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Lullaby-Job


Ho scritto questo racconto nel secolo 2007, quando sussultavo sottopagato e sottomotivato tra una visita fiscale e l'altra dentro le campagne emiliane; oggi lo stile narrativo è lo stesso, ma con meno condimento, il medico fiscale è svanito sotto giravolte di usure, e lo scrittore crede ancora di avere narrato qualcosa di passabile, una storia, che, persino, è stata edita in più occasioni, da varie riviste, fino alla mummificazione nel libro “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” (2010)
Non so il perché di questo lungo preambolo, forse perché in genere, quando Stephen King apre le sue raccolte di racconti con spunti riflessivi, viene voglia di leggere tutto il resto, ma proprio tutto. 


Lullaby-JobGiovanni Sicuranza

Largo, devo farmi largo su questa strada sudata di gente
Il dottor Pier Paolo Lemme è corsa frustrata di gambe su parole silenziose, su sguardi insofferenti.
Con la sua borsa di finta-pelle-escoriata, schiva per un pelo sezionato il capo di una bambina, che ancora ondeggia di stupore e spavento mentre lui ha già circumnavigato l’angolo del palazzo in cui giace la sua visita fiscale.
L’ultima.
E poi al diavolo questa frazione di paese perduto tra abbondanza di nebbie e siccità di cartelli stradali.
Ha lasciato la macchina non ricorda nemmeno esattamente dove, inclinata tra fila di alberi spogli, ma a ritrovarla c’è tempo, l’importante è riuscire a suonare al campanello entro le ore 12.00, altrimenti dovrà ripercorrere tutti i chilometri in auto e gli affanni a piedi per le 17.00 del pomeriggio.
In fondo, anche se lo stress è vissuto sempre con frenetica novità, la storia si ripete ogni giorno da quando è stato assunto come medico fiscale dell’Azienda USL in questo territorio che non conosce. Visite da assolvere nell’orario tra le 10.00 e le 12.00, altrimenti si passa all’opzione 17.00 - 19.00.
Che, con la nebbia alleata del buio, è poco convincente.
Per questo il dottor Pier Paolo Lemme, carico di debiti e di verbali da compilare, arranca ogni mattina più che può, con un senso di angoscia crescente man mano che giungono incarichi su nomi di strade sconosciute e, spesso, isolate da centri abitati.
Per questo ora la sua bocca diventa esposizione soddisfatta di denti ingialliti quando trova il numero civico, legge il cognome sbiadito sul campanello e l’orologio da polso lo informa con grasse scritte verde fosforescente che sono le 11.56.
Allora suona, suona deciso, a lungo, con il sapore del trionfo e, mentre schiaccia il vecchio campanello con il suo dito tozzo, ascolta l’ansia che soffia lontano dal corpo in un atto unico, che ha solo un breve intervallo, quando dall’altra parte non ode voci, trilli, scatti di portone.
Nulla.
Ma la sfiga conosce bene tutti gli indirizzi che mi danno, anche quelli sperduti, e arriva sempre prima, brontola in fa diesis maggiore, in sintonia con il suono del campanello, come gli suggerisce il suo orecchio allenato in ben tre mesi tre di conservatorio, ere geologiche prima. Calcola che per questa assenza ingiustificata del lavoratore, lui verrà pagato cinque euro meno del previsto.
Ma, tutto sommato, meglio così che dovere tornare in questa brughiera di pomeriggio, si consola, perché già gran parte della sua angoscia è diventata biodegradabile.
Tlack!, risponde il portone con un sussulto pesante.
Il dottor Pier Paolo Lemme si blocca in un’istantanea di polaroid, stupito da quel suono ormai dato per perso e invece così repentino da negargli addirittura la consolazione della tonalità. Con occhi serrati di attenzione, ancora preda dello spasmo tenace da ricerca dell’abitato, si volta verso il campanello.
Che tace.
Si chiede se non sarebbe meglio suonare di nuovo, tanto per annunciarsi, ma l’orologio lo avvisa che sono già le 11.58 e un angolo di angoscia è ancora solido nel suo petto al punto da fargli scuotere la testa e spingere il pesante portone verso l’interno.
