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Nessun caso per il commissario Massimo Riserbo - seconda anteprima


"Nessun caso per il commissario Massimo Riserbo"

seconda anteprima del romanzo di

Giovanni Sicuranza


Note d'uso.
Quanto stai per leggere richiede un certo impegno, non perché la narrazione sia difficile, almeno così rassicurano i miei personaggi, ma per la lettura prolungata su schermo.
Quindi, se non te la senti o non puoi, nessun problema, nel blog incontri molte storie brevi, complete, altre anteprime di romanzi, tutte suggestive.
Chiaro che "nessun problema" si riferisce ai personaggi del romanzo; per te, che non prosegui nella lettura, si tratta di perdere la conoscenza del più acuto e biodegradabile commissario di ogni romanzo noir mai scritto. 
Ah, non provare a proseguire nemmeno senza avere affrontato la lettura della parte iniziale dell'anteprima del romanzo; la trovi al link



Molto bene, se ce l'hai fatta, di seguito per te la parte finale dell'anteprima.



Frenata brusca - Interludio incoerente - La nostra evoluzione



Il letto ha freddo. Il  fiume gli scorre dentro, lento, scuro, denso; si ferma a gorgogliare qualche istante intorno alla depressione del canale, poi svanisce, percorre le profondità del terreno, isolato, ignorato, persino detestato, perché non porta nutrimento, non in questi tempi, anzi, è immondo, nasconde malattie, nutre la morte.

