Persone di grande talento e profondità stentano a rendersi conto delle proporzioni immani assunte dall’imbecillità umana. Non che ne neghino l’esistenza, o che la sottostimino: si rendono conto di come il pianeta sia popolato da idioti. Ma vogliono spiegare la stupidità e i suoi effetti come un incidente di percorso, magari macroscopico, ma pur sempre, solo un intoppo lungo il cammino dell’intelligenza.
“In effetti, se nessuno, almeno credo, aveva mai analizzato davvero il problema dell’imbecillità, chiedendosi da dove questa derivi, molti si sono dedicati allo studio dei meccanismi che ne assicurano la diffusione, facendo sì che gli stupidi riescano a influenzare profondamente la vita di tutto il genere umano (compresi gli intelligenti).
Uno dei più noti moltiplicatori di imbecillità è il cosiddetto principio di Peter (da colui che a sua tempo lo individuò, Lawrence Peter), che recita: “In qualsiasi gerarchia, ognuno tende a essere promosso, finché non raggiunge il suo livello di incompetenza; pertanto, ogni incarico è destinato a finire nelle mani di un incapace”.
Si tratti di strutture aziendali, culturali, politiche, religiose o altro, la regola non cambia.
Il principio di Peter opera secondo un meccanismo logico abbastanza semplice. Chi entra in un sistema gerarchico e svolge bene il proprio lavoro, di solito “fa carriera”: sale sul gradino superiore nella scale. Se anche in quella posizione si dimostra efficiente, è ragionevole pensare che sarà ancora promosso. E così via. A questo modo, occupa livelli sempre più elevati, di maggiore responsabilità; ma le complicazioni crescono di pari passo e aumentano la qualità e la quantità dell’impegno e delle doti richieste. Fino a quando il nostro uomo ottiene un incarico con un grado di difficoltà superiore alle sue capacità.
A quel punto, si rileva inefficiente, e la sua carriera si arresta. Attenzione: non verrà degradato, retrocesso a una posizione adeguata alle sue doti. Continuerà a occupare il posto che ha fatto emergere la sua natura di incapace e per il quale si è dimostrato inadatto.
Questo principio ebbe un grande successo. Ma ha un difetto: è fondato sul presupposto della razionalità. Voglio dire: parte dall’idea che, in una gerarchia, i comportamenti umani, almeno fino a un certo punto, siano ispirati a criteri ragionevoli. È in base a un principio intelligente (secondo Peter) che viene promosso il migliore, anche se verrà il momento in cui si rivelerà un imbecille. Ma fino ad allora, il meccanismo obbedisce a regole logiche. Non sei scemo, operi bene, e vai avanti; quando ti scopri incapace, la tua corsa finisce.
Ma le cose non stanno così. Gli sforzi per spiegare il diffondersi dell’imbecillità non riescono a cogliere il vero interrogativo, che è questo: come mai, nonostante il dilagare della stupidità il mondo va a gonfie vele? Se le organizzazioni umane si reggessero davvero sull’operato dei migliori, ma fossero regolate dal principio di Peter (quindi dominate, sia pure a causa di un sistema perverso, dagli incompetenti), tutto andrebbe a rotoli. Al contrario, il mondo funziona, non siamo alla catastrofe, Né con tutta probabilità ci arriveremo prossimamente. Allora: come è possibile che la società continui il suo cammino nonostante l’aumento della stupidità?
C’è una sola risposta possibile: l’intelligenza non è più necessaria per fare marciare il mondo: l’imbecillità sa farlo altrettanto bene. E persino meglio. …
Il cretino non solo non ha una funzione negativa, ma anzi ha assunto un ruolo salvifico: la sopravvivenza della nostra specie dipende ormai dall’imbecillità, come un tempo dall’intelligenza. Le persone di genio si rifiutano di concepire e di accettare questa verità. Per loro è semplicemente impossibile pensare che l’essere umano debba diventare stupido per poter avere un futuro. Vedono l’essenza della nostra specie nelle sue doti intellettuali; e anche quando si rendono finalmente conto delle proporzioni assunte dall’imbecillità, si ostinano a considerarla un fatto deleterio e accidentale.
L’errore è dare, sulla stupidità, un giudizio etico o estetico.
Essa va considerata ‘tecnicamente’, alla pari dell’intelligenza, come uno degli strumenti di cui l’evoluzione può disporre. Se l’imbecillità avesse un valore negativo per la nostra specie, i casi sarebbero due: o ci saremmo estinti da un pezzo, o non ci sarebbero più cretini. Una caratteristica nociva così diffusa, infatti, porta alla sicura estinzione, oppure viene corretta alla natura. La specie umana, al contrario, è lungi dallo scomparire e la stupidità continua a espandersi. Non c’è altra conclusione che questa: l’imbecillità è necessaria alla sopravvivenza della nostra specie, per quanto possa dar fastidio agli intelligenti rimasti.
