Esumo "maschere", racconto scritto qualche era geologica addietro (nel 2004, se ben ricordo, e sulla base di uno stile che, in parte, si è evoluto - involuto, mi corregge il mio lettore più affezionato)
Perché riproporlo?
Uno, tanto per lasciarvi in pasto un nuovo post, considerato che sono in fase anoressica (non è vero, mangio parecchio, mi muovo in modo centrifugo rispetto ai miei neuroni, scrivo il romanzo "Sotto la terra qualcosa campa" ad un soddisfacente ritmo di una pagina al mese, lavoro in media di dieci ore, tre minuti, sei secondi e qualche starnuto di decimi al giorno, tuttavia pre-festivi & festivi esclusi - per questo qualcuno sostiene che non mi impegno abbastanza)
Due, "maschere" è la massa oscura ed imperfetta da cui si è sviluppato il romanzo "Quando piove", edito da Montag Editore (anno 2006, sempre se ben ricordo); romanzo anche questo imperfetto, ma pur sempre la mia prima opera edita con più di venti pagine senza interruzione.
Un evento - una tragedia, mi corregge il mio lettore preferito.
Grazie comunque per l'attenzione.
E per adesso.
Giovanni Sicuranza
maschere
Ci fu un momento nella
monotona vita di Villa Tassoni in cui a tutti sembrò di respirare una frizzante
aria di novità.
Ebbe inizio diversi anni
prima della morte del Vecchio, proprio il giorno in cui lo vedemmo qui.
Per la prima volta.
***
Ovviamente il Vecchio
aveva un nome, ma già da tempo alla casa di riposo lo chiamavano così, semplicemente,
e all'inizio anche con quell’affetto sfumato che si dedica spontaneamente a chi
è frizzante.
Poi i sentimenti
cambiarono volto e, anche se nessuno lo diede a vedere, sono sicuro che alla
fine, quando il Vecchio morì, a Villa Tassoni si riprese a respirare
serenamente.
***
Aveva fatto il suo
ingresso in un pesante pomeriggio di pioggia, accompagnato da un uomo calvo e
dal naso enormemente lungo, curiosa combinazione che ne rendeva la testa simile
ad un punto esclamativo coricato su un fianco.
Probabilmente si trattava
del figlio, anche se in realtà nessuno di noi sapeva chi fosse e a nessuno
importasse veramente.
Durante lunghi mormorii
indiscreti si era stabilito che quel tipo dall'aria buffa e distaccata almeno
un miglio dal mondo doveva essere suo figlio. Semplice.
Senza tante cerimonie,
"Punto Esclamativo" aveva depositato il Vecchio nel salone ricreativo
e, dopo un breve colloquio con il direttore, era scomparso velocemente nella
pioggia. Successivamente, negli ultimi anni di vita del Vecchio, si fece vivo
sì e no un paio di volte.
L'ultima, lo ricordo bene,
proprio il giorno in cui regalai a mio figlio la sua prima ed unica auto.
D'altra parte il Vecchio
non parlava mai di lui, anzi, durante le brevi visite si mostrò distaccato,
quasi infastidito.
***
A fare del Vecchio un
ospite particolare fu il comportamento che mostrò durante la lunga permanenza
alla Villa, una totale negazione della scontrosità riservata al figlio.
Scherzava e rideva, rideva
e parlava, parlava e scherzava e non si fermava mai.
A sentirlo gli avreste
dato non più di trent'anni e invece si diceva ne avesse una novantina (non so
se fosse vero, ma il suo corpo li dimostrava tutti).
Si
diceva
Intorno a lui aleggiava
una sorta di divertente mistero.
Poteva raccontare per ore
ed ore i particolari più insignificanti di un fatto banale, riuscendo a
catturare l'attenzione del più apatico degli ospiti (penso in particolare al
dottor Sersi, povero demente morto dimenticato tra le sue feci); eppure mai, e
dico mai, aveva speso un solo secondo per soffermarsi su un qualsiasi momento
della sua vita.
***
Il tempo passava, la
campagna mutava senza sosta in un gioco di morte e vita, gli ospiti della Villa
cambiavano in una frenetica corsa verso il nulla, a volte troppo in fretta per
poter stringere tra loro un vero rapporto d'intesa.
E forse era meglio così.
Anche il personale
cambiava, sia pur molto lentamente e per cause diverse, ma lui era sempre lì e
scherzava e rideva come un bambino troppo vivace.
Così con il tempo,
lentamente, era cambiata anche l'atmosfera.
