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In principio la chiamarono SARS (extended version)


In principio la chiamarono SARSGiovanni Sicuranza




In una mattina muta, con il sole grinzo e le ore cadenti come occhiaie, in questa nuova mattina, mi alzo. 

La tapparella della stanza ha un sussulto e subito, con il pigolio del treno merci attonito nella stazione dismessa, inizia il ritorno nella tana. 

L'ho azionata con un pulsante, è ormai quasi tutto automatico qui, in questo palazzo di gente che sussurra, tra coinquilini che scivolano dai pianerottoli, diventati terra di nessuno, pericolosi, esposti al contatto tra vicini.

Ora siamo testa bassa, siamo cenni di saluto, noi tutti, ora, siamo passi svelti a mantenere la distanza. 

Non corriamo, non ancora, resiste un senso di vergogna sociale, però credo che molti di noi abbiano pensieri paurosi, feroci, quando incontrano gli altri e, beh, a me di certo accade.

In ogni caso non ci parliamo da settimane, mesi; il respiro va preservato per momenti migliori. 

Apro la finestra, un altro pulsante, un tocco timoroso, quasi reverenziale. 

Mio marito ha voluto trasformare così le stanze, pulsanti in ogni angolo della nostra intimità. 

Evitiamo il più possibile il contatto con gli oggetti. 
Anche in casa nostra? 
Nessuno comprende cosa sta succedendo, lo sai, e noi ci prepariamo al peggio come tutti; guarda, questi pulsanti vanno toccati così, vedi, ti disinfetti le mani, usi un fazzoletto di carta, premi il pulsante, ehi, mi stai seguendo?, bene, dicevo, premi il pulsante, butti il fazzoletto nel cestino, ti disinfetti le mani. 
Ma dai, mi sembra esagerato. E poi quanto ci costa? Non lavori da quando è iniziata la crisi. 
Mah, credo che il Governo ci darà una mano. 
Credi?
Ascoltami ragazza, la nostra sicurezza, la nostra famiglia non ha prezzo, vero?

Mi chiamava ragazza anche dopo vent'anni di convivenza. 
A me piaceva, quel suo modo di arrotondare la parola, ragazza, per me, il suono di un ruscello di primavera.

A volte è proprio quello che più mi manca di lui. 

Mi affaccio sull'erba alta del parco. 
Uccelli, gatti, qualche ratto che fa le fusa ad una carcassa seduta accanto alla betulla.  

Potrebbe essere un uomo, sussurro, anche se vedo che non è così, però mi basta per ascoltare la mia voce, scoprire che è quella di sempre, e ciò mi rende serena. 

Io sono un respiro lungo senza ostacoli. 

Lui invece ha smesso. 

Due giorni dopo avere ripreso lavoro.

Due giorni dopo essere tornato a casa. 

Ero appena tornata dalla spesa al supermercato, mascherina, guanti, disinfettante tascabile, separata da isole di altre mascherine e altri guanti e altri disinfettanti, gesti veloci a prendere dagli scaffali quanto ad ognuno serviva per dimenticare le cene sociali, e sopra tutti noi eccolo, ancora, l'eco dell'altoparlante, un suono da altro mondo, l'invito a mantenere le distanze, a mantenere le distanze, a mantenere le distanze, e mi sembrava il set di un film apocalittico, sì, prima mi piacevano, li guardavo con interesse, adesso no, quel giorno sotto la mia pelle si vestiva l'angoscia e desideravo uscire, terminare la spesa al più presto, uscire.

Anche quel giorno lui tornò nervoso perché non gli concedevano di finire le pratiche in remoto, ma non ebbe tempo di raggiungermi oltre l''uscio.

Accadde come un'ombra che improvvisa, nell'istante del nulla, si prende il sole. 

L'ho visto affannarsi, rantolare su stesso, diventare gonfio in viso, supplicare aria tra sibili feroci, la mano artigliata verso il telefono di casa. 

Il telefono è rimasto fermo dalla parte opposta della stanza.

Mio marito lo ricordo così, un trailer rapido di sofferenza, poi non ricordo bene.


