La memoria della terra – Giovanni
Sicuranza
La tazza vermiglia, dubbiosa sul baratro del tavolo.
Lo sguardo la accoglie, un sospiro informa l'encefalo,
la mano tardiva giunge in soccorso.
Caos, facce rosse, emorragiche, facce bianche,
esangui, lato esterno e lato interno, frammenti della tazza che fuggono alla
cieca nel panico dell'impatto al suolo.
Un liquido nero come sangue carbonizzato si aggira
pigro tra le rughe del pavimento.
Osservi il ricordo del tuo caffè, sbuffi e fa lo
stesso, ti affacci alla finestra della cucina come ad ogni risveglio.
Dai piani di sopra qualcuno ha spinto una massa
carnosa, no, l'impatto sulla tua auto è quello di un vaso in terracotta, adesso
lo riconosci, è già il terzo da ieri sera.
Sbuffi, non importa, una camicia da notte pallida si
affaccia al balcone di fronte, il contenuto nemmeno ti osserva, non un saluto.
Scavalca il confine tra la massa e l'aria, si
trasforma rapido, prima un peso nel vuoto, poi una natura morta sullo sfondo
del parcheggio condominiale.
Il contenuto della camicia era la proprietaria della
rosticceria all'angolo, il tuo luogo abitudinario di nutrimento, certo,
ricorda, accadeva molti mesi prima, prima della pandemia, quando lavoravi per,
per.
Sbuffi, non ha senso, hai perso tutto, anni senza
problemi che il minuto dopo sono diventati anni senza guadagno.
Rinchiusa in comunione con il mondo per non offrire le
tue cellule ai virus, hai salvato il tuo respiro, ma hai perso la parola.
Prima lo chiamavano King Corona V, dopo, con il caldo
e l’afa, sono arrivati anche gli altri, trasportati dalle zanzare.
Zika, Dengue, Chikungunya, come nomi di antiche
divinità, come protagonisti delle ombre nei racconti di Lovecraft, ogni tanto
ci pensi e con te ogni volta un brivido ci pensa.
Queste legioni di virus non si annunciano, non fanno
clamore, penetrano nei silenzi invisibili, violano le intimità dei corpi,
sgretolano i percorsi della vita.
Papà si è gettato dal balcone sei mesi dopo la nuova
ondata di pandemia.
Aveva appena saputo della morte di mamma nel lazzaretto
a tre stelle del centro città, una telefonata lungo i silenzi dell’alba, ho capito,
sì, ho capito, grazie, e nemmeno ti ha salutato; solo uno sguardo pieno di
polvere, fragile come foglia, il prologo del suo sfacelo, una fine sull’asfalto
che puoi descrivere in un paio di lacrime.
Ogni giorno qualcosa dagli appartamenti cade, qualcosa
che è un oggetto, qualcosa che un tempo era una persona.
Anche tu ci pensi, ci pensi, ci pensi.
Il volo è l’ultimo riscatto.
La forza di gravità è il richiamo della
terra,
la memoria che chiama a sé le speranze e tutte le racchiude nella dimora più intima e sicura.
(immagine: René Magritte, Golconda, 1953; olio su tela, 81×100 cm, Menil Collection di Houston)
Nota dell'Autore: lettura consigliata con l'ascolto del brano "L'amour est un oiseau rebelle" dall'opera "Carmen" - ho scritto di getto questo racconto accompagnato dalle note in vinile e nell'interpretazione di Veronica Cortez.
Qui il link del brano su Youtube nell'interpretazione di Elina Garanca:
https://www.youtube.com/watch?v=K2snTkaD64U
Nota dell'Autore: lettura consigliata con l'ascolto del brano "L'amour est un oiseau rebelle" dall'opera "Carmen" - ho scritto di getto questo racconto accompagnato dalle note in vinile e nell'interpretazione di Veronica Cortez.
Qui il link del brano su Youtube nell'interpretazione di Elina Garanca:
https://www.youtube.com/watch?v=K2snTkaD64U
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