Male nostrum – Giovanni Sicuranza
A volte basta ignorarli, oppure dimenticarli.
È sconcertante quanto sia semplice farlo. Allontanati dalla memoria, anche i numeri più elevati di una strage diventano
nulla.
L’epidemia dell’influenza “spagnola” ha causato ventuno milioni di morti in due anni, nel 1918 e nel 1919, che sono come il nostro 2014 e il nostro 2015, sono come due anni della nostra vita, e lo ha fatto con l’impeto della peggiore pestilenza affrontata dalla specie umana.
Americhe.
Asia.
Europa.
Asia.
Europa.
Seicentomila morti in Italia.
Ha colpito in tre ondate successive, uno tsunami virale veloce, un cambiamento antigenico improvviso (antigenic shift), che ha oscurato la tragedia della Grande Guerra.
Un tasso di mortalità da fare impallidire lo 0,5%, usualmente noto per le epidemie influenzali.
2,5%; con un’inflazione così la specie umana è al collasso.
A confronto per parità di tempo, la peste del XIV secolo è una timida falciatrice.
Si è estinto, questo virus feroce; A H1/N1 ci ha lasciato nel 1919 forse vittima della sua stessa ingordigia, troppo vorace di vite umane, troppo usurante di corpi per riuscire a sopravvivere.
Bulimico, infine è morto di fame.
Per carenza di massa utile in cui saltare e distruggere.
Un buon virus sa che per sopravvivere a lungo deve procedere a piccoli assaggi; l'ecosistema va rispettato.
Ma forse H1N1 lo sa. Forse è da qualche parte, celato nelle mutazioni aviarie, forse ci sta solo digerendo e riposa.
Tuttavia per noi è sparito, anzi, non è mai esistito, se non nei ricordi di qualche nonno, in un “ah, sì, pensa cosa mi fai venire in mente, mi dicevano del fratellino di mia madre, morto per colpa dell’influenza cattiva”.
Cattiva, inopportuna.
Bulimico, infine è morto di fame.
Per carenza di massa utile in cui saltare e distruggere.
Un buon virus sa che per sopravvivere a lungo deve procedere a piccoli assaggi; l'ecosistema va rispettato.
Ma forse H1N1 lo sa. Forse è da qualche parte, celato nelle mutazioni aviarie, forse ci sta solo digerendo e riposa.
Tuttavia per noi è sparito, anzi, non è mai esistito, se non nei ricordi di qualche nonno, in un “ah, sì, pensa cosa mi fai venire in mente, mi dicevano del fratellino di mia madre, morto per colpa dell’influenza cattiva”.
Cattiva, inopportuna.
Alla Storia non interessano le guerre vinte e perse a causa di infezioni. Sembra che i tedeschi, già stremati, abbiano ceduto anche per questa nemica, alla quale mai il Terzo Reich si sognò di imputare la sconfitta del sogno germanico.
La Storia è antropocentrica, non cura i dettagli microscopici.
E nemmeno la Medicina, la novella moderna Medicina, la fantasmagorica Medicina, quella delle vittorie di Pasteur e del microscopio; insomma, dopo secoli di buio scientifico il medico illuminato poteva ammettere di essere sconfitto da una banale influenza?
Gli Stati belligeranti concordavano; mai dare risalto a questo virus anarchico, in alto l’umore!, le popolazioni, gli eserciti, sono già usurati da anni di guerra; le notizie delle morti vanno rilegate nelle cronache locali o in qualche trafiletto oltre la prima pagina
(la Spagna, che la guerra osservava e non subiva, ne diede invece ampio risalto e per questo motivo l’influenza del 1918-19 viene chiamata “spagnola”)
Infine, ecco, zitti, non ditelo in giro, ma all’epoca, nell’epopea dei patriottismi, degli eroismi, morire di polmonite, in modo tanto banale, insomma, senza “ismi”, era considerato un disonore. Quando un uomo affogava nelle sue paludi polmonari, il necrologio enfatizzava soprattutto il curriculum di guerra.
Per questi motivi il virus A H1/N1, il grande predatore della nostra specie, ha perso.
Non perché lo abbiamo debellato, perché lo abbiamo dimenticato.
Perché abbiamo girato la testa, a lui e ad altri virus come lui, pronti allo spillover.
Perché abbiamo girato la testa, a lui e ad altri virus come lui, pronti allo spillover.
Questa, a ben pensarci, è la nostra sconfitta.
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