Le nostre comunità sono strutturate in base a principi gerarchici: più o meno vistosi, più o meno brutali, comunque presenti. E le burocrazie tendono a diffondere stupidità … Se davvero l’imbecillità avesse una funzione distruttiva, le società umane sarebbero al collasso; invece godono di ottima salute e si moltiplicano. È proprio la stupidità che sostiene le strutture sociali e ne garantisce il futuro. Le burocrazie, dunque, contrariamente a quanto male si pensa di loro, hanno una funzione positiva, non malgrado, ma proprio perché accrescono il numero e il potere dei cretini. La gerarchia è lo strumento che l’evoluzione ha inventato per raggruppare i sapiens sapiens e costringerli alla demenza. Se la guerra, espressione dell’aggressività umana, raduna i migliori della specie per sterminarli, il sistema burocratico, espressione del nostro istinto sociale, mette assieme i cervelli e li spegne: è la continuazione della lotta all’intelligenza, condotta con altri mezzi. …
Tutti possono riferire di esperienze che hanno visto trionfare l’imbecillità [nella politica, nel lavoro, nell’Amministrazione Comunale e Pubblica, nei rapporti tra privati cittadini, persino nelle decisioni tra gruppi di amici] …
Le gerarchie si comportano in modo stupido, non perché siano tutti cretini coloro che ne fanno parte, ma perché non possono, per questioni di funzionalità, agire diversamente. In una burocrazie non è possibile ‘mettersi a fare gli intelligenti’. Tutti i sistemi gerarchici funzionano tendenzialmente allo stesso modo; i loro comportamenti collettivi sono dettati da semplici regole generali. La più importante è questa: le norme e le consuetudini vanno rispettate. Esiste un modo, e uno solo, di fare le cose: e a quello bisogna attenersi.
Al contrario, la mente umana è portata al dubbio, alla critica, all’innovazione. Chi è abituato a mettere a frutto le proprie doti intellettuali si chiederà sempre cosa sta facendo, perché lo fa, e se non ci sia un altro modo (magari migliore) di farlo.
La struttura gerarchica della società prevede, invece, che in ogni determinato caso, ci si comporti secondo la regola prefissata. Qualcuno, dotato di mente sveglia e curiosa, potrebbe cominciare a obiettare: ‘Perché?’ …
Ma le ragioni della gerarchia sono profonde. E le sue norme più sono stupide, più vanno considerate indiscutibili. Le regole intelligenti si difendono da sole. È per questo che le autorità religiose si riempiono di dogmi?
La ragione principale, in ogni caso, è questa: se tutti cominciassero a sollevare dubbi, a mettere in discussione i comportamenti e le soluzioni date, l’attività della struttura ne resterebbe paralizzata. Nelle gerarchie conta chi fa qualcosa, non chi cerca il modo migliore di farla.
L’intelligenza, per le società umane, è sabbia negli ingranaggi: rischia di fare inceppare i meccanismi. Il genio è sovversivo non soltanto perché, invece di applicare la norma, la discute; ma perché, così facendo, blocca il cammino regolare dell’intero sistema burocratico. L’intelligenza, mentre valuta con spirito critico il funzionamento delle strutture sociali, di fatto lo rallento o lo interrompe. L’acume, o semplicemente il buon senso, portano confusione. Se il sitema reagisce, riaffermando la supremazia della propria imbecillità, fa bene: si difende, come un organismo qualsiasi contro un agente esterno che ne metta in pericolo la sicurezza, l’esistenza.
Ecco perché la stupidità è necessaria: è la vera linfa vitale della società umana. È la regola, il motore che la fa marciare …
La struttura sociale, dunque, impone ai singoli individui di conformarsi a comportamenti prestabiliti. In questo modo, attraverso un potente condizionamento sociale, si ha una massiccia opera livellatrice verso il basso. Lo spirito critico e l’esercizio in genere delle doti intellettuali vengono depressi, o addirittura spenti …
L’unica cosa non stupida che può fare l’intelligenza, in questo caso, è adattarsi alla stupidità … se, per agire così, non è necessario essere geniali, non è nemmeno indispensabile essere imbecilli. Un intelligente può benissimo farlo. Mentre un cretino non può decidere, se cambia idea, di comportarsi da genio.
Molte persone intelligenti, una volta compresa l’irrimediabile stupidità delle strutture sociali in cui sono inserite, commettono un errore: cercano di porvi rimedio. Si rovinano così la vita, nel tentativo di rendere le società umane meno sceme.
Altri invece (loro sono i veri geni), capiscono che un tale progetto è destinato a fallire, perché nasce da un grave equivoco: il desiderio che diventino meno stupidi degli organismi che funzionano solo se stupidi.
Non è difficile individuare e distinguere questi due tipi umani. I primi sono animati da uno spirito di crociata, che li spinge a impegnarsi nel vano sforzo di cambiare in meglio la società (ad esempio, quel tale che ha tanto lottato per il rispetto di un diritto sul passo carraio, con i risultati visti, dai singoli, da parte della società, dall’Amministrazione Comunale; andate a leggere la sua storia sul blog: http://casalecchiodireno-passocarraio.blogspot.com/ ).
Gli altri invece hanno capito che questa lotta, prima che perdente, è inutile, perché sbagliata. E si adeguano all’imbecillità delle strutture in cui operano. Non per questo rinunciano alla loro intelligenza. Talvolta la coltivano nel tempo libero, e quelli che vengono etichettati come innocui passatempi sono, in realtà, le cose in cui spendono il loro ingegno …
Le strutture sociali possono anche tollerare una limitata dose di intelligenza, di spirito critico, di innovazione. Ma la norma generale, i comportamenti cui tutti sono obbligati a rifarsi, devono restare stupidi. Se così non fosse, molti di quelli chiamati a compiere una determinata funzione verrebbero meno al proprio compito, perché lo troverebbero troppo difficile. Se la regola fosse l’improvvisazione, lo sprazzo di genialità, pochi sarebbero in grado di fare la cosa giusta al momento opportuno. E la gerarchia crollerebbe.
approssimativamente e idiotamente tratto da: “Elogio dell’imbecille”; Pino Aprile; Piemme Bestseller; prima edizione luglio 2010.,
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