Il mio tesoro – Giovanni Sicuranza
Riflesso azzurro – è il led, tranquillo
Plin – è quasi pronto, stai calmo
Riflesso azzurro – è solo il led, tranquillo, sempre il led
Plin – è quasi
Riflesso elettrico - sulle mani
Plin – pronto.
Le dita
incespicano nella maniglia, tirano, no, lo sportello non si apre, aspetta, no, IdiotaCheSono, le dita dell’altra mano
schiacciano il tasto.
Lo sportello scatta,
liscio, non turba il silenzio della casa.
Lazarus
rimane ancora immobile, la fotografia di tre minuti di attesa davanti al
microonde, il petto adesso piccolo, troppo piccolo per sopportare il battito
cardiaco, che allora se ne va in gola, sembra riempirla, sembra.
Lazarus si smuove,
uno scatto prima del panico.
Ogni volta il
barattolo scaldato al microonde ha un prezzo, ben oltre di quello al mercato
nero, ben oltre l’ansia di sentire i passi del corriere sul pianerottolo, con
il timore che un giorno si metta a bussare alla porta, per sbaglio o perché
vuole di più, ogni volta un po’ di più.
L’ultimo
ordine è stato barattato con un rotolo di carta igienica, chissà con quale
merce dovrà pagare il prossimo.
No, non è
questo il momento della trepidazione, Lazarus scuote se stesso, si aggrappa al
barattolo, l’involucro caldo come il bacio di Santina,
Santina adesso bacia i vermi,
lo sottrae
dal ventre del microonde, lo accoglie in uno sguardo annebbiato.
Il mio
barattolo.
Una lacrima
scivola lungo la guancia, Lazarus la ignora, le mani sono preziose, le mani
possono essere un pericolo e possono essere speranza.
Ora è il
momento migliore.
Se lo immagina
così, esce sul terrazzo, lui e i piedi nudi sulla distesa di sangue del
tramonto, apre il coperchio, trattiene un grido di liberazione, l’urlo della
gioia, il rantolo del piacere, penetra il viso nel contenuto.
Sì, dovrebbe
essere questo il modo migliore per assaporare il rito del barattolo, in fondo
si tratta di una sola volta al mese e ogni mese può sembrare un anno, ogni mese
non sai se quello successivo sarai ancora un recluso, forse nella conta dei
sopravvissuti, forse tra quelli bruciati dalla pandemia.
Santina il
mese scorso c’era, adesso è un numero nella memoria del cellulare, una sequenza
digitale che non risponde ai messaggi, un selfie sullo schermo con il sorriso
già predato dal virus.
Facebook è il
cimitero globale, immediato, in pochi istanti fa il giro del mondo e aggiorna
gli account.
RIP.
RIP Santina.
RIP mondo.
Rimane il
terrazzo, la prospettiva della fuga, l’occasione per ricordarsi della vita.
Tutti fuori,
tutti esposti, corpi nudi che si ripetono ai davanzali, deformi, distorti dalle
posture casalinghe, dalla sedentarietà, dagli atti di autolesionismo, tutti
distesi alle finestre, vaganti nei terrazzi, tesi ad assaporare i soffi del
vento, la pioggia che punge e rabbrividisce, l’afa che lecca la pelle.
Proprio per
questo, anche se i vicini sono ridotti a un manipolo di ombre, Lazarus diffida.
Il
distanziamento sociale è diventato l’unico modo per rivendicare le proprie
identità superstiti.
Ogni giorno
si è dilatato.
Più forte,
ostinato, assoluto.
Lazarus sa
che se qualcuno lo vedesse, se qualcuno intuisse il potere celato nel
barattolo, potrebbe assalire la sua abitazione, ucciderlo, veloce come ad ogni
respiro il virus riempie i polmoni, invincibile per disperazione, come la
ragazza del primo piano che ha appena aggredito la famiglia dirimpettaia per un
brandello di assorbenti.
Un brontolio
profondo, lo stomaco chiede se il sangue sugli assorbenti può essere nutrimento.
Da giorni
Lazarus non riesce a soddisfarlo.
Adesso però
c’è il barattolo,
adesso è il barattolo.
Niente terrazzo,
niente sogni, più sicuro aprirlo nelle penombre del cucinotto.
Clik
Lazarus è sul
punto di piangere
oddiooddiooddio
Durerà solo
pochi secondi e non importa, anche l’orgasmo ha questo destino.
Il naso affonda
nell’interno, le narici si aprono al tepore racchiuso.
Il barattolo
rilascia l’aria contrabbandata.
Lazarus è un gemito
lungo.
Gas di
scarico, miasmi di fritture, di piscio animale.
Inspira, inspira
fino al cervello.
Sopra ogni
molecola, a riempire il cuore, odore di umanità compressa.
(immagine: “Lacrime di Sangue”, olio su tela, Salvatore Gerbino)
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