***
Le scale sono ripide, in una penombra stanca di lampadine fulminate. Ovviamente, manca l’ascensore.
Il dottor Pier Paolo Lemme scrolla le spalle e affronta rassegnato la salita, sperando che il lavoratore si trovi al piano rialzato e sia così socievole, se non da rispondere al campanello, almeno da aprire la porta ed affacciarsi sul pianerottolo.
Così, dopo due piani di rapide e un inizio abortito di scivolata su alcuni scalini lucidati con eccesso di zelo, giunge davanti alla porta dell’interessato. Chiusa.
Attende, strusciando le scarpe di nota marca di tela su un pianerottolo in cui donna, uomo o qualunque essere addetto alle pulizie ha smarrito la propria esistenza.
- … zzo - mormora con poco riguardo per la direzione di voce, che per dispetto si infila in un angolo tra le pareti e rotola amplificato di eco in sol diesis maggiore.
Almeno così intuisce il dottor Pier Paolo Lemme, forte della sua sagacia da conservatorio.
È allora che un ricordo del tutto inaspettato bussa al suo naso e lo fa’ vacillare di schifato stupore.
Odore acre, pungente, che si infila nelle pieghe dei vestiti, nei pori della pelle, nei pertugi del respiro e lì si dilata e rimane, prepotente.
- … zzo - si rinnova l’uomo guardandosi intorno con aria sgradevolmente incuriosita. La penombra è autrice di macabri pensieri e il silenzio adagiato sul pianerottolo ne è la perfetta colonna sonora.
Quell’odore il dottor Pier Paolo Lemme lo ha sentito solo in tre occasioni nella sua vita, ogni volta con la speranza di non incontrarlo più. La prima volta durante l’esperienza in obitorio come studente di medicina legale, la successiva durante la seconda esperienza in obitorio come ripetente dell’esame di medicina legale, la terza volta come sopra, salvo promozione per sopraggiunto senso pietistico del professore.
Insomma, il dottor Pier Paolo Lemme non ha mai avuto un buon rapporto con la morte, non nella sua forma, astratta o concreta, non nel suo dovere di studio, non nel suo odore pesante. Che ora ritrova. Con aggiunta di un bel po’ di solida angoscia.
Posso andarmene in fondo è vero qualcuno mi ha dato il tiro ma non so chi e qui non c’è nessuno non si sente suono che sia uno insomma scrivo che non ho trovato nessuno
- Sì? -
- Ahhhh!!! - esplode il dottor Pier Paolo Lemme, colto da volgare terrore, proprio quando decide di non essere troppo fiscale, tornare velocemente giù, raccontarsi di non avere trovato nessuno e cercare riparo nel territorio della propria auto.
La nonnina che si è affacciata sull’uscio gli sorride di rughe e denti sparsi.
Al dottor Pier Paolo Lemme sembra la strega cattiva delle fiabe. ***
Poi le vede gli occhi, che luccicano di bonario stupore, e si sente avvampare in viso per l’esordio isterico con cui ha assordato l’aria dell’edificio.
Rilassati rilassati rilassati
cantilena mentalmente in un adagio, mentre i muscoli facciali cercano di assumere un’espressione rilassata con contorno di bel sorriso.
La nonnina è ancora lì, affacciata all’uscio, e lo osserva con quell’aria sorpresa che è anche aperta cordialità.
- Salve, uh - inizia il dottor Pier Paolo Lemme cercando ancora di prendere il controllo della situazione - Mi chiamo, mi scusi, non mi aspettavo che, sono il medico fiscale, ma credo che -
Sì sì, fa la nonnina con la testa e intanto tace. E sorride bonaria. E non si muove.
Il dottor Pier Paolo Lemme sposta lo sguardo ancora traballante dagli occhi di lei alle rughe che colano sul viso.
Ma quanti anni ha?
- Mi scusi, ammetto di essermi un po’ spaventato, dicevo, sono il medico fiscale - È per l’odore, vero? -
Il dottor Pier Paolo Lemme indietreggia di un passo inconsapevole. È che, dall’alto della sua conoscenza musicale, non si aspettava proprio di sentire una voce così calda, in do bemolle avvolgente, provenire da un’anziana con il corpo da titolo di coda di un’operetta di fragile costrutto.
