Quando capita – da Polvere di Silenzi di Giovanni Sicuranza
Il naso. Prude.
È irritato, come me del resto, costretto a questa immobilità post-mortem.
Un momento, un momento.
Sensazione di fastidio nelle narici, di terriccio rotolante tra vibrisse.
Mi vengono in mente i Rolling Stones, guarda che simpatici neuroni mi ritrovo.
Inspiro, cauto, orecchie sull’attenti.
Non è come se. È.
Respiro.
Non capisco, sono dilaniato tra binari, ho un braccio amputato, lo vedo, mica lo sento. Sporge dal petto illustrato di sangue della donna al mio fianco.
Insomma, sono morto e vivo.
Vittima di questo treno idiota, deragliato dentro se stesso, eppure penso.
Non ci sono superstiti, prendetevela comoda con quelle lacerazioni di sirene.
Eccola lì, la locomotiva, membra penetrate nel corpo del treno. Memorie di carrozze fuse con memorie di viaggiatori.
Nessuno di noi può essere vivo, io non faccio eccezione.
Forse ho un foro al posto dell’occhio destro, sento sibilare il vento proprio nell’orbita, un fishh da serpente che mi riempie la testa.
Ma io. Vedo.
Di più. Sono nei pensieri dell’unico protagonista mobile sulla scena.
Ne conosco i segreti di morte. E ogni suo passo, svela altri particolari.
Già, vorrei anche sapere perché questo serial killer fallito, questo mistificatore della morte, avanza deciso verso me.
Forse non sono io, ma la donna al mio fianco a interessargli. Lo stesso un errore, perché questa signora di giovane età ha il mio braccio affondato tra le tette, quindi è mia.
Lui ha ucciso per amore, per amore ha smesso di uccidere, per amore ha cresciuto due pargoli psicopatici e accompagna la figlia a saziarsi della carne degli amanti.
Sì, beh, chissenefrega.
Mi trovo supino tra una rotaia e il terriccio, con i piedi nel suo orto concimato da cadaveri, ma ho portato nelle mie tombe più donne di lui, senza debolezze, senza annacquare il mio genio con quello di ragazzini fuori di testa. E, appunto, sono morto.
Insomma, almeno convenzionalmente lo sono.
Cosa può farmi?
Si muove, saltella goffo tra lamiere e corpi, lo sguardo fisso su me.
Cosa può farmi?
Ah, devo avere inspirato più a fondo, perché ora il naso è un formicolio nervoso, pronto a
L’uomo si ferma, gli occhi diventano due palle da bowling rotolanti sul mio volto. Forse anche il mio occhio superstite è così, lanciato in direzione opposta.
Ho starnutito. Due volte.
Due petardi di assurdità che hanno ucciso il silenzio.
- Cosa? – fa lui e riprende a camminare, con lo stesso passo incerto, lento.
Adesso, però, sono un cadavere disorientato. Il che è anche peggio di essere un cadavere pensante.
- Figlia! – tuona questo fallimento della morte – Vieni fuori, tesoro, porta anche tuo fratello!
Ah, il mio corpo deve ancora capirlo, ma è ora di darsi una mossa se non vuole finire nella libidine di quella necrofila.
Ecco perché paparino mirava a me.
Allora mi sente.
“Mi senti, stronzo?”
Lui si ferma, un piede che oscilla tra i binari, l’altro sospeso su un quarto di carne cotta.
- Figlia! – ridonda. E riprende la pavane verso me.
Devo capire cosa sono diventato. E farlo prima che l’allegra famigliola mangia-morti si raduni al mio desco.
È irritato, come me del resto, costretto a questa immobilità post-mortem.
Un momento, un momento.
Sensazione di fastidio nelle narici, di terriccio rotolante tra vibrisse.
Mi vengono in mente i Rolling Stones, guarda che simpatici neuroni mi ritrovo.
Inspiro, cauto, orecchie sull’attenti.
Non è come se. È.
Respiro.
Non capisco, sono dilaniato tra binari, ho un braccio amputato, lo vedo, mica lo sento. Sporge dal petto illustrato di sangue della donna al mio fianco.
Insomma, sono morto e vivo.
Vittima di questo treno idiota, deragliato dentro se stesso, eppure penso.
Non ci sono superstiti, prendetevela comoda con quelle lacerazioni di sirene.
Eccola lì, la locomotiva, membra penetrate nel corpo del treno. Memorie di carrozze fuse con memorie di viaggiatori.
Nessuno di noi può essere vivo, io non faccio eccezione.
Forse ho un foro al posto dell’occhio destro, sento sibilare il vento proprio nell’orbita, un fishh da serpente che mi riempie la testa.
Ma io. Vedo.
Di più. Sono nei pensieri dell’unico protagonista mobile sulla scena.
Ne conosco i segreti di morte. E ogni suo passo, svela altri particolari.
Già, vorrei anche sapere perché questo serial killer fallito, questo mistificatore della morte, avanza deciso verso me.
Forse non sono io, ma la donna al mio fianco a interessargli. Lo stesso un errore, perché questa signora di giovane età ha il mio braccio affondato tra le tette, quindi è mia.
Lui ha ucciso per amore, per amore ha smesso di uccidere, per amore ha cresciuto due pargoli psicopatici e accompagna la figlia a saziarsi della carne degli amanti.
Sì, beh, chissenefrega.
Mi trovo supino tra una rotaia e il terriccio, con i piedi nel suo orto concimato da cadaveri, ma ho portato nelle mie tombe più donne di lui, senza debolezze, senza annacquare il mio genio con quello di ragazzini fuori di testa. E, appunto, sono morto.
Insomma, almeno convenzionalmente lo sono.
Cosa può farmi?
Si muove, saltella goffo tra lamiere e corpi, lo sguardo fisso su me.
Cosa può farmi?
Ah, devo avere inspirato più a fondo, perché ora il naso è un formicolio nervoso, pronto a
L’uomo si ferma, gli occhi diventano due palle da bowling rotolanti sul mio volto. Forse anche il mio occhio superstite è così, lanciato in direzione opposta.
Ho starnutito. Due volte.
Due petardi di assurdità che hanno ucciso il silenzio.
- Cosa? – fa lui e riprende a camminare, con lo stesso passo incerto, lento.
Adesso, però, sono un cadavere disorientato. Il che è anche peggio di essere un cadavere pensante.
- Figlia! – tuona questo fallimento della morte – Vieni fuori, tesoro, porta anche tuo fratello!
Ah, il mio corpo deve ancora capirlo, ma è ora di darsi una mossa se non vuole finire nella libidine di quella necrofila.
Ecco perché paparino mirava a me.
Allora mi sente.
“Mi senti, stronzo?”
Lui si ferma, un piede che oscilla tra i binari, l’altro sospeso su un quarto di carne cotta.
- Figlia! – ridonda. E riprende la pavane verso me.
Devo capire cosa sono diventato. E farlo prima che l’allegra famigliola mangia-morti si raduni al mio desco.
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