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La neve defunta


bella donna - dal nuovo romanzo

La neve defunta” di Giovanni Sicuranza





- Prende troppo caffè, è vero?

La tazza si ferma a pochi istanti dalle labbra, indecisa.

L’aroma no, persiste, si arrampica al naso, su volute di fumo, e porta con sé la risposta.

Sorride appena, la donna intorno al naso; chiude gli occhi, beve un sorso.

- Mai abbastanza.

Riapre gli occhi, la tazza coccolata dalle labbra, e guarda l’uomo anziano, seduto di fronte.

Sono ad un tavolo da quasi mezz’ora, nella penombra di un bar in chiusura.

Lui ancora non le ha svelato nulla.

Non ha nemmeno iniziato a bere il the che ha ordinato e che ormai, a giudicare dall’assenza di fumo, deve essere un’agonia di liquido scuro.

Si limita a fissarla o a sviare l’argomento con sciocche domande sulle sue abitudini.

E ancora non risponde a quelle di lei.

- Sì, troppo caffè fa salire la pressione e lei ne beve molto, tanto – dice l’uomo con un’alzata di spalle – A me il dottore li ha vietati – risata breve, nervosa, che spezza il tono sommesso delle parole - Veramente mi ha vietato ogni svago, fumo, alcool, persino sesso, ah, beh, per questo ormai ho poche ambizioni o magari no, ecco – poi il tono torna a quel mormorio monotono, inconcludente – Lo dicevo solo per i suoi occhi, giovane signora.

- I miei occhi? – la tazza di caffé ha un sussulto di sorpresa.

- Ha occhi molto belli, che dovrebbe valorizzare – l’uomo si sporge verso lei, lei si appiccica allo schienale – Invece tutto quel caffé le rimpicciolisce le pupille, ecco.

- Ma pensa – sbuffa la donna, le parole che fendono la scia di fumo e la fanno ondeggiare.

Poggia la tazza sul tavolo, si china a sua volta verso l’uomo.

Lui rimane fermo, gli occhi nei suoi.

- Signor Ascario – sussurra imitandone il tono – Se continua a divagare, tra poco qui sarà così buio che non riusciremo nemmeno a vederci in faccia. Altro che occhi.

Le labbra di lui diventano sorriso, e lo fanno in un modo così debole che lei legge solo amarezza.

- È venuta per una storia che sanno già tutti. Di cosa dovrei parlare ancora?

Lei si guarda intorno, veloce, da una parta, dall’altra.

Nessuno oltre loro.

Solo il barista è una presenza svelata alle sue spalle dal suono di bicchieri e acqua corrente.

Si chiede se sia stato un bene incontrare quest’uomo nel bar dove passa gran parte della giornata.

Almeno così le hanno detto.

A Lavrange Ascario è la memoria di carne e di sangue, ha urlato per la Signora della Fossa e, ora che non ha più voce, dopo che la strega gli ha leccato ogni segreto della gola, il vecchio vive al bar, si idrata al bar e al ritrova tutti i suoi fantasmi.

- Mi aveva promesso – inizia lei.

Lui alza una mano.

- Dottoressa, ecco – e si ferma, le sopracciglia che si alzano, perplesse.

- Laghi – ricorda lei, rapida – Valentina Laghi.

- Non se la prenda, dottoressa Laghi, uh, medico legale, ecco. Non si alteri, manterrò la mia promessa – Ascario si volta verso la vetrata, lo sguardo che vaga tra le movenze assopite del piccolo paese di Lavrange - È che sono passati tanti secoli ed ora tutto mi vuole di nuovo, addosso alla mia pelle.

- Beh – fa’ lei, le mani che prendono la tazza e la sollevano. Gli occhi cadono nel caffé, poi salgono a cercare il volto dell’uomo. La tazza torna sul tavolo – Senta, adesso le tecniche sono diverse, più sofisticate, e c’è chi vorrebbe riaprire il caso.

Ascario annuisce.

- Certo, certo. Ci sono quegli esperti ora – la mano si agita nell’aria – come si chiamano.

- Botanici forensi.

- Ecco, quelli, e voi scienziati tornate subito da me – la mano si abbandona sul tavolo con un tonfo di protesta – Da me che ho visto crescere e morire una strega.

- E’ davvero morta Nostra Signora della Fossa?

- Me lo dica lei, signora dottoressa medico legale.

- Non saprei, Ascario, a leggere quel saggio sul vostro paese sembra di sì.

