Non smettono più
Giovanni Sicuranza
Mio figlio mi guarda e io continuo a risucchiare le labbra, perché so che vedermi così gli fa schifo, più di quando ho la dentiera, sicuro. Risucchio le labbra fino in fondo, nella caverna della bocca, e con uno schiocco le riporto fuori. E lui fissa, affascinato, disgustato, forse pensando ai movimenti tentacolari di un'ameba. Di un suo simile, insomma.
- Non hai capito cosa ho detto? - geme.
Ha la voce di chi ha appena calpestato budini di merda a piedi nudi. Piagnucola, così ha iniziato la sua vita, così la porta oltre. E trascina le ultime sillabe in diapason di suppliche. Per questo adoro aumentare il ritmo delle labbra, dentro la bocca, fuori la bocca, un due, respiro, dentro la bocca, fuori la bocca.
- Papà, ti prego, oggi ho parlato con la mamma.
Va bene, è il momento del barlume di pietà, più sociale che paterno; quando i suoi occhietti iniziano a pulsare sotto le palpebre, la degradazione dopo è la crisi isterica.
- Tua madre non ha mai parlato.
- Ma no, papà, con me lo ha fatto, anche oggi, ero appena entrato al cimitero.
- Mai, ti ho detto, nemmeno quando era viva, figuriamoci da morta.
- Papà - gorgoglio - i fantasmi esistono.
Annuisco e subito ricomincio a muovere l'ameba delle labbra. Anche al limite c'è un limite.
Figlio mio striscia verso l'uscio, il capo così chino che sembra disarticolato dal collo, anzi, proprio decapitato.
Lo vedo svanire prima della porta e penso che a parlare con i morti siamo buoni tutti, il problema è farci rispondere.
Ho avuto una moglie e un figlio assenti, mutacici, fino a quando un incidente li ha decapitati.
Ora mi trovo questa lagna di infestazione, e, accidenti, passi che solo da morto si metta a parlare, ma che mi dica di vedere a sua volta il fantasma della madre, di sentirne addirittura le parole, dopo che mi hanno ignorato per oltre vent'anni, beh, francamente mi sembra troppo.
Le labbra dentro la bocca, le labbra fuori, un due, respiro, daccapo.
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