Io nemmeno conosco la sua tomba. 

Però il telefono l'ho gettato nell'indifferenziata. 

Ciao. 

Il passo senza peso di mia figlia. 

Ricordo ancora come si sorride.

Lei no. 

Ciao tesoro, ti sei svegliata presto?

Ho lezione di mandarino standard moderno sulla piattaforma, sei tu che dovevi svegliarmi. 

Oh, cavolo, scusami, scusa, dai che prepariamo tutto in un attimo. 

Mamma. 

Sì?

Da grande farò la virologa.

Oh, beh, non ti bastano i tuoi video virali?

Non fa ridere.

No?

No. 

D'accordo, ti preparo la colazione. 

L'ho deciso questa notte, farò la virologa. 

D'accordo.

Così sarò pronta quando tu morirai. Quando moriranno anche i miei amici. 

Credi?

Certo, oppure capirò cosa mi succede quando morirò io. 

Uh. 

Mamma. 

Sì, dimmi. 

Stai con me mentre mangio?

Certo, dove vuoi che. 

Mamma. 

...

Mi racconti ancora la storia del Re Corona e dei suoi viaggi nei nostri corpi?




In principio la chiamarono SARS.

Qualcuno non comprendeva il termine, ma il suono sì, il suono faceva paura a molti.
SARS.

SARS l'epidemia.

SARS era il respiro sospeso di ogni vicino, il respiro ferito, a volte ucciso.

SARS era ieri è toccato a loro, oggi è qui da noi, domani è dentro noi.

Del resto, se spiegavi i meccanismi della Severe Acute Respiratory Syndrome, a pochi importava.

Nemmeno a King Corona V importava comprendere.

Lui semplicemente ci prese gusto.

Era il 2002, e il suo viaggio venne chiamato SARS, poi venne il 2012, e il suo viaggio, che ancora lieve continua, venne chiamato MERS-COV.

Questi nomi non giunsero da lui, ma da noi, altri esseri che vivono oltre il suo interesse.

Se King Corona potesse approfondire la conoscenza di questi esseri, saprebbe che si chiamano umani, sì, capirebbe che si tratta proprio di quei mammiferi caldi e ripieni del suo cibo.

Tra noi, alcuni comprendono il viaggio del monarca, e da allora ne cercano i passi e le tracce per renderlo più breve possibile, perché se noti il modo in cui è tornato a partire dal 2002, sempre più rapido e deciso, si capisce che il monarca è sempre più interessato a noi. 
Molti altri invece tremano quando sentono il suo nome, o i nomi dei suoi itinerari. 
Altri ancora sorridono, come hanno sorriso nei secoli ad ogni avanzata dei virus e dei batteri, e narrano che è un monarca da poco.

King Corona V non si cura di questi dettagli.  

Qualche mese prima di tutto questo, ha deciso di lasciare la dimora all'interno dei polmoni dei suoi fragili demoni, creature notturne, con il muso docile, con ali di membrana; esseri che urlano il silenzio e che nei loro gruppi sociali racchiudono milioni di reali della stirpe Corona V.

Dai pipistrelli ha iniziato un altro viaggio e ancora lo prosegue, forse più veloce di quanto lo stesso King si aspettasse, più esteso dei precedenti. 

Lo ha iniziato nel 2019, tu eri ancora a scuola, facevi i compiti con le amiche, ti chiudevi in stanza con il telefonino e, sì certo, questo lo fai ancora, comunque ti dicevo che oggi chiamano il monarca SARS-COV-2 e il segno che lascia nel suo viaggio è noto ai più come CODIV-19.

Non che questi termini importino, ricordalo, di certo non a lui.

King Corona V è teso alla ricerca della vita per sentirsi vivo.  

E’ un acrobata, King Corona V, abile nel salto in lungo tra ospiti diversi, dai mammiferi che volano in gruppi, i regali pipistrelli, ai mammiferi che in grandi comunità si rotolano nel fango e nelle aie,  uccelli, maiali, che respirano a un soffio da noi mammiferi bipedi, noi assembrati, e per lui è una gioia, beh, certo se conoscesse le emozioni, di certo è tutta una massa, un’occasione di riprodursi, l’imbarazzo della scelta tra miliardi di intime dimore altrui.