- Ah, ecco, certo, ancora con quel saggio, voi forestieri siete gli unici a leggerlo. A Lavrange è stato seppellito senza tomba e ricordo. “Sotto la terra qualcosa campa”, sai che libro, ecco, la fenomenologia del nulla. Spero piuttosto che sia crepato il suo autore, il so-tutto-io-Sicuranza, ecco.

- Non ancora, credo, Ascario. Oggi però sono qui per conoscere sua moglie.

Valentina coglie un sussulto nel caffè e le sue spalle la sorprendono a fare lo stesso. O hanno iniziato le spalle?

- Mah, non ricordo bene, insomma, avevamo preso la casa da pochi giorni, cosa ne potevo sapere dello scheletro.

Lei annuisce, gli occhi ancora nel buio del caffé.

- Gli inquirenti sospettavano che sua moglie si fosse suicidata. Ma durante le ricerche hanno trovato uno scheletro. Allora hanno pensato che lei potesse averla, uh, come dire, sì, uccisa.

Torna a guardare l’uomo.

Che tace.

Che ha occhi come fessure. Ora.

E le labbra deformi in una smorfia.

- Non può avere dimenticato – si affretta ad aggiungere Valentina – Hanno trovato uno scheletro e sua moglie era scomparsa da due giorni.

- E noi eravamo in quella casa da una sola settimana – lui, duro.

- Però – la donna sospira, afferra di nuovo la tazza, beve un sorso, ripone la tazza, un sussulto, le spalle, no, forse il caffè – Però, Ascario, scusi, senta.

Ancora la mano dell’uomo sale ad interromperla.

È grande, questa mano, Valentina se ne rende contro solo ora, nei riflessi del tramonto che filtra dai vetri e accentua i profili.

È grande come un badile.

- So già cosa vuole dirmi. Mia moglie è scomparsa da allora.

- E il terreno sopra il cadavere era stato smosso da poco.

- Errore, mia cara – l’uomo chiude gli occhi – Tutto il terreno era stato appena smosso. Era per via della passione di Guendalina, ecco.

- La passione di? – echeggia lei, mentre si affanna a cercare nella mente l’informazione che le manca.

Non trova nessuna passione in quello che sa della donna, solo un lungo mistero grigio.

Eppure si è preparata bene sul caso Ascario.

***

Tanti anni prima di questo incontro.

Sono nuovi del paese, i coniugi Ascario. Si sono trasferiti da pochi giorni, dopo che la figlia, l’unica figlia, è morta.

Oppure, ma questa è la deformazione da osteria, che si è trasformata nella strega Nostra Signora della Fossa.

“Cronache di Fine Viaggio”, il giornale dell’epoca, l’unico, tre pagine trafitte da inchiostro nero, riporta che la madre era entrata presto nella sua camera, per svegliarla, perché quella mattina cominciava la gita della parrocchia, ma già prima di aprire del tutto la porta aveva compreso che la figlia non stava dormendo.

Gli occhi sbarrati sul nulla, la bocca piena di schiuma bollosa; in ogni piccina bolla rosa erano intrappolati i suoi ultimi respiri.

Edema polmonare acuto, aveva borbottato il medico necroscopo.

Da allora la casa di Ascario era precipitata in un silenzio gravido di dolore.

Fino a quando i genitori della morta, di nostra Signora della Fossa diceva già qualcuno, avevano smesso di vagare in quel cimitero di ricordi e si erano decisi per il trasloco.

Per ricominciare a vivere, diceva lei, la  fragile Guendalina, con un sussurrare umido di terra, ce ne andiamo al confine con la campagna.

Un tentativo durato una sola settimana.

L’ottavo giorno, durante un imbrunire fradicio d’estate, un affranto signor Ascario denuncia la scomparsa della moglie.

La signora Guendalina è andata a dormire la sera prima, ecco, alle ventidue e trenta, come sempre. Aveva anche salutato alcuni boscaioli, i soliti, che tornavano ai focolari.

Lo aveva fatto dalla veranda, con un cenno della mano, ampio, sembrava persino allegro, come puntualizzeranno in seguito quegli uomini, stupiti, ma soprattutto fieri di essere testimoni.

La mattina dopo, senza premesse, senza biglietti, senza un che, Guendalina è svanita.

Il marito lo scopre al risveglio, mentre l’alba si adagia nella parte del letto che lei ha scelto. Anche lui adagia la mano sulle lenzuola. E le sente vuote. Fredde.

L’uomo è disperato, ecco, teme il suicidio.

Iniziano le ricerche.

