"belladonna"
tratto dal romanzo assoluto
"La neve defunta" di Giovanni Sicuranza
***
Valentina e la tazza di caffè hanno
un sussulto.
La donna allarga le braccia, lancia
uno sguardo verso l’alto, la tazza si gira a pancia in su, vomita il liquido
nero sulle vesti di lei e la plastica del tavolo e si accascia al pavimento.
- Non si preoccupi – Valentina sente
la voce di Ascario – era solo lo sfrigolio di un insetto contro il neon.
- Già – ammette lei, si affloscia sulla
sedia, sente il volto che diventa fiamma, osserva la tazzina reclinata su un
fianco.
Sembra intatta, insomma, a parte un
rivolo di caffè che ancora le esce, le esce
come
sangue nero dalla bocca,
pensa, e subito distoglie lo sguardo.
Ascario la fissa.
Immobile.
Attento.
Intenso.
- Per fortuna avevo già bevuto quasi
tutto – annaspa lei.
– Il suo viso ha lo stesso colore di
chi prende la belladonna in dose eccessiva – l’uomo beve, un altro sorso, breve,
un altro ancora, spezzato, e non smette di fissare Valentina e le sua labbra si
allungano in un sorriso – Basta arrossire un po’ e si ottiene l’effetto
dell’erba.
- Ma la belladonna ha anche altri
effetti – ribadisce lei, dura, ritrovando tutto il controllo di se stessa – Effetti
mortali, direi.
Lui annuisce.
- Mi faccia capire, allora. Vostra
figlia usava la belladonna come estetico?
Lui annuisce e ancora beve un sorso.
- Insomma, mi spieghi meglio, ne ho
sentito parlare, ma.
- In realtà il suo nome scientifico
è Atropa belladonna – Ascario
ora guarda oltre la giornalista, forse dove c’è il nulla – Atropa, sì, perché nella mitologia
greca Atropa è la Parca che
taglia il filo della vita. Belladonna,
ecco, perché nel rinascimento le dame usavano l’erba per dare colorito
al viso e lucentezza agli occhi.
Valentina annuisce. Appoggia i
gomiti sul tavolo e il mento sulle mani.
- Sì, questo lo so. Una combinazione
di nomi che ricorda l’impiego cosmetico, ma anche gli effetti letali. Però,
Ascario, io credevo che non si facesse più uso di questa erba proprio per la
sua pericolosità.
Gli occhi di lui tornano rapidi su Valentina.
- Oh, no, ha ancora molti impieghi,
fitoterapici, omeopatici, farmacologici, insomma, inutile farle qui tutto
l’elenco per cui.
- E sua figlia era un’omeopata.
Una traccia di sorriso compare tra
le rughe di Ascario.
- Vedo che è informata. Sì, mia
figlia conosceva l’uso della belladonna, procurarla è semplice, così come
coltivarla del resto. Ma, ecco, aveva anche un’ossessione. Gli occhi. Belli, di
un verde intenso, ma che si perdevano tra le sopracciglia folte e il pallore
del viso – l’uomo scuote la testa – Almeno, ecco, così diceva lei – e beve un
altro sorso.
- Per questo prendeva la belladonna.
- Sì, al giusto dosaggio. Sapeva che
in realtà il suo effetto estetico è dovuto a dilatazione pupillare e paralisi
dell’accomodazione e che basta andare un po’ più in là per rischiare anche la
morte. Però quella sera voleva davvero essere splendida perché la mattina dopo
sarebbe partita con un tipo, l’albergatore, ecco, conosce la storia dell’Albergo
dei Tre Atti, no?
- Come le dicevo, è stato il saggio
di Sicuranza, “Sotto la terra qualcosa campa”, a spingermi da lei.
- Certo, continui a perdere tempo,
lei. Io l’ho avvisata, quel libro è menzogna vestita da narrativa. Però almeno questa
parte del libro è vera, l’albergatore è morto e con lui gli ospiti del
matrimonio, tutti. Si chiamava Lorenzo, lui, l’amore di mia figlia, Lorenzo il
magnifico, ecco, il magnifico figlio di puttana.
Le parole si afflosciano sotto il
viso di Ascario.
Valentina Laghi lo vede chinare lo
sguardo sul tavolo.
Comprende il momento di fargli
sentire la sua presenza, il momento che è adesso, e forse non sarà più dopo, prendergli
una mano, anche abbracciarlo, perché ha già intuito tutto.
- Insomma, ecco, ha presente quelle
robe da ragazzi, una gita fuori porta, si dice così, no? Che poi tra queste
montagne non è che ci siano molte porte, non aperte, almeno. Ma mia figlia ci
teneva tanto, e io le dicevo smettila di fare la gallina per quel tipo, perché conoscevo
già Lorenzo, lui era per un’altra donna, come poi è successo, insomma, ecco.