Al cadavere non importa. 
Giace supino sul letto e dalle sue viscere sezionate il sangue si mette in fila, masse coagulate in marcia lenta verso il canale di scolo all'altezza dei piedi.
Il cadavere non lo sa. E' arrivato da poche ore, appena il tempo di abbandonare la bara di metallo, di saltare su un telo sporco di bianco e da qui al letto di metallo dell'autopsia.
Non conosce più altra vita, però è il corpo di una persona nota. 
Due persone girano intorno a lui, caute, quasi con sussiego; sono coperte da tute verde piscina, indossano maschere a protezione dei residui acrobatici della morte, e ogni volta che parlano una nebbia rapida dai respiri giunge a nascondere gli occhi. Dentro queste maschere è come novembre.
Fuori non si sa, l'uomo è morto in una notte di taverna, quando era buio, buio acceso da candele come succede in ogni tempo dell'anno, e nella sala autoptica i neon non si curano delle stagioni. 
Il fegato dell'uomo è una scogliera nera intorno a una pozza di sangue.
Nessuno dei due medici si azzarda a toglierla dalla bilancia.
- E' incredibile, sette chili, insomma, mai visto un un un, insomma, è più del doppio di un fegato di grandi dimensioni.
- Beh, lo scrittore era noto in tutto il mondo mica solo per i suoi romanzi.
- D'accordo, ma un fegato così mostruoso, dico, nemmeno agli alcolisti cronici in stadio avanzato, e poi, dico, ha sentito la consistenza, no?
- Ah, certo, un diamante cirrotico. Lo scrittore si nutriva di alcol e con l'alcol cresceva i suoi personaggi. Adesso comprendi perché piacevano tanto.
- No, non credo. Perché lui era alcolizzato?
- Perché le sue storie ignoravano la barriera del fegato ed entravano dentro i nostri istinti più vivi.
Il braccio della bilancia che sorregge il fegato oscilla, su, giù; al medico più anziano pare approvare la propria frase.
- Solo che, vedi, dovresti dimenticare tutte le fandonie che ti insegnano sull'evoluzione dell'uomo. Qui ne hai un esempio mirabile.
- Io, mi dispiace, non comprendo, professore.
- Il fegato umano è ipoevoluto rispetto ai bisogni dell'arte. Non regge l'alcol, ah, e nemmeno tante altre sostanze, non nel modo che desiderava il nostro scrittore. Si oppone alla creatività che vuole andare oltre se stessa, a quella che necessita di nuove prospettive; protesta e, se non ascoltato, uccide.
La sala autoptica tace.
Il braccio della bilancia ha un gemito, pare cedere, è un attimo, quasi un'illusione dell'arte, e già riporta il fegato all'altezza attesa nell'ordine delle cose. 
- Comprendi? L'evoluzione non ha bisogni, non ha scopi, non tende verso il perfezionamento come credete voi tutti. E' un termine che nemmeno Darwin ha voluto usare.
- Ma cosa c'entra, professore. Noi discendiamo da, insomma, dico, i nostri antenati, le protoscimmie, erano primitivi.
- Certo. Prendiamo parametri come il cervello di questo scrittore, bell'esempio di Homo Sapiens Sapiens, e cosa scopriamo, che è pressoché simile a quello di  un bambino, poi rimaniamo sconvolti dalla vastità del suo fegato. Vedi come la capacità di creare è basata su pregiudizi.
- Se permette sono stanco.
- Siediti, ragazzo. Credi di essere in piena evoluzione, lo so, e già perdi le forze davanti all'evidenza. L'evoluzione è un termine che vi piace tanto, che si sono inventati scienziati ignoranti, che i media hanno enfatizzato. Hai presente il disegno che dalla scimmia porta all'uomo, sempre più eretto, con la freccia che va dal primo all'ultimo? Ecco, fandonie utili alla nostra autocelebrazione, alla perfezione della nostra specie tra le specie. Peccato che nella realtà nulla del genere esista.
- No, aspetti, professore, dissento. Il cervello, questo organo che lei cita, ecco, lo guardi, è piccino, vero, però è meraviglioso per la sua complessità; cioè, questo dello scrittore è pressoché poltiglia, ma, insomma, dico.   
- Ecco l'equivoco. Scegliamo a posteriori ciò che ci conforta. Le dimensioni del cervello che aumentano nei secoli nella nostra specie sono indice chiaro di progresso. Ignoriamo altri parametri.
- Beh, la statura.
- Beh, i microbi, per esempio.
- Non la seguo, professore.
- Sai bene del nostro microbioma, siamo qui, tu, io, tutti, grazie ai milioni di batteri che ci colonizzano, anzi, ci sono molti più batteri, sulla nostra pelle, dentro le nostre viscere, di cellule.
- Sì - dice il medico seduto sulla sponda del letto, ai piedi gialli dello scrittore. E ha un brivido.
- Ebbene, perché non prendiamo questo parametro per misurare la nostra cosiddetta evoluzione? Abbiamo  più microbi che massa encefalica, no? Ebbene, gli studi sul microbioma non sono molto confortanti da questo punto di vista.
- Nel senso che non funzionano bene?
- Nel senso che stanno perdendo terreno. Stanno perdendo noi. E noi, senza loro, non siamo. Possiamo avere un cervello splendido, ma se perdiamo loro, è semplice, non funzioniamo più. Mai più.
- Aspetti, professore, mi permetta, a proposito di batteri, non considera che noi siamo organismi complessi. Siamo passati da organismi unicellulari ad esseri pluricellulari - il medico ha un sussulto, forse l'incipit di una risata, forse solo un bolo di microorganismi e saliva che vorrebbe soffocarlo - Questa è evoluzione.
Il professore sbuffa, diventa nebbia in tutto il viso, allunga una mano cieca e trova il fegato tenace dello scrittore.
Lo prende dalla bilancia.
Una smorfia. Quanto dolore, e tutta questa fatica.
Alza il braccio fin sopra la testa, porta con se il macigno, e quindi lo lascia crollare sul cranio del giovane collega.   
- Ecco la fragilità del pluricellulare - dice al cranio aperto - Anche tu sei abituato a considerare la complessità dalla differenziazione delle strutture, degli organi, dei sensi. Ma quanta ignoranza, mio caro collega. La natura predilige gli organismi semplice, pensa ai batteri, pensa agli insetti. Noi e gli altri animali siamo un'eccezione. E semplicità di struttura non significa capacità di adattamento, insomma, hai presente, sei un medico, le strategie meravigliose di un batterio che si adatta ad ambienti ostili per altre specie, conosci come riesce a sviluppare e tramandare alle generazioni la resistenza agli antibiotici.
E adesso tace il professore, aspetta che si diradi la nebbia sulla maschera per osservare il corpo del collega mentre si affloscia sul lettino. Accanto alla carne complessa dello scrittore. 