Al primo sopralluogo, i Carabinieri scoprono che dal giardino di Ascario, pieno di erbe lunghe e verdi, proviene un odore strano.

Odore. Intenso. Acre. È nausea in forma di gas.

Poi, guardate, c’è il terreno. E’ stato smosso da poco, lo si vede ovunque.

Subito sono disposti gli scavi.

Prima c’è il ringhiare delle ruspe, poi lo scheletro che emerge dai silenzi della terra.

La situazione si complica.

Ascario ha ucciso sua moglie e ne ha occultato il cadavere?

Impossibile.

Guendalina è svanita.

Da pochi giorni.

Quello scheletro sembra essere lì da anni.

Ascario e Guendalina hanno acquistato la casa dopo il decesso del vecchio proprietario, il mite edicolante Pierpaolo Antonio Sfoglia, peraltro affetto da una forma di asma così grave e antico da costringerlo al guinzaglio di una bombola ad ossigeno.

Nessuno riesce ad immaginarlo mentre scava una fossa e seppellisce un corpo.

Intanto Guendalina, questa buia moglie di Ascario, mica si trova.

Lo scheletro parla poco.

Però ciò che dice potrebbe incastrare il marito affranto.

Il bacino è largo come quello di una donna, le facce articolari sono consumate come quelle di una persona non più giovane.

Insomma, ad immaginare le ossa di Guendalina al momento della scomparsa, è proprio così che dovrebbero essere.

Solo che quello scheletro non ha tracce di organi molli, né di scalfitture che porterebbero ad ipotizzare l’asportazione forzata della carne. Anzi, ad esaminarlo bene non ha proprio nessun segno di lesione.

Guendalina è scomparsa da pochi giorni, ma il segreto che cela il suo giardino è quello di una donna anziana morta da anni e senza traumi.

E rieccoci qui, tanti anni dopo, con il mistero rimasto ancora senza soluzione.

Ascario sembra rassegnato e, solitario, trascorre le ferite e i segreti della sua vita tra la casa e il bar.

Ogni tanto, e proprio ogni tanto, entrano nell’angolo della sua visuale giornalisti, forestieri come Valentina Laghi, in cerca di notizie in un luogo dove le vicende più scabrose riguardano la partita a bocce tra il paese di Lavrange e quello di Fine Viaggio.

Ascario non sembra sorpreso, mai seccato, e se ne sta lì, ad ascoltare domande, in penombra, in silenzio, un fiore appassito che non conosce più acqua, ecco.

Nemmeno.

***

- La passione di sua moglie, lo ammetta, era per i fiori!

No, dice l’uomo anziano seduto di fronte a Valentina.

Silenzio.

- No?

Ascario sospira sopra anni di sospetti, unici conoscenti rimasti dopo la perdita della figlia e della moglie.

- Erbe, mia cara, mia moglie aveva la passione delle erbe.

- Ah – inizia Valentina. Cauta, sorride – Dovevo ricordarmelo – poi spalanca gli occhi sul viso afflosciato dell’uomo - Infatti vogliono riaprire il caso e fare analizzare lo scheletro dai botanici.

- E secondo lei, ecco, possono trovarne? – chiede lui.

Valentina ha un sussulto. Intuisce che è una domanda importante, la prima vera informazione che l’uomo cerca da quando si sono presentati. 

- Certo – si affretta a spiegare - Anche le erbe possono dare indizi di un omicidio – Valentina si morde un labbro – Cioè, di una morte, volevo dire, merda, cioè, mi scusi, io.

L’uomo abbassa lo sguardo e in quel gesto Valentina capisce qualcos’altro.

Ascario le ha posto una domanda che conosce già la risposta.

Si gioca l’empatia, la curiosità, il rispetto, e non si tira indietro: allunga una mano su quella dell’uomo.

- Cosa è successo a sua moglie?

Un silenzio lungo, che si innalza sopra i respiri delle luci al neon.

- L’ha uccisa lei, Ascario?

L’uomo non risponde.

Non

subito.

Prende la tazza di the e decide per un sorso, lungo. Poi, lento, come nel timore di rompere la porcellana, tanto lento, ecco, la ripone sul tavolo.

Quando solleva gli occhi, Valentina Laghi entra in un abisso di dolore.



***

- Vado io! – esclama la donna, il corpo che è slancio gioioso verso la porta.

Il marito rimane immobile, stupito, seduto sul divano dove stavano discutendo del futuro fino al suono del campanello.