- Come scusi? - si arrampica poi, quando scopre anche il tema delle note pronunciate.
La nonnina continua a sorridere, apre del tutto la porta e si fa da parte.
- Ha detto di essersi spaventato - spiega - Pensavo che fosse pervia dell’odore -
In effetti, a ben annusare, al dottor Pier Paolo Lemme sovviene che l’odore di morte non dimora con la stessa presenza di prima, ma, per quanto ancora presente in sottofondo, sembra diluito da un profumo intenso, che gli punge le narici.
- È limone - aggiunge la nonnina, come a leggergli nel pensiero- Ne uso tantissimo, sa. Il mio frigorifero se ne è andato proprio quando ero via per le pratiche amministrative e ha lasciato marcire tutta la carne - scrolla le spalle in un crack crack spigoloso di articolazioni - Me ne sono accorta solo ieri -
Il dottor Pier Paolo Lemme annuisce con accompagnamento di sorriso comprensivo, anche se pensa che questa nonnina, per quanto bonaria, un po’ tocca lo deve essere. Poi si ricorda di un particolare e le labbra si disegnano da mezzaluna crescente a ovoidale tremante.
- Mi scusi, sono il medico fiscale - ripete cercando di trovare la frase cruciale tra pensieri di odore di putrefazione, di limone, di fretta di tornare all’auto e concludere la giornata con un grasso ronfare nella solitudine della sua stanza.
- Sì, lo avevo capito, sono vecchia, ma non ancora rimbambita, sa - lo informa la nonnina, divertita, e si sposta da un lato per fare spazio al medico - Si accomodi pure e scusi il disordine -
A quell’invito, il dottor Pier Paolo Lemme, medico fiscale da nemmeno due mesi in una regione sconosciuta, ritrova il suo ruolo, si impettisce di cappotto, pullover e maglione di lana, sorride con distaccata professionalità e muove cinque passi contati in stile marziale.
L’ingresso ha la stessa penombra segreta del pianerottolo, solo che qui l’odore di limone è ancora più forte, tanto da prudergli il naso e da costringerlo ad una smorfia rossastra per reprimere uno starnuto.
La nonnina nemmeno ci fa caso; le mani deformate dall’artrite avvinghiate alle anche sporgenti, barcolla verso una tenue luce biancastra, offrendo alla debole vista del medico le spalle inclinate da una scoliosi dorso-lombare che nemmeno l’ampia vestaglia nera sa curare.
- Mi scusi per il disordine - ripete invece.
Almeno riuscissi a vederlo, questo disordine, pensa il dottor Pier Paolo Lemme concentrato sulla luce che soffia incerta dalla stanza dove lo sta portando la nonnina.
Quando entrano in cucina, scopre perché la luce è così debole. Tendaggi viola cadono rigidi sulla finestra, impedendo la vista del mondo esterno, che comunque sarebbe una distesa di nebbia e monotonia.
Ma non è solo questo.
Il dottor Pier Paolo Lemme avverte un conato di vomito che compie un balzo verso la bocca, anche se non sufficientemente esplosivo per concretizzarsi.
Qui l’odore di morte e limone si fonde in un acre irrespirabile, che appesantisce l’aria, che cattura la scarsa luce sopravvissuta al tendaggio radendola al suolo.
- Mi scusi, signora, dovrebbe almeno aprire la finestra – non riesce a trattenersi.
Solo allora la nonnina si gira di nuovo verso di lui e lo guarda perplessa, come se lo vedesse per la prima volta.
- Per che cosa è venuto? -
Il dottor Pier Palo Lemme è richiamato all’ordine e alla fretta del suo incarico. Per un istante la nausea passa in secondo piano cedendo il posto al dubbio che lo ha già assalito all’ingresso.
