Epifania – da “La neve
defunta”, romanzo di Giovanni Sicuranza
I funerali si fanno sempre
più fitti.
Un tempo vivevo in città
e il traffico sulla tangenziale all’ora di punta aveva la stessa densità di
queste casse da morto.
Già, hai ragione; che ne so ormai della mia
città; me ne sto qui, lontano, nella cascina di montagna, da giorni, aspetta,
da mesi, credo.
Qui c’era mio nonno, sì, nonno
Oreste, e lo hanno gettato nella terra di confine con i suoi sette fratelli,
poi non si è più visto nessuno e allora mi sono detto, cazzo Oreste Giunior, la
gente crolla a terra e rimane a gonfiare i giardini, è diventata la discarica
della metropoli, senza nemmeno la dignità di una spazzatura differenziata.
Cascano tutti come
credono di vivere, con borse, valigie, buste della spesa e vestiti e scarpe da
festa, da lavoro; uh, ho visto anche zaini di scuola, non sai quanti; allora,
ecco, mi sono detto, perché devo stare a guardarmi intorno, questo mi sono
detto, aspetto uno starnuto, una stretta di mano, e no, grazie, si fotta il
virus e tutta la progenie sua.
Ma non voglio agitarti,
parlo troppo, però, uh, mi concederai il vizio, non vedo un essere vivo da
settimane, ormai, forse anni.
Sì, fuori in giardino,
non so se la vedi, c’è una signora che stende il bucato, lo fa ogni giorno in
silenzio.
Sembra la morte, non ha suono,
non ha nemmeno vento.
Ho impiegato tre giorni
di saluti prima di accorgermi che in realtà è una strega.
Bah!, ma non è buffo?
Le spiavo i fianchi,
quella gonna di lino, come le disegna le gambe, è vero, mi sembrano secche,
però, sai come funziona a stare soli per tanto tempo, metti un autoreggente su
un manico di scopa e vedrai cosa ne pensa il tuo testosterone.
No, non distrarti,
afferra bene il concetto.
Ti parlo di scopa perché
tra poco è la notte della Befana, la notte delle streghe.
Del resto questo è il
tempo dell’inverno, delle cose che muoiono, si trasformano e rinascono.
È il tempo del suono
della notte che riverbera sui fianchi della montagna, fino alla notte della
Befana, la notte dell’epifania, in cui tutto si svela.
Bene, se vuoi saperla
tutta, io credo che quell’essere lì fuori stia preparando il bucato per le
altre, credo che tra una settimana verranno qui, a svelarsi prima a me e poi
alla città, e altro che calze, altro che gambe sexy, te la dico tutta, amico,
io so che non mi permetteranno di essere il sopravvissuto al virus.
Questa è la mia epifania.
Insomma, ci deve essere
un motivo per cui la specie umana si sta trasformando in ammasso di carne, di
carne frollata dall’umidità della terra.
Secondo me è semplice.
Stiamo preparandoci al
banchetto di queste signore, non so se mi spiego.
Una notte scenderanno in
città, tutte, scenderanno dal cielo nero sopra le loro scope e troveranno il
loro cenone già ben servito.
Va bene, a te forse
questa parte non importa, non voglio mica tediarti, sistemati come credi sulla
poltrona.
È comoda, senti?
Pelle vera, credo; mio
nonno ci raccontava di averne presa parecchia prima di fuggire dal campo di
concentramento; ci diceva che l’arredatore di questa cascina era stato il suo
fedele ebreo, il suo cane preferito, così ci diceva, e rideva, rideva e
sputacchiava allo stesso tempo, per cui, vedi come è buffa la vita e come è
allegra la morte, adesso qui, seduto accanto a me, ci sei tu, un cane, un
bastardino abbandonato lungo la strada.
Ti fa molto male la zampa
rotta, vero?
Scommetto che se potessi
parlare, invece di guaire in continuazione, mi ringrazieresti; che poi, scusa,
mi sembra anche poco educato nei miei confronti.
Faccio fatica a parlare
sui tuoi lamenti, insomma, ti ho raccolto, ti ho portato qui con me, ti ho
fasciato bene il moncherino, adesso sanguini poco; poi è vero che anch’io non
sono molto educato, insomma, uhmm, parlare con la bocca piena, ma, come ti
dicevo, a stare da soli si diventa così, e, sai, c’è anche che non mangiavo
carne da settimane, no, da anni, credo.
Se anche le altre tue
zampe sono buone, beh, amico, uhmm, mi chiedo chissà il resto del tuo corpo.
Non sarai di razza, ma ti
hanno nutrito bene prima di abbandonarti, questo è certo.
Come è certo che quando
verranno da me, le streghe fottute troveranno in Oreste Giunior il pezzo più
saporito del loro banchetto.
Tu sei di taglia grossa,
cavolo, e per allora io non dovrei essere troppo deperito.
E questa, amico mio,
uhmm, questa sì che sarà la nostra migliore epifania.
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