Tic e tac
Giovanni Sicuranza
A che ora muore.
Occhio alle lancette, un minuto fa non erano dove si trovano adesso e tra un altro minuto saranno oltre.
Ci siamo quasi, pensi.
L'orologio della parete è nero e fa tic.
Un altro minuto è andato.
Cosa guardi, Clio?
Il tuo tempo passare, amore, dici. Non sorridi.
Dovresti ascoltare i battiti del mio cuore, Clio.
Uhm, tipo appoggiare il viso sul tuo petto e respirare con te?
Eccole, un altro tic, sono le lame del tempo, nere, lunghe, minuti e ore che nessuno può fermare.
Non distrarti, pensi, non sorridergli, mai, che se ne vada solo come ha vissuto.
Ti prego, Clio, mi sto spegnendo.
A che ora, chiedi.
Non lo so, geme nel viso sudato.
E' magro, pelle secca sul cranio, è lungo, mandibola decadente d'agonia.
Sembra una lancetta, e quasi riesci a ridere, la prima volta da quando sei con lui, non fosse per l'attimo dopo, breve, più veloce dell'orologio.
Nera la parete, nero il respiro.
Tac, è il suono profondo di qualcosa che si rompe nella tua testa.
Scorgi appena l'espressione stupita di lui, del tuo cadavere mancato.
E poi il nero è nero.
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