Permettete un racconto - Giovanni Sicuranza
Sul racconto mi siedo e sorrido.
Ah, sì, quanto adoro scriverti, racconto, quanto leggerti!
Lo so, ne abbiamo discusso insieme fino alla nausea, oltre il reflusso gastro-narrativo, ma è nel racconto che ritrovo spazi infinitivi di fantasia e creatività, ogni volta libero dalla trama del romanzo.
Punti di vista, come a fissarmi su un paio di gambe, e tu sulle tette, e lei a mandarci a cagare entrambi, perché siamo i soliti maschi materialisti, sessocentrici, il che è come dire che la cioccolata calda non va mangiata, perché ha lo stesso colore della cacca liquida, apparentemente persino la stessa consistenza. Ma queste similitudini, ferme alla fase anale della crescita, nulla c'entrano con la mia ennesima elegia del racconto; oppure sì, associazioni di idee, così magari parte il trombo (ops, ancora vagiti in salsa sessocentrica?) dell'ispirazione e vado avanti con il romanzo "Sotto la terra qualcosa campa". Che romanzo non è e chi ha letto il ciclo di Città di Solitudine e Polvere di Silenzi sa cosa aspettarsi; chi non ha letto, uff, la conoscenza è fatta soprattutto di lacune, alcune potreste anche colmarle acquistando uno dei miei libri; certo, non sempre conoscere è arricchimento, nemmeno per me che prendo appena il 5% lordo dalla vendita di una copia di una mia opera edita, ma di positivo c'è che, wow!, di racconti si tratta.
Non vi sto convincendo, lo so, tutti gli "ori" a fare l'occhiolino al romanzo, a renderlo prezioso, lettori, scrittori, editori, recensori.
Allora mi alzo dal racconto e girondolo lungo l'orizzonte, laggiù, verso una considerazione pratica.
Sarà mica che nel mantra su quanto poco si legge in Italia, su quanto calano i lettori anno dopo anno, la colpa sia anche, ma solo un po', si badi bene, del romanzo?
Insomma, che la litania del lettore debole - contrapposta al concetto superficiale di "lettore forte", concetto utile solo a fini commerciali: il lettore c.d. "forte" è definito tale in base alla quantità di libri letti in un anno, sigh, non alla qualità - la lamentela sul lettore fragile, intendo, non sia un riempi-spazio di cui si scrivono romanzi di spiegazioni, ma a cui si offrono puntini di sospensione di alternative?
Nessuno pensa che, forse, tra chi si aliena dalla lettura, c'è anche chi non lo desidera, ma ha la giornata così piena di impegni, e la mente così gonfia di argomenti quotidiani, in questa società dell'alienazione, che non riesce, non ha voglia, e alla fine non gliene frega una cippa lippa di entrare nelle vicende prolungate di un romanzo, in un'editoria obesa di romanzi e anoressica di antologie di racconti.
Magari, egregie ed egregi, una bella raccolta di racconti, da potersi consumare anche uno solo al giorno, in modo completo, aumenterebbe le letture.
Ci avete mai pensato?
E così il racconto, che è antesignano del romanzo (le prime storie scritte, e, ancora, le prime oralità erano espresse in forma di racconto, breve, carico di contenuto, di tradizione, di insegnamento), diventa in realtà espressione pratica della narrativa contemporanea nell'odierna società.
In altri termini, forse la crisi della lettura è anche la crisi del romanzo come struttura portante della narrativa.

Punto di vista, dicevo, ma a volte, a non fissarsi troppo solo sulle chiappe, si scoprono altre prospettive (le signore mi scusino per la volgarità della similitudine, anzi, a chiunque sta leggendo chiedo scusa per la persistenza della fase infantile-anale; oggi mi viene così, sarà il caldo, sarà che, per quanto scrittore, sono pur sempre dipendente dalla banalità testosteronica, sia pure in declino)
Vi ho annoiato? Beh, vi è andata bene, questo è il racconto di un mio delirio; avrei potuto prolungarlo in un romanzo.