Sesta prospettiva in folle

Se la mano fosse come questa trama, non tremerebbe tanto mentre legge il rapporto sul suicidio dell'uomo.
Però Massimo Riserbo ha riconosciuto subito la vittima nel bianco e nero sgranato, in questo volto lungo da cavallo bastardo.
Devi stare calmo, si scrive proprio così, c-a-l-m-o, rileggi la parola, è un aggettivo qualificativo, e tu, Massimo Riserbo, ricorda che il nostro romanzo necessita della qualificazione del tuo protagonismo.
Quest'uomo è morto carbonizzato nel rogo del suo alcolismo,
e sappiamo che faceva lo scrittore,
e sappiamo che era sospettato della morte di ogni suo libro,
dei personaggi suoi tutti.
La mano suda sulle parole del rapporto.
Aspetta, quest'uomo ha creato protagonisti per anni, ah, poteva fare lo stesso anche per me.
Il commissario del noir balza dal letto e con lui si sveglia anche l'alba del Sahel, un sussurro di luce primitiva che si esce dalle lenzuola e si allunga sul pavimento.
Al loro fianco, Magnifica Alfa ancora giace supina, sudata, soddisfatta.
Il capitolo del sesso è appena terminato e una parte di Massimo Riserbo vorrebbe tornare indietro nelle pagine, rivivere la passione con questo esemplare superbo di femmina sapiens sapiens; invece indossa il trench, sistema il borsalino sulla testa con inclinazione di trenta gradi rispetto all'asse sagittale de corpo o, se preferite, alla radice del naso, accende la pipa e
No, non va in bagno.
Non fa colazione.
In genere queste azioni mancano nei classici del noir.
- Bastardo - ringhia, la vescica che esplode, l'ampolla rettale intasata, lo stomaco desertico - Nel capitolo iniziale mi hai fatto almeno pisciare.
Vai oltre, Massimo Riserbo, la trama deve proseguire, c'è già stato questo interludio di amore e morte; la tensione del romanzo è tesa come un trampolino in attesa.
Lui ha una convulsione, rapida, a stento smorzata dalla volontà.
Ecco, i tuoi giochi di parole sono un solletico per le vesciche, mi sa che mi piscio addosso.
Senti, magari, guarda, ti propongo un'appendice a fine libro, lì potrai rinchiuderti per tutti i tuoi bisogni e il lettore non sarà obbligato a leggerti.
Lui accenna a un sì, così lieve che potrebbe essere solo la pulsazione di una giugulare allo splendore del sole d'Africa.
Il villaggio turistico è già sveglio, probabilmente non dorme mai davvero, occorre continuare l'indagine, ma, prima, Massimo Riserbo si dilunga in questo paragrafo a deporre un pensiero per la morte dello scrittore.
Narrativa, pensa, roba per usurai degli occhi e del vero vivere. La capacità di scrivere e quella di leggere non sono segno di evoluzione della nostra specie, no, indeboliscono la vista, appesantiscono i ventri.  Tralasciamo la pelle e la carne, noi che siamo mammiferi, e tutto per gongolarci sulle narrazioni di sconosciuti.
No, commissario, così non funziona.
Come?
Se pensi così non crei empatia con i lettori.
mmmh, Magnifica Alfa si gira verso il lato del maschio, allunga un piede, distesa arcuata di femmilità, e ancora dorme.
Massimo Riserbo deglutisce un respiro, uccide un'erezione, quindi sbircia sotto le vesti della finestra della stanza.
Il giardino ha movimenti pigri, un tipo in tuta verde scarafaggio innaffia le piante, a buona distanza dalle corolle; è come un personaggio irrigidito nel rallentatore o nella paura.
Saranno piante carnivore, deduce il commissario di tutti i noir, mi hanno detto di una zona di questo Villaggio dove le piante non sono affatto vegane, nemmeno vegetariane, anzi, apprezzerebbero la cucina toscana.
Lascia andare la tendina e torna al rapporto.
Che strana morte, però, dice molto dei nostri pregiudizi sull'evoluzione dell'uomo. 
E' solo un'altra digressione alla tua storia, Massimo Riserbo, il resto non occorre, non adesso, magari in un prossimo romanzo ci dedicheremo anche agli errori dell'antropologia.
E lo scrittore morto?
Ah.
Il rapporto di polizia, improvviso, implode, il commissario lo appallottola fino a soffocarne ogni angolo, lo scaraventa lontano.
Autore, spiegami a cosa è servito tutto questo! Sono in piena indagine al Villaggio, a letto con la femmina ideale di ogni cliché noir, e tu interrompi la trama con la morte di uno scrittore che in questo romanzo nemmeno ha lasciato dei puntini di sospensione! Ah, e sei un genio, sei, mi fai trovare un rapporto della polizia italiana, così, senza nemmeno giustificare ai lettori come lo avrei avuto.
Un fax?
Non ho fax in camera, forse non hai descritto bene nemmeno questo, ma mi trovo nel bungalow di un Villaggio turistico a Cabo Nigro.
Te lo hanno portato gli inservienti del villaggio, lo hanno ricevuto loro e, per non disturbare, lo hanno fatto scivolare nell'interstizio tra la porta e il pavimento.
Ottimo, bravo, e perché?
Ehm, perché descrive della morte di uno scrittore.
Come te?
Eh.
Che egocentrismo d'autore che sei. E dimmi, fenomeno.
Uh.
Potevi essere davvero tu l'autore morto, non credi? Forse, così, il mio personaggio avrebbe venduto molte più copie di questa misera che stai prospettando con una trama priva di tensione.
Massimo Riserbo fa un sorriso storto, entra in bagno, apre la tazza del water e
Ehi, adesso cosa fai?
Tu, autore di questo romanzo noir, ti perdi in interludi fuori logica con il solo scopo di affezionare il lettore al mio personaggio, io    
zip!
Aspetta, non è decente, non
Io, protagonista del romanzo, posso pisciarci sopra.
Va bene, lasciamo Massimo Riserbo alla profonda e ribelle conoscenza di se stesso.
Qui si chiudono i capitoli dell'interludio a dimostrazione che un romanzo più è conciso, più si libera di orpelli in nome della tensione costante, e meglio vende.
No, Massimo Riserbo, non girarti verso me con aria idiota. Io non ho scritto circonciso e tu non perdere di vista la tazza del water.


