Sapessi, oggi mi sono svegliata presto per ascoltare il rimbombo delle rotaie lungo il vento.
Non mi sono mossa fino a quando il corvo mi ha trovata tra le cadute delle foglie di neve.
Forse non ricordi, padre, prima di morire lo facevi anche tu.
Costruivi suoni.
Questa chiesa, il cimitero di Magassa, tutte le case ora defunte mi sussurrano, come tu sussurravi della mamma, la strega che tutti temevano, la strega che tutti bramavano.
Era dunque come la morte, mia madre della Fossa, e tu mi facevi chiudere gli occhi ai confini del bosco, perché solo la scoperta del suono che torna alla valle e sale sulle montagne e poi torna a noi, solo questo modo di percepire il mondo racchiude il respiro eterno della memoria.
Come riverberano le rotaie, sembrano la strada ferrata del vento.
E' di uno dei suoni più strani che circondano la mia vita tra i ruderi della chiesa, padre; un richiamo a cui sarebbe un dolore resistere, e, no, resistere è come il pasto dell'usura.
Un istante prima di recidere il corpo, dirò alla mia malattia
di ascoltarmi, tu, malefica e superba, siamo stanchi, dammi retta, le dirò, ascoltami, è tempo di smettere il nostro cammino.
Questo dirò al pus dei nervi, alla febbre degli occhi, alle ossa frammentate, e lo dirò ai muscoli avvizziti e alle gengive nere, alla gola ferita ingoia i denti, e lo dirò alla mia mente che crede di essere immortale.
L'attimo dopo sarò anch'io con voi;
sarò il suono basso, il riverbero profondo delle rotaie in un'alba di vento.
Qualcuno forse fermerà il suo cammino, stupito.
Assorto.
(dal romanzo "La neve defunta" di Giovanni Sicuranza)
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