Valentina avverte un peso che le
riempie il respiro e la mente.
Ascario è più rapido del suo
pensiero, solleva ancora lo sguardo sul suo e parla, e le sue parole ora hanno
un ritmo diverso, più lento, come trascinate a forza nell’aria.
- Guendalina non si è più ripresa.
Mai più. Aveva un unico pensiero. Raggiungere la figlia, ecco, e credeva che
per arrivare a lei il modo migliore fosse condividerne la morte. Lo ripeteva
tutti i giorni, tutti quei maledetti giorni, fino a quando – un lungo sospiro,
un altro sorso della bevanda – Ho dovuto giurarlo, perché non era più mia
moglie, ma una sofferenza che respirava solo per morire. Così l’ho aiutata a preparare
la dose e poi – Ascario guarda oltre la vetrata, le luci dei lampioni come lune
distanti – C’è una filastrocca inglese che riassume molto bene gli effetti
della belladonna, sa?
Valentina si morde un labbro e si
sporge verso l’uomo.
- Non capisco, però, quello
scheletro.
Ascario si volta in modo così
repentino, gli occhi dilatati su di lei, che Valentina si ritrae di nuovo, e
ancora, fino a quando lo schienale non si oppone deciso al suo peso.
- Le racconto tutto perché lei è la
donna ultima che può comprendere prima della mia morte.
- Comprendere cosa?
- La vera storia della strega, mia
cara. Ah, dimenticherà quello che ha scritto Sicuranza, lei è qui per
comprendere chi è davvero Nostra Signora della Fossa.
- Lasci stare la strega, Ascario.
Voglio sapere cosa c’entra lo scheletro che hanno trovato nel suo giardino. Non
è di sua figlia, non è di sua moglie. Non è, non.
– Mia cara, vede, avevamo riempito
il giardino di belladonna. Quell’erba era dappertutto, lo era anche durante i
sopralluoghi ed è rimasta ancora lì. È tenace, la belladonna, ecco, eppure nessuno
ha collegato l’erba a mia moglie – Ascario scrolla le spalle – Probabilmente nessuno
sa nemmeno cos’è la belladonna. Ne senti al massimo solo l’odore sgradevole dei
peli ghiandolari, ma ignori che accelera il metabolismo. E noi ne avevamo
sparsa così tanta intorno, ecco, proprio in previsione di quanto Guendalina
voleva.
- Quindi, mi sta dicendo che lo
scheletro è proprio di sua moglie.
Ascario ha un altro accenno di
sorriso, poi beve, questa volta fino in fondo.
- Ah – sospira, le dita che si
aprono e lasciano la tazza a frantumarsi sul pavimento.
- Ma cosa – Valentina lo vede
accasciarsi sulla sedia, fa per alzarsi, lui la blocca con un cenno della mano.
E quando solleva il volto su di lei, rosso e con gli occhi dilatati, Valentina Laghi
capisce.
- Mi lasci, la prego, mi lasci
andare, io – ansima l’uomo – Raggiungo mia moglie e, io, mia figlia, la prego.
La belladonna ha accelerato la decomposizione di Guenda, Guendalina e l’ha
trasformata velocemente in scheletro.
Valentina si è guardata alle spalle,
nel locale non c’è più nemmeno il barista.
- Chiamo un’ambulanza – decide,
annaspando nella borsa alla ricerca del cellulare.
- No, no, per favore, tanto – un altro
sospiro, breve – Ha la sua storia, in anteprima. Ci pensi. E mi lascia andare
con il mio segreto.
- Non posso – geme Valentina, le
lacrime le velano la vista – Non posso – e intanto la mano si ferma nella
borsetta – Non posso – e pensa all’articolo che scriverà questa notte stessa,
sulla morte a cui sta assistendo.
- È bella la filastrocca che cantavo
a Guendalina, io – sussurra Ascario, gli occhi che si chiudono – io – il capo
che si reclina sul mento – Se la ricordi nell’articolo.
- Mio Dio – Valentina, le mani sulla
bocca.
- Calda
come lepre,
cieca
come pipistrello,
rossa
come barbabietola,
matta
come gallina,
secca
come ossa,
ecco
Nostra Signora,
ti
porta nella fossa.
Valentina Laghi rimane così,
immobile.
Ascolta la cantilena, ripetuta in
uno stento sempre più fragile, ascolta e non sa se è ancora sera, o notte o
forse un tramonto di memorie.
Valentina ascolta.
Ascolta fino a quando non entra
nella morte di Ascario.
Poi, lieve, inizia:
Calda
come lepre,
cieca
come pipistrello,
rossa
come barbabietola,
matta
come gallina,
secca
come ossa,
ecco
Nostra Signora,
ti
porta nella fossa.
… continua
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