Il tono di lei, il suo rapido scatto, gli hanno mostrato di nuovo una donna che credeva non esistere oltre, non dalla morte della figlia, almeno.

Per questo se ne sta ancora lì, scompensato, con il riflesso di un sorriso rivolto alle tende chiuse del balcone.

- Entri pure, venga, non si preoccupi della terra, venga, tranquillo, sa, abbiamo appena dato una sistemata a tutto il giardino, ieri, no, oggi, credo – la raffica di parole della moglie esplose dall’atrio – Ascario, cielo, Ascario, per favore.

- Arrivo – lui si alza, pesante, il sorriso che è già diventato un ricordo lontano.

L’uomo sull’atrio è così magro che per un attimo Ascario è sicuro di vederlo spezzarsi sotto il peso del contenitore che traballa sulle mani.

La moglie, invece, deve essersi frammentata in qualche spazio sub-atomico, perché continua a sentirne la voce, ma non riesce a vederla.

- Guendalina?

- Uff –l’estraneo scivola sulla parete, il sacco che scivola lento sull’uscio, marrone, lungo, come una lumaca su questo corpo esausto – Uff, buongiorno signore.

- Guenda … Ecco, buongiorno a lei – risponde Ascario e si decide ad avvicinarsi – Sta bene?

L’altro ha gli occhi chiusi sotto una cascata di sudore, sibila come in trincea durante un attacco di asma, ma sì, annuisce.

- Signore, mi scusi, signore, sto bene, ma se, per favore – e indica il sacco senza aprire gli occhi.

- Guendalina? – ripete ottuso Ascario.

L’altro appoggia il capo sulla parete.

Un tonfo sordo. Ottuso.

- Sta bene? – chiede ancora Ascario, certo che quello sia rumore di ossa, aspettando la fontana di sangue dalla nuca dell’uomo.

Silenzio.

- Guendalina?

E allora lo sconosciuto apre gli occhi e fissa Ascario con un’espressione obliqua.

- Signore, è sicuro, lei, di stare bene?

- Come, scusi?

- Nel senso, le chiedo solo se mi dava una mano a sistemare il sacco in casa – un lungo sospiro – Ce ne sono a decine sul camion e io sono solo.

- Ma certo, però, ecco.

- Sua moglie è corsa in giardino – e con queste parole l’uomo chiude di nuovo gli occhi e si passa una mano sulla fronte.

Le dita, Ascario le segue lungo il sudore, sono pelle incolore, tesa sulle ossa, e poi nera dove le unghie si espandono ad artiglio.

Per Ascario può anche accasciarsi al suolo in una scia di sudore e sangue sulla parete. Scavalca il sacco e si precipita sulla veranda.

Sua moglie è proprio in giardino, che zampetta sulla terra smossa, attenta a non finire in una delle tante buche che hanno scavato durante la mattina e il giorno prima pure, ecco.

Ascario apre la bocca in un ovale pieno di incredulità.

Eccola la sua Guendalina, una sessantenne depressa, una semina di artrosi in tutto il corpo, eccola che salta come una bambina.

Rimane così, trattenendo anche il respiro per non rompere quel momento folle e stupendo.

Fino a quando anche lei lo vede e si ferma.

- Ascario, sono arrivate! – urla, le braccia che si lanciano al cielo.

Lui solleva una mano sopra la testa, in modo che la moglie possa vedere bene, e alza il pollice. Lei gli risponde battendo le mani.

- Beh, devono proprio valere molto queste erbacce per sua moglie – annaspa una voce alle sue spalle.

Ascario si volta, duro.

- Non sono erbacce.

L’altro annuisce, senza scomporsi.

- Per me, basta che mi date una mano e mi pagate.

- Ascario!

L’uomo si gira ancora verso la moglie.

Lei gli manda un bacio con la mano.

Lui annuisce, appena, anche se sa che il suo gesto non può essere visto.

- Senta – si rivolge poi all’altro uomo, che ancora non trova un ritmo naturale di respiro – Entri dentro che le offro un bicchiere di acqua e la pago, ecco. Per le erbe non si preoccupi, ci aiuta solo a scaricarle dal camion e poi è libero di andare.

Prima di entrare dedica un’altra occhiata alla sua donna, che ha ripreso la danza del giardino.

Decide.

È la frazione di un attimo, la contrazione del cuore quando capita di riconoscerla.

Questo dovrà essere il ricordo di sua moglie, decide Ascario, il momento che porterà sempre con sé, negli anni della solitudine.

Anche oltre, se sarà possibile, anche dopo la morte. 



***
... continua

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