L'invecchiamento e la morte rappresentano un mistero su cui ci poniamo domande da piccoli, che neghiamo da giovani, accettiamo con riluttanza da adulti.
La riluttanza diventa il tabù trasferito sulle domande dei piccoli.
Li lasciamo crescere in un mondo in cui la morte è filtrata da Disney & Company (la morte colorata, pulita, l'evento strappa-lacrima), il nonno defunto è filtrato nel rito funebre, durante il quale mille occhi adulti, timorosi, fanno da barriera tra il bambino e la visione diretta del cadavere; il film horror (non mi riferisco allo splatter fine a se stesso), come ammonisce la televisione, è solo per i grandi, evidentemente perché l'adulto è incapace di spiegare persino la finzione della morte ai propri piccoli.
E quando si invecchia male, succede che siamo muti, isolati in una stanza aliena da casa, pieni ancora delle stesse domande.
Perché, da bambini, nessuno ci ha dato risposte, solo paure e silenzi.
[cit. Giovanni Sicuranza di ritorno da una piacevole gita al cimitero con la figlia di sei anni; la figlia, con la supervisione attenta del genitore, ha già visto la prima serie di Walking Dead e, persino, World War Zed; allo stato attuale, non ha incubi notturni, non si piscia addosso, non ha pensieri o disegni assassini, adora giocare e cantare con le amiche, i tortellini e gli zombies - "che tanto sono tutti finti"; a volte chiede alla sua amica come mai non è mai andata a trovare lo zio mentre stava morendo, lei che invece è stata in casa di due defunti, uno giovane, accanto al loro letto di morte, a tenere loro la mano, a chiedersi se magari sottoterra avrebbero aiutato una pianta; l'amica tace e, forse, pensa che la piccola Sicuranza è un po' strana]
N. B.: nessun intento pedagogico (ci mancherebbe); penso che, alla fine, all'invecchiamento e alla morte dobbiamo in parte anche il nostro attaccamento verso i piccoli; forse, se fossimo tesi nell'egoistica consapevolezza di una vita immortale, non saremmo così pieni di attese, di aspettative, di premure e sofferenze per loro. Forse.
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