Ogni passo che muove è silenzio notturno.
Valentina lo sente, lo assapora questo silenzio del corpo. È battito cardiaco che le scorre dentro e scivola fino ai piedi, amplificato dai tacchi degli stivali.
Valentina ascolta, si ferma. Guarda.
Il vicolo è un imbuto, compresso dalle pareti del cimitero da un lato, da quelle della chiesa dall’altro. Pareti pallide sotto la luna, rugose.
Pareti che invitano al silenzio.
Valentina sorride. Inspira a fondo la brezza, ne accarezza ogni colore notturno, poi solleva un tacco e cala il piede a terra.
tac, è il suo cuore sull’asfalto
tac, risponde l’altro tacco
Valentina accelera.
tac tac tac
Corre, corre veloce e il sorriso diventa sempre più ampio, come se le lebbra fossero tirate indietro dal vento, fino a diventare ghigno.
Il muro del cimitero è robusto, ma c’è lato fragile, dove l’ha colpito un camion, due giorni fa. Dal crollo e da quello che è rimasto della cabina del camion, l’energia cinetica che ne è scaturita deve essere stata spettacolare, la riproduzione microcosmica dell’impatto di un meteorite sulla luna.
Una nuova materia nata dalla fusione del cemento e delle lamiera. E dal corpo dell’autista, sbalzato all’esterno.
All’obitorio Valentina ha dovuto ricomporre a fatica brandelli di quel viso e, anche alla fine, quello che ne è venuto fuori sembrava più una maschera sgonfia e asimmetrica che il volto di un uomo.
Una parte del cervello lo hanno portato gli inservienti, il giorno dopo, in una busta chiusa. Poltiglia raschiata dal cedro che ha accolto l’autista nel suo viaggio lampo.
Valentina non esita, sa dove saltare.
E salta.
Ondeggia sulla riva frastagliata del muro distrutto, le onde del vento che vorrebbe spingerla indietro. Allarga le braccia, stringe i denti. Resiste.
Silenzio.
Le basta sporgersi appena, ora, toccare con mano i rivoli di corteccia del cedro. Sentire il turgore maturo dell’albero.
Chiude gli occhi, Valentina, e il mondo svanisce per entrare solo dentro di lei.
Tutto è dentro di lei.
Morire è così, pensa, il mondo esterno che svanisce e viene risucchiato dentro.
Le dita accarezzano il legno, i polpastrelli si dilatano nella conoscenza della sostanza appiccicosa. È quanto rimane dell’autista del camion, Valentina sa anche questo. È il barlume spappolato dei suoi neuroni.
- Ciao, amore – sussurra la donna, in una cantilena più lieve del vento.
Quando le hanno dato l’incarico di svolgere l’autopsia dell’autista, Valentina Laghi sapeva che nessuno lo avrebbe collegato a lei. Per la Procura era solo un altro caso da affidare al medico legale di turno.
Semplice routine per la dottoressa Laghi. Prego, si accomodi, sa, ci sarebbe questo tipo, guardi un po’ se doveva crepare così, sa, vorremmo un’autopsia completa di esame tossicologico, se intanto può faxarci i primi risultati prima di autorizzare l’esumazione, sa com’è.
L’esame tossicologico non è ancora pronto, ma dimostrerà che l’autista non ha assunto sostanze alcoliche o stupefacenti.
Un infarto, ha faxato temporaneamente la dottoressa Laghi. Tragica fatalità che verrà confermata. In ogni caso.
- Sei riuscito a stupirmi, amore – le labbra di Valentina lambiscono la sostanza rappresa sulla corteccia – Tra tutti i posti dove lasciarmi, hai scelto il migliore per morire.
Sospira ancora, gli occhi chiusi, la lingua che assapora il mondo esterno, il mondo esterno che è solo residuo organico dell’autista. Più acido, certo, ma Valentina ne riconosce il sapore in sottofondo, per tutte le notti nascoste in cui i lori corpi si sono amati.
Quando l’ha salutato l’ultima volta, la sua lingua ha indugiato più del solito nella profondità della bocca di lui, proprio per rammentarne i sapori interni.
Prima dell’autopsia, nemmeno conosceva il suo nome e non aveva importanza. Lui ha reagito bene al farmaco ipnotico somministrato e per ottenere questo effetto non importa conoscere il nome di un amante, importa conoscerne il peso, questo sì. Per farsi un’idea del giusto dosaggio.
Ora sa che sta assaporando la parte più intima di Carmelo Garofano, vivaista, sposato con Margherita da sei anni.
Sa che Margherita non ha mai sentito il sapore di Carmelo così a fondo, l’essenza dei suoi neuroni in aroma di cedro. E mentre è in bilico sul muretto, con le braccia a ponte sull’albero, mentre la sua lingua lambisce Carmelo in modo nuovo e appagante, inizia a chiedersi quale sarà il sapore di Margherita. Se dentro di lei troverà ancora un po’ di Carmelo o invece l’aroma di altri uomini.
Il vento ha un sussulto tra i suoi lunghi capelli neri, le mordicchia le orecchie, poi entra dentro il suo cuore.
E tutto è di nuovo silenzio.