Se si era creato un alone
di curiosità intorno alla sua figura, tanto che per gli inservienti era una
tappa d'obbligo visitare la "sua" stanza e scambiare qualche parola
con lui, per poi raccontarne l'esperienza
con una punta di orgoglio, cominciarono anche le lamentele degli ospiti che
spesso preferivano rimanere soli o semplicemente fare qualcosa di più
rilassante che subire l’energica vitalità del Vecchio.
Il direttore in persona,
con molto garbo, cercò di fargli capire che in una casa di riposo ci si
aspettava, per l’appunto, anche tranquillità e silenzio, ma il Vecchio sembrava
non sentire e le lamentele diventarono proteste e le proteste malcontento.
Però i soldi della rendita
continuavano ad arrivare puntualmente ed erano tanti ed erano utili.
E il direttore non convocò
mai più il Vecchio.
***
Fu quando si avvicinò ai
centocinque anni (così si mormorava) che il malumore cominciò a serpeggiare
anche tra gli inservienti che passavano la notte a Villa Tassoni.
Contrariamente alla
consuetudine che voleva le stanze degli ospiti raggruppate al primo piano,
quella del Vecchio era al piano terra, attigua ai dormitori del personale,
probabilmente ancora una volta grazie alla cospicua somma che "Punto
Esclamativo", o chi per lui, versava nelle casse dell’amministrazione.
Quando il Vecchio iniziò a
parlare durante la notte, anzi, spesso ad urlare
durante la notte, gli infermieri unirono le loro proteste a quelle degli
ospiti. Ma il direttore non autorizzò il trasferimento di stanza, pregando
invece tutti di avere pazienza, perché le cose sarebbero presto cambiate, ne
era certo.
E in effetti cambiarono,
anche se probabilmente non come pensava lui.
Poche settimane dopo,
trovarono il direttore nel suo studio, stroncato da un infarto, con i pantaloni
ancora abbassati e il pene flaccido, una rivista pornografica vogliosamente
spalancata sulla pesante scrivania di mogano.
Il sostituto era un
individuo dai denti neri e lo sguardo gelido che per i pochi anni in cui rimase
a Villa Tassoni si sforzò di essere comprensivo e cordiale, ottenendo lo stesso
successo di un cieco alla guida di un'auto.
Ma con lui il Vecchio
cambiò stanza.
***
Sembra che una volta al
neodirettore venne la curiosità di ascoltare il frenetico farfugliare di quel
singolare personaggio. Per qualche minuto origliò alla sua porta e che tornò
subito sui suoi passi, turbato, molto turbato.
Il giorno dopo diede
disposizioni affinché il Vecchio fosse trasferito al secondo piano, lontano
dagli ospiti e dal personale.
Eppure, nelle giornate
successive, ogni cosa tornò come prima, la sua allegria e i suoi scherzi non
risentirono di alcun cambiamento.
Solo che ormai tutti lo
giudicavano strano, decisamente strano.
E si limitavano a
sopportarlo con malcelata pazienza.
Tutti, ma non io.
***
A differenza degli altri,
vedevo.
Guardavo dentro i suoi
occhi e leggevo tristezza, un abisso di solitudine e angoscia.
Così, invece di seccarmi,
il suo comportamento vivace mi
incuriosiva.
Intuivo che la sua
vitalità era un'ombra. Il Vecchio nascondeva un'altra verità.
***
Lo osservai a lungo, quasi
per un anno, senza tuttavia stringere amicizia con lui. Scambiavo qualche
parola, questo sì, un paio di volte fui vittima dei suoi scherzi, questo anche, ma nulla di più.
Mi limitavo a guardare, a vedere, incuriosito e perplesso, mentre
intorno la Morte danzava con tutti continuando ad ignorarlo.
Finché una notte non
sentii che era giunto il momento e in silenzio salii le scale e mi avvicinai
alla sua porta.
Volevo sentirlo parlare
nel sonno, e non per semplice curiosità come si diceva avesse fatto il
direttore, ma per interpretare i geroglifici che fino ad allora mi avevano
mostrato i suoi occhi.
Per qualche minuto rimasi
con un orecchio appoggiato alla porta, senza udire nulla.
Dopo una grigia giornata,
aveva cominciato a piovere e le gocce che battevano sulle finestre sembravano
un rimprovero alla mia intrusione.
Abbassai la maniglia.
***
Se si vive in una casa di
riposo, con il passare del tempo, quando ci si avvicina sempre più al capolinea,
difficilmente ti permettono di chiudere la porta a chiave durante la notte.
Il Vecchio era lì da
infiniti anni.
