Prospettive dalla terra dove, in queste settimane e anno passa anno, incontro nel modo più empatico i miei distopici personaggi.
Questa terra ha un nome, un nome che rimane, eppure chi ha letto i miei romanzi può osservare scorci di Fine Viaggio, di Magnanimo, di Lavrange.
Affacciato alla finestra, mentre scatto queste foto, si riempie la pelle dei feromoni di Nostra Signora della Fossa.
Orripilazione, non stupore.
Qui ho immaginato le prime dimore della strega dolente di Lavrange.
Orripilazione, non stupore.
Qui ho immaginato le prime dimore della strega dolente di Lavrange.
"L'alba dopo, lì dove tace l’albergo, sono i canti degli uccelli a riempire la morte.
I colori del cielo scivolano sui tappetini di benvenuto, oltrepassano la soglia e si adagiano languidi sui corpi.
Erano uomini ed erano donne e adesso è tardi per conoscerli; nelle profondità della morte hanno nascosto la loro identità, nel rigor dei corpi sul rigido pavimento c'è l'esilio di ogni perché. Primo giorno di primavera, questo risveglio dei sapori e della terra e del cielo; quando il sole se ne va dietro l’Albergo dei Tre Atti, e inizia a scendere dalle montagne, i corpi distesi già si trasformano in altro, richiamo per insetti e per qualche predatore che lascia il letargo.
E' un mormorio di vita, questo scorcio di morte; di cose che ci sono e che, quando smettono, cambiano aspetto.
Benvenuti a Lavrange, paese esumato da un cimitero, da un matrimonio di morte, da un albergo di sopravvissuti all'epidemia; Lavrange che è agonia lungo il canto di una strega triste e a volte crudele."
(dalla quarta di copertina della prossima edizione di "Sotto la terra qualcosa campa"@Giovanni Sicuranza; 2016)
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