Una volta entrato nell'ospite, King Corona V, e lui solo, comprende come dare vita ad una comunità.

Trova il cibo migliore in ogni casa, lacera le pareti, si impossessa dei codici di accesso più reconditi per fare funzionare la dimora estranea e la modella a suo interesse, fino a quando non ha replicato centinaia di copie di una variante di se stesso, una frenetica combinazione tra il suo RNA e i geni della cellula.

Tutti insieme, lui e la sua progenie, lasciano infine questa devastazione alla ricerca di nuove occasioni di vita.

Ecco, vedi, questa è la discendenza di King Corona V, i Vironi, adesso sì che la conosci, bambina mia.

Lui e la sua discendenza non conoscono confine, riescono ad aprirsi il varco nei quartieri noti come il centro benessere degli scambi gassosi, gli alveoli dei polmoni, celati tra pareti di carne, sotto un cielo di sangue.

Guarda questa discendenza che è già legione, fai silenzio un istante, senti nelle come si estende nelle cavità polmonari, quartiere dopo quartiere.

Forse, se avessi uno strumento di quelli che usano i dottori, ecco, uno stetoscopio, brava, sì, forse oggi con tutto il silenzio che ci copre dall'esterno, riusciremmo a sentire il loro assemblarsi dentro le nostre cellule, queste valanghe di armate che saccheggiano città.

Per ogni parete della cellula, nuovi e vecchi King Corona conoscono la combinazione di accesso.

La conoscono almeno dal 2002, è la stessa in ogni specie in cui trovano vita, si chiama ACE2, e pochi ne sono al corrente, pochi sanno che Angiotensin Converting Enzyme 2 è la serratura che King Corona apre per entrare nell'intimo di ogni respiro.

L’allarme che risuona in ogni quartiere violato è forte, è efficace, sai.
E questo è il problema.

Non è una trappola per King Corona V, è la trappola definitiva per ciascuna nostra dimora violata.

Tra le vie dei quartieri polmonari si riversa una piena di infiltrato infiammatorio, cerca l’intruso, deve travolgerlo, trascinarlo lontano, ma è tanta questa piena, così improvvisa, ed è troppa. 

I quartieri devastati da King Corona V, la nostra piena, la nostra alleata, li sommerge.

Alla fine, quando si organizza meglio, questa fiumana diventa un reticolo letale.

Lo fa per catturare tra le sue maglie King Corona V, eppure lui sfugge, sfugge con tutti i milioni di se stesso, un esercito ostinato che continua a sottrarre i codici cellulari per diventare respiro.

I quartieri sono devastati dall'invasore e ancora di più dal nostro esercito, ben addestrato, spesso utile, feroce, organizzato, eppure incapace di riconoscere chi dovrebbe difendere, perché ogni cellula ha ormai il volto deformato da King Corona V.

Un alleato che adesso non conosce distinzione, che blocca ogni scambio di gas, spegne ogni alito di ossigeno, e rimane a lungo, con un reticolo teso tra le pareti, adeso ad ogni fragile pertugio delle vie polmonari.

In alcuni di noi questo reticolo rimane per sempre, a sottrarre i nostri respiri giorno dopo giorno, anche quando King Corona V sarà svanito.

Interi quartieri polmonari crollano definitivamente sotto il “fuoco amico”.

King Corona V non si guarda indietro.

Finito un viaggio, al riparo nei suoi ospiti innocui, si riposa e intanto osserva.

Farà così anche quando il nostro incubo sarà terminato e torneremo nelle strade a ritrovarci come specie.

Il monarca non conosce il tempo degli ospiti che lo combattono, non ha premure.

Il prossimo viaggio di King Corona V sarà per lui solo il modo 

migliore per tornare a vivere.


(prima immagine: Santiago Caruso’s “Ars Obscura” at Last Rites Gallery; 
seconda immagine: surrealismo di Anton Semenov)

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