- Sono il medico fiscale -
- Sì - annuisce comprensiva la nonnina, filtrata di fioca luce che ne accentua la grinzosità del viso, la opacità dei radi capelli lunghi precipitati in ordine sparso sulle spalle, la gracilità del corpo che sembra sul punto di sfaldarsi al minimo accenno o addirittura pensiero di vento.
Un’affermazione ripetuta con pazienza, come a considerare l’interlocutore un tipo poco sveglio, e che pertanto intacca l’orgoglio del dottor Pier Palo Lemme.
Allora lui decide ancora di prendere in mano la situazione, in stagnazione da troppo tempo per i ritmi della sua angoscia.
- Devo visitare la signora Letizia Soma - pontifica e accenna a sedersi sulla scarna sedia al suo fianco.
La nonnina lo guarda senza mutare espressione, divertita, come quando sua madre lo guardava
(giudicava) nelle sue richieste infantili.
- Mi scusi, ho altri impegni - dichiara il dottor Pier Paolo Lemme, una mano tesa sullo schienale in legno cupo, il corpo bloccato nell’intenzione di sedersi - La signora Soma è in casa? -
- Si accomodi - lo libera allora la nonnina e, allo stesso tempo, lui sprofonda nella sedia e appoggia i verbali sul tavolo traballante di incuria.
Si sente un po’ più rilassato, perché intuisce che quell’invito è in chiave di fa, da cui iniziano molti spartiti di musica e, dunque, premessa di azione. Il secondo successivo lo trascorre dunque in un sorriso cordiale, che impiega ben due secondi a spegnersi e un altro secondo a lasciare il posto ad un’espressione corrugata, quando si rende conto che invece la nonnina non aggiunge altro, nemmeno si muove, ma rimane lì, a fissarlo con quell’aria fastidiosa.
- Signora, per favore -
- Posso offrirle qualcosa? - Signora - geme lui.
- Un caffé? Un the? - Sssignora -
- Ho fatto degli ottimi biscotti, sa -
- Devo visitare subito la signora Letizia Soma! - esplode il dottor Pier Paolo Lemme in un assolo veloce di impazienza. Si trattiene dal battere le mani sul tavolo perché la nonnina ha mutato espressione e accenna lenta di capo e di rughe. Prende una sedia dal tavolo e si sistema di fronte a lui. Poi ricomincia a guardarlo negli occhi, ora con espressione seria seria, ed è così che il dottor Pier Paolo Lemme nota che quello sguardo
- Sono io Letizia Soma - sussurra la nonnina che dimostra almeno novanta anni. quello sguardo, pensa lui, senza riuscire a capire cosa in quello lo sguardo, ora velato dalla fioca luce, lo mette a disagio. Del resto c’è un’altra notizia da comprendere con una certa urgenza.
- Mi scusi, forse si tratta di un’omonimia. Io sono -
- Il medico fiscale - annuisce lei, comprensiva - lo avevo vagamente intuito. Vuole un the con i miei biscotti? -
Il dottor Pier Paolo Lemme mette avanti le mani, nel rifiuto di quell’offerta e di quanto sta accadendo.
La nonnina gracchia di articolazioni mentre alza le spalle e gli sorride con gli occhi nei suoi.
(quello sguardo)
- Oh, non importa - aggiunge in tono di mi minore dispiaciuto In fondo nemmeno ricordo quando li ho fatti, i miei biscotti - Lei è la signora Letizia Soma, abitante in via del Cammino 7? -
- Sono io -
- E - il dottor Pier Paolo Lemme si guarda intorno, tra le penombre pesanti di limone e morte - e questo posto, insomma, credo di avere seguito bene i cartelli, ma sa, sono nuovo e -
- È il paese di Fine Viaggio -
- Non ci posso credere. Un caso di omonimia, chiaro - ribadisce il dottor Pier Paolo Lemme e, razionalizzato l’arcano, fa per alzarsi.
- Sono assente per malattia da circa un mese - svela la nonnina, ancora con tono mesto, come se stesse parlando dei suoi biscotti.
Lui cade a sedere, mentre le sopracciglia si alzano incredule.
- Come? -
- Quanti anni mi da? - Signora, io, mi scusi, ma -
- Ne ho settanta - svela la nonnina che ne dimostra almeno novanta e ancora i suoi occhi entrano tristi nei suoi.