Ah, sì, quanto adoro scriverti, racconto, quanto leggerti!
Lo so, ne abbiamo discusso insieme fino alla nausea, oltre il reflusso gastro-narrativo, ma è nel racconto che ritrovo spazi infinitivi di fantasia e creatività, ogni volta libero dalla trama del romanzo.
Punti di vista, come a fissarmi su un paio di gambe, e tu sulle tette, e lei a mandarci a cagare entrambi, perché siamo i soliti maschi materialisti, sessocentrici, il che è come dire che la cioccolata calda non va mangiata, perché ha lo stesso colore della cacca liquida, apparentemente persino la stessa consistenza. Ma queste similitudini, ferme alla fase anale della crescita, nulla c'entrano con la mia ennesima elegia del racconto; oppure sì, associazioni di idee, così magari parte il trombo (ops, ancora vagiti in salsa sessocentrica?) dell'ispirazione e vado avanti con il romanzo "Sotto la terra qualcosa campa". Che romanzo non è e chi ha letto il ciclo di Città di Solitudine e Polvere di Silenzi sa cosa aspettarsi; chi non ha letto, uff, la conoscenza è fatta soprattutto di lacune, alcune potreste anche colmarle acquistando uno dei miei libri; certo, non sempre conoscere è arricchimento, nemmeno per me che prendo appena il 5% lordo dalla vendita di una copia di una mia opera edita, ma di positivo c'è che, wow!, di racconti si tratta.
Non vi sto convincendo, lo so, tutti gli "ori" a fare l'occhiolino al romanzo, a renderlo prezioso, lettori, scrittori, editori, recensori.
Allora mi alzo dal racconto e girondolo lungo l'orizzonte, laggiù, verso una considerazione pratica.
Sarà mica che nel mantra su quanto poco si legge in Italia, su quanto calano i lettori anno dopo anno, la colpa sia anche, ma solo un po', si badi bene, del romanzo?
Insomma, che la litania del lettore debole - contrapposta al concetto superficiale di "lettore forte", concetto utile solo a fini commerciali: il lettore c.d. "forte" è definito tale in base alla quantità di libri letti in un anno, sigh, non alla qualità - la lamentela sul lettore fragile, intendo, non sia un riempi-spazio di cui si scrivono romanzi di spiegazioni, ma a cui si offrono puntini di sospensione di alternative?
Nessuno pensa che, forse, tra chi si aliena dalla lettura, c'è anche chi non lo desidera, ma ha la giornata così piena di impegni, e la mente così gonfia di argomenti quotidiani, in questa società dell'alienazione, che non riesce, non ha voglia, e alla fine non gliene frega una cippa lippa di entrare nelle vicende prolungate di un romanzo, in un'editoria obesa di romanzi e anoressica di antologie di racconti.
Magari, egregie ed egregi, una bella raccolta di racconti, da potersi consumare anche uno solo al giorno, in modo completo, aumenterebbe le letture.
Ci avete mai pensato?
E così il racconto, che è antesignano del romanzo (le prime storie scritte, e, ancora, le prime oralità erano espresse in forma di racconto, breve, carico di contenuto, di tradizione, di insegnamento), diventa in realtà espressione pratica della narrativa contemporanea nell'odierna società.
In altri termini, forse la crisi della lettura è anche la crisi del romanzo come struttura portante della narrativa.

Punto di vista, dicevo, ma a volte, a non fissarsi troppo solo sulle chiappe, si scoprono altre prospettive (le signore mi scusino per la volgarità della similitudine, anzi, a chiunque sta leggendo chiedo scusa per la persistenza della fase infantile-anale; oggi mi viene così, sarà il caldo, sarà che, per quanto scrittore, sono pur sempre dipendente dalla banalità testosteronica, sia pure in declino)
Vi ho annoiato? Beh, vi è andata bene, questo è il racconto di un mio delirio; avrei potuto prolungarlo in un romanzo.
[immagine: René Magritte, "Il castello dei Pirenei", 1961]
Commenti