non mi dire che esci sempre così dal letto.
Lei gli dedica un occhiolino.
E' tardi, vestiti.
Per fare cosa?
Non hai ancora visto il Villaggio, non hai conosciuto nessuno
dell'animazione; insomma, forza commissario, la scena del sesso l'abbiamo
narrata, così il romanzo ha preso spessore, si è gonfiato, ha introdotto uno
degli elementi principali per vendere copie, ma la trama langue, l'indagine sul
cadavere è a un punto morto.
Bella frase, una ridondanza più nobile di "sgualciscimi",
sospira lui, e intanto si alza, ma cosa importa? In fondo, voglio dire, è così
che vanno davvero anche i rapporti tra uomo e donna, senza reale importanza.
Magnifica Alfa si avvicina; lenta, adesso, piede che sfiora il tappeto
di pelle serpente, piede che si inarca e si innalza in un adagio di sensualità,
piede tra le gambe dell'uomo, dita che si aprono e si chiudono a cercare
l'erezione.
So cosa vuoi dire, uomo.
Ah, oh, sicura?, sussulta lui.
Sì, i discorsi del corteggiamento, il sentirsi vicini con frasi dolci,
le narrazioni del proprio passato svelate a lei, a lui, ah, lo so, maschio, e
le condivisioni dichiarate degli interessi, so tutto questo cosa vuole dire.
Massimo Riserbo deglutisce saliva e testosterone, il piede di lei sale
più su, e più, a conoscere centimetri di corpo che fioriscono.
Le parole sono inganni dell'evoluzione per consolidare affetti, per
formare coppie stabili, per garantire, alla fine, la crescita dei cuccioli; in
realtà, spogliati di tutti i vestiti sociali, sacrificati i tabù, uomo e donna
hanno poco da dirsi, basta osservare le coppie dopo il primo innamoramento;
insomma, uomo e donna si avvicinano per questo; dico bene, maschio?
Geme sì, Massimo Riserbo.
Noi siamo questo, sussurra lei, solo questo.
E poi
poi basta.
Perché?
Lei ha occhi socchiusi, sotto le palpebre, l'uomo scorge iridi di
oceano ghiacciato.
La scena erotica finisce qui, commissario, ti ricordo ancora che
questo è un romanzo noir, non ha il target giusto di lettori per altre scopate;
mi hai persino legata al letto, così da rendere poetico l'erotismo anche per il
pubblico femminile.
Sì, forse dovrei imbavagliarti e prenderti da dietro; e poi sparire; e
tu dovresti attendere, tormentata nella tua routine quotidiana, vivere ogni
noia sociale tesa al nostro prossimo incontro; la donna che legge apprezza più
dell'uomo questo tormento animale; si sente libera di essere penetrata con più
foga, forse anche da più persone, maschi o femmine che siano, quando è legata;
i lacci la liberano dai tabù, pensa quante inutili restrizioni dobbiamo vincere
per conoscere il nostro corpo, mentre basterebbe, ehi, mi ascolti, femmina?
La femmina è svanita, al suo posto c'è una donna affannata a cercare i
vestiti sparsi nella stanza.
Veloce, ricomponiti, è tempo di conoscere gli altri personaggi.
Ah, e chi mai dovrei conoscere?
Lei si ferma.
E' un attimo.
Il bungalow ha un sussulto, le pareti scricchiolano, il mobilio in
legno di sandalo guaisce,
implode la porta.
A Massimo Riserbo occorre un secondo pieno di smarrimento prima di
realizzare la figura massiccia che ingombra l'uscita, enorme come il faro alla
baia degli squali di Cabo Nigro.
Ben arrivato al Villaggio, uomo, tuona l'ombra, io sono Peppone, il
capo animatore.
Massimo Riserbo sente cedere la mandibola, la pipa che oscilla nel
niente e il punto esclamativo tra le gambe, quello, diventa un puntino di
sospensione.
Io ti farò divertire, dice l'ombra, ti farò divertire ad ogni costo.
(segue se vi pare)
"Nessun caso per il commissario Massimo Riserbo"
romanzo di prossima pubblicazione di Giovanni Sicuranza; molte anteprime giacciono sparse a ritroso nella pagina o raggruppate nel blog Neurotopia al link
http://sicuranza.blogspot.it/search/label/Nessun%20caso%20per%20il%20commissario%20Massimo%20Riserbo
Invito alla lettura.
Grazie.
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