Infero agreste - Primo passo *
Giovanni Sicuranza
L’Odolo è un capillare di acqua lattiginosa che si apre tra i muscoli aspri della montagna di Lavrange. Per noi è sempre stato “il fiume”. La vita e il lavoro.
Acqua per i pozzi, corrente per lavare i panni. Questo facevano le donne di Lavrange, portavano ceste di indumenti e lenzuola sporche e le sciacquavano nell’insenatura in cui il nostro paese accoglie l’Odolo, dove i suoni sono il gorgoglio fragile del fiume, le scale pentatoniche dei tordi e il silenzio. Nessuna donna di Lavrange parlava, perché riuscire a dissipare lo sporco e il sudore nelle acque brune dell’Odolo, era un’abilità che richiedeva pazienza, dedizione, forza di fronte ai fallimenti.
La madre di mia moglie era tra le più richieste. A lei si rivolgevano decine di famiglie, soprattutto dove le donne non potevano permettersi di dedicarsi al fiume, nella fiumana dei bambini, che, allora, erano ancora più numerosi dei morti.
Del resto, era l’epoca in cui i defunti venivano riconosciuti come protettori del giorno domestico e del giorno ciclico, stagionale. Quando nasceva un pargolo, il primo nome era dell’ultimo defunto, poi, a ritroso, seguivano altri due appellativi, fino a coprire tre generazioni di morti. Mia madre si chiamava Eleonora Maria Giacomina, in memoria di sua nonna, della bisnonna Maria e del trisnonno Giacomo. Fu l’unica discendente di Osvaldo e Luigina, un fatto insolito per l’epoca, ma a Luigina andava bene così, perché un solo figlio non era un ostacolo a trascorrere le giornate sulle rive dell’Odolo e pulire i panni per le altre famiglie era un’entrata extra modesta, ma necessaria. Osvaldo era, come tanti, un contadino senza terreno, al servizio del Duca di Lavrange, Filippo Filiberto d’Aorta. I contadini di allora erano come ministri della terra senza portafoglio. Certo, il Duca lasciava che un decimo del coltivato andasse alla famiglia di mia moglie, ma si trattava per lo più di miseri raccolti. L’Odolo non era generoso nemmeno per l’humus.
Così Eleonora Maria Giacomina crebbe fin dall’inizio con la madre, sull’insenatura del fiume.
Ora che lei è di nuovo con me, seduta sulle lenzuola pulite e stirate al lavasecco, ora che mi osserva con occhi morti, mentre scrivo la sua biografia, ora che la penna lascia nere parole con la mia grafia, penso. Posso anche scriverle, le mie osservazioni. Eleonora non si arrabbierà, almeno non dopo essersi sfogata, con gli altri Ritornanti, su metà delle famiglie di Lavrange.
Ecco, io credo che essere stata figlia unica, che essere cresciuta nel limaccioso Odolo, abbia in qualche modo influito su quanto è accaduto dopo la sua morte. Sul suo essere tornata dalla terra e sul suo divenire leader della nuova specie.
Eleonora è cresciuta con l’Odolo, a differenza degli altri infanti ha vissuto l’acqua e la terra, si è riempita degli odori della pioggia e del sole. Si è lavata nella sporcizia e nel sudore. Anche da adulta, persino da sposa e madre, Eleonora era il ritmo dell’Odolo.
Per questo, a differenza di noi tutti, aveva un qualcosa in più. Viveva non solo nel tempo cronologico, degli anni che passavano, ammuffiti uno sopra l’altro, ma anche in quello circolare delle stagioni, del pulito e dello sporco, della semina e del raccolto.
Eleonora, più di tutti noi, conosceva le parole dell’Odolo, chiamato "il fiume".
Un torrente giallastro, maleodorante, esumato dagli inferi della terra.
* testo depositato con sistema anti-plagio neteditor
Commenti