La porta miagolò e si
aprì.
Entrai, a passi lenti.
***
Il Vecchio dormiva,
apparentemente tranquillo, forse sotto sedativo, il viso consumato da un
rincorrersi confuso di carne appassita.
Un bianco lenzuolo lo
copriva fino al mento e il suo respiro irregolare imitava il sibilo del vento
quando frusta gli alberi.
Non c'era nulla di
rassicurante in quel momento, ma io aspettai.
Rimasi a lungo immobile,
mentre la notte pulsava nella sua breve esistenza, e proprio mentre cominciavo
a domandarmi perché mai mi ero messo in una situazione del genere, notai un
foglio sporgere dal cuscino. Lo presi senza esitare, quasi in un gesto
liberatorio che giustificasse la mia intrusione, e in silenzio tornai nel
corridoio.
Non chiusi la porta della
stanza.
***
Il foglio era piegato in
due parti. Lo distesi.
All'interno, la data di
quel giorno. Poi, alcune parole scritte a mano con una grafia tremante e frettolosa,
che portavano in calce la firma del Vecchio.
Mi avvicinai alla fioca
luce dell'alto lampadario e, mentre la pioggia aumentava il suo inutile
richiamo, lessi
Non
la vedo
Osservo,
cerco e mi perdo
Ma
non
la vedo volare su
un
soffio discreto sprigionato
dal
vento
Fosse
questa la notte per dire
ecco
ci siamo
si
è aperto l'orizzonte
Quanti
istanti
falsi
e fugaci
mi
hanno annunciato
il
suo arrivo su un alato destriero
una
magica nuvola
Anche
oggi sono
Qui
e
osservo e cerco e
mi
perdo e invecchio
Stanco
Ma
non la vedo
Anche
oggi
fino a sempre
perderò l'appuntamento con
la Creatura chiamata Morte
***
Non mi resi conto di
essere indietreggiato se non quando mi trovai con le spalle al muro. E a quel
punto ero già esausto, sprofondato nell'oscuro baratro di ogni singola parola
che lacerava quel foglio.
Mi lasciai scivolare a
terra e mentre il freddo pavimento mi accoglieva indifferente, anche dai miei
occhi iniziò a piovere. Piano.
Non c'era alcuna allegria,
alcuna vivacità tra le parole che avevo letto.
Questo era il suo segreto.
Il Vecchio voleva morire,
aveva un disperato bisogno di morire.
Chissà da quanto tempo
attendeva invano quel momento, diventato l'unica speranza negli occhi di un
relitto.
Io potevo capirlo, sì,
potevo capirlo e sapevo come aiutarlo, anche se sono convinto che negli angoli
più nascosti del mio animo lo avevo saputo fin dal nostro primo incontro.
***
La mattina dopo lo
trovarono morto e dissero che era soffocato nel sonno.
***
Da allora sono passati tre
mesi ed ora io occupo quella stanza.
Non sono vecchio come lui,
ma si dice che a volte, nella notte, urlo.
Io ci credo.
Vi ho detto che ero
l'unico a vedere negli occhi del Vecchio ed è vero. Perché io so riconoscere la
sofferenza anche quando si cela dietro l'allegria, se si nasconde nella gioia.
Se si maschera da
felicità.
Simile chiama simile, è
sempre stato così.
Ho perso la mia famiglia
in un incidente, quasi un anno fa': mia moglie, mio figlio, mia nuora.
Bruciati nell'auto che
avevo regalato a lui.
Sono solo.
Gli inservienti sono
bravi, ma freddi; gli altri ospiti simpatici, ma chiusi nei ricordi e
proiettati nelle visite dei loro cari.
Nessuno vede.
Mi
hanno detto che ho un tumore, una schifezza allo stomaco, che mi sta mangiando
a poco a poco.
Ironico, no?
Non
voglio consumarmi così, privo di orizzonti,
ma sono sempre stato un debole per quel che mi riguarda e anche ora non riesco
a decidere.
E' per questo che anch'io
indosso una maschera.
***
Se capiterete a Villa
Tassoni, state pur certi che qualcuno vi parlerà di un Vecchio che scherza e
ride, ride e parla, parla e scherza. Ma se supererete la mia prova, se siete
tra quei pochi rimasti, tra quei pochi che vedono,
a voi vorrò affidare il mio destino.
Accadrà, lo so, perché
simile chiama simile.
Questa sera metterò il
solito foglio sotto il cuscino, con la data di oggi, la mia firma e delle
parole in versi:
Non
la vedo
Osservo,
cerco e mi perdo
Ma
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