(lo sguardo quello sguardo)
- Si metta comodo, caro il mio medico fiscale, e riempia il verbale -
***
Il dottor Pier Paolo Lemme decide all’unisono di ignorare la situazione paradossale, lo sguardo inquietante della signora Soma, l’odore di limonata alla morte e di finire in fretta il suo lavoro.
Questa mattina si è conclusa proprio male, ma almeno nel pomeriggio riuscirà a dormire e alla nuova angoscia del turno di domani ci penserà al risveglio.
Estrae il verbale e si ferma.
É così sconvolto da avere dimenticato i fondamentali?
Solleva gli occhi verso la signora Soma
(quello sguardo) e le sorride formale.
- Mi occorre un suo documento di identità -
Lei annuisce e, senza una parola, indica un foglio piegato in due che biancheggia un angolo buio del tavolo.
Il dottor Pier Paolo Lemme allunga una mano perplessa, chiedendosi che tipo di documento possa essere quello. Esita, fa per domandarlo alla signora Soma, poi cambia idea e prende il foglio.
Forse ha perso la carta di identità e questa è una fotocopia, ipotizza mentre distende la carta in uno sconosciuto fruscio senza tonalità. Quindi legge veloce, sussulta, rilegge, più piano, risussulta, chiude ed apre gli occhi, ma la scritta è ancora lì, in un nero formale e deciso.
Le sue mani appassiscono e il foglio si adagia sul tavolo.
La nonnina lo sta guardando e quello sguardo
(quello sguardo)
- Che-che-che scherzo è mai questo - si trascinano le parole del dottor Pier Paolo Lemme.
La nonnina scuote la testa, piano, prima da una parte, poi dall’altra, in un adagio malinconico di pianoforte.
E finalmente il dottor Pier Paolo Lemme riconosce quello sguardo e scopre la ragione dell’odore che gli intasa naso e pori.
Vorrebbe alzarsi, scappare, annullare tutto, ma la situazione è troppo assurda perché non possa far altro che capire fino in fondo. E magari pisciarsi un po’ sotto.
- Sono morta tre giorni fa - lo accontenta in tutto la nonnina Quel certificato di morte dice il vero - i suoi occhi lo catturano velati, non di grave cataratta, ma di trasformazione mortale -  Mi dispiace, ho lavorato tanto nella mia vita. Ho dato tutta me stessa, anche di notte, a volte persino nei giorni festivi. Ho vissuto per il lavoro, lo sanno tutti qui intorno, perché non ho avuto nemmeno il tempo di una famiglia -
Il tono della nonnina è così triste che il dottor Pier Paolo Lemme si sorprende nell’intenzione di mormorarle il suo dispiacere. Ma è troppo catturato da quelle lente parole per aggiungere o muovere un che.
E comunque ha capito di cosa si tratta in verità e, rassicurato, fondamentalmente si chiede quando finirà l’incubo, perché, ormai è ovvio, si trova nel letto pomeridiano della sua stanza, dopo uno stress da lavoro.
- Sa, in questa società si pretende sempre più impegno, e più fai bene, più si chiede. Se produci sei qualcuno, e più produci più sei. I tipi al governo hanno sempre innalzato l’età della pensione, no? - chiede senza illuminare di domanda i suoi occhi spenti.
Sì sì, fa il dottor Pier Palo Lemme con gesto distratto della testa.
- Sono sempre andata avanti, anche quando potevo già mettermi in pensione, perché era nel lavoro che riempivo la mia vita vuota. Era nel lavoro che trovavo la mia identità - pausa di ricordi e attese pesanti - Capisce? -
No no, fa il dottor Pier Paolo Lemme con gesto lontano della testa.
- Tre mesi fa ho scoperto di essere gravemente ammalata, ma, pensi, per il lavoro ho anche trascurato le cure, mai nemmeno un giorno di malattia, ci crede? -
- Non so, sono nuovo - si ascolta rispondere il dottor Pier Paolo Lemme e subito si sente un cretino, per quanto un cretino da incubo.
