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Storie dal km 76: click

Storie dal km 76: click – racconto di Giovanni Sicuranza -


Un respiro. Lento.

Lo ascolta, Valerio. Rattrappito nel parco, tra salse di fanghiglia di un autunno piovoso, lo ascolta scendere dal naso in un sibilo di dolore, graffiare la laringe, espandersi come una bomba incendiaria nei polmoni.

È solo un respiro spezzato, un bastardo di respiro che fa male, eppure, se potesse, Valerio piangerebbe di gratitudine, perché sa che questo è il suo ultimo atto di vita.

Quando il respiro tornerà indietro, dai polmoni al naso, tutto finirà.

***

Ha appena festeggiato il suo diciassettesimo compleanno e lo ha fatto con l’ansia puntata alla tempia.

- Morirai oggi – gli aveva detto poche ore prima la sua immagine allo specchio.

Lui aveva abbassato gli occhi, ma l’immagine era stata rapida a filtrargli nella mente. Così aveva continuato a vederla, anche sul pavimento della stanza.

Era quella di un ragazzo scavato. Scavato dalla depressione, scavato dal niente che riempiva suo padre, sua madre, sua sorella. Un Valerio riflesso che gli parlava con il sorriso storto di chi assaggia l’amaro ogni giorno in una smorfia di delusione.

- Morirai e sarai eterno – lo aveva rassicurato prima di essere spezzata dal clacson dell’auto degli amici.

Era uscito di corsa, senza salutare i fantasmi della sua famiglia, assorti a preparare i pacchi regalo del compleanno.

L’ultimo sguardo domiciliare si era arrampicato sulla mensola dell'ingresso, alla ricerca della macchina fotografica di suo padre, una digitale che fino ad allora aveva catturato solo apparenze di sorrisi. Sorrisi a fianco di monumenti, facce stampate senza storia accanto a memorie del passato. L’aveva presa cercando di non fare rumore e quindi si era chiuso la porta alla spalle in un soffio di vento.

***

All’interno dell’agriturismo “Km 76”, tra sorrisi e pacche sulle spalle dei compagni del liceo, Valerio aveva visto il suo riflesso seguirlo a distanza, discreto, ma sempre presente. Si era messo in posa accanto a ogni suo amico, mostrando il sorriso storto all’obiettivo della macchina fotografica.

Valerio scattava, sapendo che non era per questo che aveva preso la macchina.

Tutti conoscevano il vero motivo della festa. Si sentivano protagonisti. Le immagini degli amici erano la testimonianza prima dell’evento che avrebbero infranto la noia. I protagonisti della trasformazione di Valerio si infilavano nella memoria della macchina digitale per rimanervi per sempre. Uniti nel rendere Valerio un personaggio.

***

Anche Arnaldo è qui per questo. Ha accettato l’invito, perché Valerio è figlio dell’uomo che gli ha ucciso il padre e la madre. Falciati dalla sua automobile, all’uscita dalla palestra. Un volo senza ritorno verso il cartellone pubblicitario di un trattamento autoabbronzante e, per il padre di Valerio, la seccatura della patente sospesa, della sanzione amministrativa, di una ramanzina in tribunale, con condanna alle spese oltre ai mille euro di danni all’auto nuova.

Arnaldo ha avuto fortuna, però. La morte dei genitori è diventata l’inizio di una vita nuova, nella famiglia dei nonni, che sanno fare girare l’azienda familiare senza intoppi: una generosa paghetta mensile, extra a parte, e Arnaldo è libero di avere quello che vuole senza stressare.

È per questo che Arnaldo ha accettato l’invito di Valerio. A volte, la morte è necessaria per cambiare in meglio la vita.

- Tieni – gli ha sussurrato Valerio.

Arnaldo ha annuito, rapido, con lo stesso sorriso sbilenco del suo ritratto, e ha preso la macchina fotografica.

- L’ansia passa in fretta – lo ha informato, come se Valerio gli avesse confidato il suo stato d’animo e, soprattutto, come se a Valerio interessasse il parere di un altro.

***

Dopo, quando la festa si è spostata tra le penombre del parco, Arnaldo è l’unico che non lo ha ucciso. Le coltellate, una per ogni anno compiuto, sono calate dai suoi amici.

I suoi cari amici. Un fendente per regalo, da ognuno di loro.

Auguri, Valerio, auguri, amico ritrovato.

Arnaldo, chissà, forse ha osservato la scena dalla veranda.

Lui è caduto al primo colpo, si è sgonfiato con un sibilo, come un palloncino forato, quando la lama ha perforato il polmone destro. La prima mareggiata di sangue è salita subito a riempirgli la bocca, a trasformare le grida in grassi gorgoglii.

E dove fosse finito Arnaldo non è stato più un problema.

