Eventi - Giovanni Sicuranza
Sale sul palco, la donna, e sono centinaia ad accompagnarla, centinaia di occhi dilatati in attesa, una folla di iridi che si affanna a contenerla.
Sale sul palco lungo un sentiero di candele, falangi e falangette di fuoco protese lungo il cammino, trascinata da due uomini, ascella presa qui, ascella presa lì, e giunge, infine, al tavolo di legno. Ha un gemito quando inarca nell'aria le caviglie gonfie; in questo attimo, le fiamme mostrano il profilo del corpo, nudo, deforme, attraverso il velo della vestaglia.
Il pubblico tace, assorto. Forse qualcuno ancora respira, forse la sala del teatro respira per tutti loro.
"Papà, hanno fatto questo anche con la mia mamma?"
"Taci, adesso non è il momento, taci e guarda"
"Ma da qui non vedo, c'è troppa gente"
"Vieni, mocciosa, ti prendo sulle spalle"
La pelle della donna è gonfia ed è così lucida, che le fiamme intorno a lei, distesa supina sul tavolo, si riflettono dentro.
Gli uomini che l'hanno accompagnata scendono lungo le gambe e, come fossero due in uno, sollevano la vestaglia fin sopra l'addome.
Oh, vibra il teatro.
"Come è strana, papà"
"Sst, è così che funziona; certo, non se ne vedeva una da quando è successo a tua madre"
"Ma perché è così sudata?"
"No, aspetta, se ricordo bene quelli sono unguenti, oli profumati, vanno sparsi su tutta la pelle, credo"
"Per non farla soffrire?"
"No, no, taci adesso"
Gli uomini sul palco liberano scie di incenso da ampolle di metallo, pendoli che oscillano sopra il pubblico e spengono gli odori naturali della donna, inibiscono il linguaggio del corpo nudo.
"Ci cospargiamo di odori finti per nascondere i nostri"
"Cosa, papà?"
"Neghiamo le nostre identità, ne abbiamo paura, forse lo capirai quando sarai più grande"
"Uffa, io voglio sapere"
"No"
E la donna urla, urla come una belva ferita, una volta e poi ancora, mentre uno degli uomini spinge sul ventre e l'altro si abbassa tra le sue gambe.
Urla, la donna, così forte come forte è il silenzio del pubblico, adesso assoluto, denso tra gli aliti di incenso.
Solo dopo, quando tutto sarà finito, la comunità radunata al teatro riprenderà a respirare, e l'attimo dopo ancora, quando gli uomini sul palco innalzeranno il neonato, ci sarà un applauso, inarrestabile, come un nuovo urlo, come una risata liberatoria, a salutare la vita dopo anni di carestia e morte.
Poi la gente tornerà alla propria miseria, dentro il buio persistente della città. Forse, dirà qualcuno all'uscita, se un'altra donna riuscirà a partorire, il teatro aprirà ancora le porte.
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