- Insomma, quando sono morta e mi sono trovata ancora piùpriva di identità, senza dignità di lacrime di familiari o di amici, ho capito che il mio essere doveva continuare a completarsi nel lavoro. Lo so che è una situazione insolita, d’altra parte è per questo che ho deciso di tornare gradualmente, senza sforzare troppo il mio corpo -
- Così ha approfittato del fatto che nessuno aveva ancora dato avviso del suo decesso - si illumina il dottor Pier Paolo Lemme, mentre sente cigolare di sinistro rumore i suoi neuroni -  Si è messa in malattia e l’azienda ci ha contatti per un controllo - Già - ammette il cadavere seduto di fronte a lui.
- E secondo lei che prognosi dovrei darle? Un’eternità a partire da tre giorni fa? - sorride secco il dottor Pier Paolo Lemme e si alza di scatto dalla sedia.
Il cadavere della nonnina ha un sussulto di stupore. Per il resto, nulla cambia intorno a lui.
- Ora basta! Se l’incubo non vuole ancora finire, almeno esco da questa tomba!
Raccoglie con gesti rapidi il sogno del verbale e lo appallottola più e più volte, fino ad esaurire tutte le note principali.
- Io non sarei così precipitoso - mormora la nonnina con gorgoglio di putrefazione in re maggiore.
Il dottor Pier Paolo Lemme la accoltella con sguardo feroce.
- Ah, ecco la parte classica dell’incubo! Il cadavere che minaccia! Mi sembrava tutto troppo moderno -
No, dice il cadavere muovendo la testa in un lungo scricchiolio di vertebre cervicali.
- No? - ripete il dottor Pier Paolo Lemme con rinculo di stupore.
- Nessun incubo, mi dispiace - svela la nonnina cadavere, fu signora Letizia Soma - Non sta sognando -
- Davvero? - provoca il dottore con il tono sicuro che gli ha dato la laurea in Medicina e persino Chirurgia; tralasciando il voto scarso e tre o quattro esami comprati, tra cui, per l’appunto, quello di medicina legale.
- La domanda giusta, mio egregio medico fiscale, è - occhi velati che si dilatano in quelli del dottor Pier Paolo Lemme - perché lei riesce a vedermi e a parlarmi? -
- Perché lei è un cadavere esaurito che crede di esistere ancorasolo in base al lavoro ed io sono in un incubo da stress! Comunque per forza che la ditta ha richiesto una visita fiscale, si è insospettita perché non si era mai assentata prima! - urla fino in fondo il dottor Pier Paolo Lemme, prima di rendersi conto del significato della sua risposta.
Allora scuote velocemente la testa, come a scacciare tutto, visione e parole, e arranca deciso verso la porta principale, incurante della penombra e del timore che, nonostante sia tutto un incubo, il cadavere lo segua per agguantarlo alle spalle.
Invece non succede nulla di tutto questo.
Il dottor Pier Paolo Lemme riesce a raggiungere l’uscita, a spalancare la porta e a saltare di corsa i gradini dell’edificio senza nemmeno il fremito di una scivolata.
Quando apre il portone ed esce sulla via, nebbiosa, ma fresca e vitale, inspira a fondo, soddisfatto.
D’accordo, non si è ancora svegliato, ma il peggio del sogno se lo è lasciato alle spalle senza problemi.
O forse, chissà, forse invece è già sveglio dopo essersi addormentato nell’ingresso dell’edificio. Che vergogna, come un drogato, un barbone, ma che importa, in fondo meglio così, ora tutto è finito. Così, fischiettando un motivo allegro di diesis e bemolli sparsi, si incammina alla ricerca dell’auto.
***

Nel percorso di esitazioni disperse alla scoperta del parcheggio, soffiato negli occhi da nebbia ed aria pungente, il dottor Pier Paolo Lemme si convince sempre più di essere uscito da un sogno.
Stressato dai ritmi di lavoro, stanco di ricerche tra abitazioni sparse in lande sospese nel clima pennellato di grigio, è arrivato al portone del suo ultimo incarico; qui ha suonato al campanello, nessuno ha risposto, lui è entrato nell’androne di penombre e umidità e, semplicemente, è stato aggredito da un colpo di sonno con incubo incorporato.