Ecco il respiro che termina il giro, si dice Valerio, finalmente rilassato, ora sale su e muoio.

- Complimenti.

La voce non è quella dell’agonia. In un velo rosso, Valerio scorge la figura piccina di Arnaldo. Si è chinata su di lui – sul suo cadavere – e lo sta osservando con il sorriso storto. La sua immagine riflessa è Arnaldo e Arnaldo è riflesso e realtà che gli ondeggiano davanti. Anche così, però, non si può fare a meno di notare la montatura degli occhiali di Arnaldo, troppo esagerata, pesante, sopra il naso sottile. E meno male che le orecchie a sventola hanno abbastanza superficie per reggere le stecche.

- Non si muore mica così – lo informa Arnaldo e lo fa con tono di sufficienza, come se l’altro fosse un deficiente, uno che non conosce ancora le nozioni basi della vita. Come se non fosse stato proprio Valerio a programmare tutto.

L’altro si muove veloce, fa gesti strani, qualcosa che Valerio percepisce appena e di cui è solo spettatore parziale, ormai quasi assente.

Arnaldo gli scopre il torace, gli da dei colpi secchi, decisi, in una sequenza che scuote Valerio in un altro fiotto di sangue.

- Oh, coglione! Guarda che mi sporchi la giacca – lo rimprovera Arnaldo, ma con tono tranquillo, il sorriso sbilenco che non cede – Per favore, gira la testa quando vomiti le tue merde.

E Valerio lo fa, davvero. Non capisce cosa sta succedendo. Magari Arnaldo lo sta sventrando, eppure, in un angolo del suo cervello, dove c’è meno nebbia, sente che l’ultimo respiro è già terminato e che ora ne stanno arrivando altri.

Sferzanti, vero, come scudisciate all’interno, ma ci sono.

Ci sono.

Cazzo fai, Arnaldo

- Taci, coglione. Ti ho chiuso le ferite che comunicano con i polmoni. Ho spalmato sopra del fango. Questo ti allungherà la vita di qualche minuto, forse. Ma poi saremo di nuovo da capo.

Valerio deglutisce. Sangue e stupore.

Ma mi hai sentito?

Arnaldo fa sì con la testa, anzi, probabilmente sono i suoi occhiali a guidare il movimento.

Poi si alza e Valerio vede ancora solo terriccio e ciuffi di erba di uno strano colore rossastro.

Rosso e verde, il mio sangue alla terra.

- Hai organizzato tutto questo – la voce di Arnaldo cade dall’alto, dalle sue spalle, forse – E sei proprio un coglione. È roba che sporca.

Valerio fa per muoversi, ma una mano di gelo lo tiene ben saldo al terreno.

- Anche i miei hanno sporcato ovunque quando sono morti.

Cazzo

- Ormai sussurri appena. Ti sento quando l’aria esce dalla gola – pausa, passi che si muovono, lo sfrigolio di una lampo che si apre – Ho solo un modo per aiutarti.

Un suono secco, metallico. Click!

Ah, ecco, ecco. Valerio costringe le palpebre una contro l’altra, in una morsa che porta fitte in tutto il cranio. Ha una pistola, mi ha ingannato. Non è venuto qui per aiutarmi, ma per vendicarsi. Mi ha dato qualche minuto solo per spararmi.

Ancora il frusciare rapido di passi sul terreno, uno splash di fango che forse atterra sul suo corpo, la sagoma degli scarponi di Arnaldo che gli riempiono lo sguardo. Ma non sono più come prima, squadrati, con le suole di gomma nera. Ora diventano ombra, macchie di grigio che sfuocano e si fondano con l’erba nel campo visivo.

- Non ti chiedo di sorridere – dice Arnaldo, dall’alto del cielo, con un’eco lontana – Ma se fai un piccolo sforzo, e reggi ancora un istante prima di morire, forse ce la faccio.

Click

Valerio si chiede se sentirà il colpo e scopre che l’ansia era proprio lì, nel dubbio di Arnaldo. Arnaldo poteva capirlo e aiutarlo a rinascere, Arnaldo poteva ingannarlo e ucciderlo ancora, dopo la morte fisica.

E invece Arnaldo gli offre un ultimo stupore, un grande stupore di vitalità.

Perché l’obiettivo che riesce a intravedere tra le ombre, Valerio ne è sicuro, non è quello di una pistola. Il buco nero che si avvicina al suo viso morente è quello di una macchina fotografica. Della macchina fotografica di suo padre.

- È l’unico modo per portarti con noi – mormora Arnaldo, la voce lontana, in un altro luogo, in un altro tempo. Forse senza più tempo – Hai ragione, la tua immagine di morte è l’unico modo per farti vivere. Nei nostri ricordi.

Click

- Lunga vita, amico mio.

Click



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