Silenzio predatore.
Valentina lo sente, lo assapora questo silenzio del corpo. È battito cardiaco che le scorre dentro e scivola fino ai piedi, amplificato dai tacchi degli stivali.
Valentina ascolta, si ferma. Guarda.
Il vicolo è un imbuto, compresso dalle pareti del cimitero da un lato, da quelle della chiesa dall’altro. Pareti pallide sotto la luna, rugose.
Pareti che invitano al silenzio.
Valentina sorride. Inspira a fondo la brezza, ne accarezza ogni colore notturno, poi solleva un tacco e cala il piede a terra.
tac, è il suo cuore sull’asfalto
tac, risponde l’altro tacco
Valentina accelera.
tac tac tac
Corre, corre veloce e il sorriso diventa sempre più ampio, come se le lebbra fossero tirate indietro dal vento, fino a diventare ghigno.
Il muro del cimitero è robusto, ma c’è lato fragile, dove l’ha colpito un camion, due giorni fa. Dal crollo e da quello che è rimasto della cabina del camion, l’energia cinetica che ne è scaturita deve essere stata spettacolare, la riproduzione microcosmica dell’impatto di un meteorite sulla luna.
Una nuova materia nata dalla fusione del cemento e delle lamiera. E dal corpo dell’autista, sbalzato all’esterno.
All’obitorio Valentina ha dovuto ricomporre a fatica brandelli di quel viso e, anche alla fine, quello che ne è venuto fuori sembrava più una maschera sgonfia e asimmetrica che il volto di un uomo.
Una parte del cervello lo hanno portato gli inservienti, il giorno dopo, in una busta chiusa. Poltiglia raschiata dal cedro che ha accolto l’autista nel suo viaggio lampo.
Valentina non esita, sa dove saltare.
E salta.
Ondeggia sulla riva frastagliata del muro distrutto, le onde del vento che vorrebbe spingerla indietro. Allarga le braccia, stringe i denti. Resiste.
Silenzio.
Le basta sporgersi appena, ora, toccare con mano i rivoli di corteccia del cedro. Sentire il turgore maturo dell’albero.
Chiude gli occhi, Valentina, e il mondo svanisce per entrare solo dentro di lei.
Tutto è dentro di lei.
Morire è così, pensa, il mondo esterno che svanisce e viene risucchiato dentro.
Le dita accarezzano il legno, i polpastrelli si dilatano nella conoscenza della sostanza appiccicosa. È quanto rimane dell’autista del camion, Valentina sa anche questo. È il barlume spappolato dei suoi neuroni.
- Ciao, amore – sussurra la donna, in una cantilena più lieve del vento.
Quando le hanno dato l’incarico di svolgere l’autopsia dell’autista, Valentina Laghi sapeva che nessuno lo avrebbe collegato a lei. Per la Procura era solo un altro caso da affidare al medico legale di turno.
Semplice routine per la dottoressa Laghi. Prego, si accomodi, sa, ci sarebbe questo tipo, guardi un po’ se doveva crepare così, sa, vorremmo un’autopsia completa di esame tossicologico, se intanto può faxarci i primi risultati prima di autorizzare l’esumazione, sa com’è.
L’esame tossicologico non è ancora pronto, ma dimostrerà che l’autista non ha assunto sostanze alcoliche o stupefacenti.
Un infarto, ha faxato temporaneamente la dottoressa Laghi. Tragica fatalità che verrà confermata. In ogni caso.
- Sei riuscito a stupirmi, amore – le labbra di Valentina lambiscono la sostanza rappresa sulla corteccia – Tra tutti i posti dove lasciarmi, hai scelto il migliore per morire.
Sospira ancora, gli occhi chiusi, la lingua che assapora il mondo esterno, il mondo esterno che è solo residuo organico dell’autista. Più acido, certo, ma Valentina ne riconosce il sapore in sottofondo, per tutte le notti nascoste in cui i lori corpi si sono amati.
Quando l’ha salutato l’ultima volta, la sua lingua ha indugiato più del solito nella profondità della bocca di lui, proprio per rammentarne i sapori interni.
Prima dell’autopsia, nemmeno conosceva il suo nome e non aveva importanza. Lui ha reagito bene al farmaco ipnotico somministrato e per ottenere questo effetto non importa conoscere il nome di un amante, importa conoscerne il peso, questo sì. Per farsi un’idea del giusto dosaggio.
Ora sa che sta assaporando la parte più intima di Carmelo Garofano, vivaista, sposato con Margherita da sei anni.
Sa che Margherita non ha mai sentito il sapore di Carmelo così a fondo, l’essenza dei suoi neuroni in aroma di cedro. E mentre è in bilico sul muretto, con le braccia a ponte sull’albero, mentre la sua lingua lambisce Carmelo in modo nuovo e appagante, inizia a chiedersi quale sarà il sapore di Margherita. Se dentro di lei troverà ancora un po’ di Carmelo o invece l’aroma di altri uomini.
Il vento ha un sussulto tra i suoi lunghi capelli neri, le mordicchia le orecchie, poi entra dentro il suo cuore.
E tutto è di nuovo silenzio.
Silenzio predatore.
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