Poco professionale, vero, ma sempre meglio del dialogo surreale con la nonnina.
Prima ondeggiando, poi appoggiando in stile libero i passi al suolo e quindi, riconosciuta la via in cui ha parcheggiato l’auto, procedendo con ritmo marziale, si impossessa della realtà che lo circonda.
Certo, la nebbia è calata ancora di più, in dissolvenze di volti, segnaletiche, muri, ma lui ha un segnale familiare per conoscersi nel mondo. L’angoscia è tornata, con sussurri insistenti ad andare veloce verso casa per riposare, perché domani inizia un nuovo turno, con altri incarichi su indirizzi sconosciuti, da cercare in fretta, in fretta-in fretta, prima della scadenza senza appello delle ore 12.00.
Il dottor Pier Paolo Lemme morde le labbra con denti consumati da nervosismo e la strada con passi affilati di tensione.
Sa bene che l’incubo vissuto è stato provocato dall’angoscia con cui affronta il nuovo lavoro di medico fiscale. Ed è per questo che l’ansia aumenta.
Idiota, si sussurra in mi bemolle solitario.
Muoviti, gli risponde una cacofonia montante di angoscia.
E lui si ferma.
Di botto, nemmeno avesse azionato contemporaneamente freni a disco e a mano, ancore varie e zavorre assortite.
I piedi si serrano tenaci sul terreno, mentre il resto del corpo è ancora sbilanciato nella corsa, e per una sezione di pelo non crolla sopra una bambina dall’aria vagamente familiare, che si scosta con stupore intimorito su occhi e bocca.
Ma non è questo a preoccuparlo.
La scena velata da una nebbia ancora più tenace è quella della sua auto schiacciata contro un grosso albero, con il muso accartocciato come solo nei cartoni animati pensava potesse accadere.
Ma che cazzo
intona il dottor Pier Paolo Lemme su ricordi sbiaditi di illustre e
formale conservatorio.
Per un istante, un solo istante, sente la rabbia montargli sulle spalle ed incitarlo ad urlare, a correre verso quel disastro alla ricerca assassina del colpevole. Tra la piccola folla radunata intorno al cadavere della sua auto forse si trova ancora il bastardo.
Ma senza auto non posso lavorare!
realizza in un andante con brio di disperazione.
E lo spirito santo dell’angoscia cala sul capo e lo blocca ancora al suolo.
Socchiude le palpebre per focalizzare meglio la scena tra il sipario di nebbia e nota i finestrini in frantumi, le portiere disarticolate e
Il dottor Pier Paolo Lemme diventa improvviso assolo di battito cardiaco in crescendo.
Solitario. Assoluto.
- Andiamo via. Qui non c’è niente di bello da vedere -
Solo ora si accorge della voce della donna al suo fianco, anche se gli giunge da secoli di lontananza. In un angolo dell’occhio la scorge reggere per mano una bambina, la stessa che ha spaventato poco prima.
- Ho paura, mamma - pigola la piccola - Ho sentito il fantasma - Ma cosa dici, tesoro? -
- Sì, ho sentito un soffio ora, qui, accanto a me. E anche prima, quando c’è stato l’incidente, ho sentito lo stesso soffio che mi sfiorava -
Il dottor Pier Paolo Lemme registra le parole in recessi distratti del suo essere. Lo sguardo è spalancato, sbarrato, esploso sulla figura umana con il cranio fracassato che sporge dal parabrezza.
La bocca si socchiude ad intermittenze frenetiche di “ma ma ma ma” senza più respirare aria, mentre osserva il proprio cadavere.
- Vieni via, amore. Devi correre a scuola e la mamma fa tardi al lavoro. Veloci, dai, siamo in ritardo - la donna e la bambina sfumano, lasciando al fu dottor Pier Paolo Lemme, novello medico fiscale ligio al dovere ed esperto orgoglioso di musica da conservatorio, un’ultima nota di commiato.
- E dimentica questa storia di fantasmi, amore, lo sai che non esistono -
Fine dello spartito.

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