Settima prospettiva - retromarcia

La tazza del water gorgoglia, densa, tu la ascolti e pensi che sembra rimuginare sulla transumanza dei tuoi liquidi dall'abbraccio della vescica al mondo sotterraneo delle fogne. Poi pensi che è come un brontolio, anzi, è tanto pieno da essere un rimprovero.
E' un rimprovero, ti dici, e hai un sussulto.
A questo punto per il pavimento non c'è più scampo, gocce dei tuoi scarti zampettano intorno alla tazza, accanto al lavandino, entrano persino dentro il bidet, e fortuna che l'hai già fatta quasi tutta, nostro commissario del noir, altrimenti Magnifica Alfa potrebbe scatenare la rabbia della femmina contro la dittatura della liberazione vescicale del maschio nei bagni in comune.
Adesso però non puoi pulire, non è il caso di attardarsi.
Ti giri di scatto, maledici la mia distrazione di Autore, io che ho lasciato a mummificare sull'uscio della porta l'ombra del capo animatore del Villaggio di Capo Nigro.
E' tanto prolungata la sua attesa, e senza giustificazione, come un ritardo di autobus alla fermata verso un impegno urgente, che ormai il lettore dovrà tornare indietro nei capitoli, riprendere il paragrafo, e questa è un'altra tara del romanzo, un'altra disaffezione delle copie vendute.
- Tu, proprio tu, la tensione di un romanzo noir nemmeno sai dove si trova.
- Beh, intanto trova il capo animatore, a quest'ora sarà andato via o si sarà dissolto tra le righe.
- In ogni caso un disastro - gorgogli come un water e già muovi un passo oltre l'uscio del bagno.
Il passo dopo non ti riesce.
Rimani fotografato con una grossa "O" di stupore a deformarti il viso duro da commissario noir.
Il capo animatore sta animando il risveglio di Magnifica Alfa e tra loro non c'è pavimento, nemmeno esistono più lenzuola.
Carne anima carne.
Un coro che esplode, vibra oltre il materasso, penetra le tue orecchie.
- E questo è il tiro alla fune, animazione della mattina per tutti gli ospiti!
- Oh, mio animatore, me gusta quanto tira esta fune!
- E questo è il gioco dell'indovina chi viene a cena, proposto ogni pomeriggio ai nostri ospiti!
- Oh, non so per la cena, pero yo vengo seguro!
Magnifica Alfa, sussurri, più un gemito viscerale, che labiale. Vorresti tornare in bagno, chiudere  la porta, continuare a svuotarti con qualcosa di  più solido di un piscio post-risveglio. Invece continui a fissarli, sei un commissario noir, i particolari sono necessaria conoscenza, e qui vedi gambe che disegnano ellissi verso il soffitto, piedi inarcati verso i corpi, corpo di maschio sopra, sotto, ai fianchi di corpo di femmina.
Femmina che ulula, femmina d'uomo che diventa femmina di cane. 
- Questo è il gioco delle carte, lo proponiamo a tutti gli ospiti ogni lunedì, mercoledì e domingo!
- Si chiama scopa?
Stop.
Le parti si invertono.
Magnifica Alfa e il capo animatore, immobili come in una fotografia, una "O" sul viso implume e lucido di lui, una "V" rovesciata su quello ferino di lei.
Massimo Riserbo si avvicina al letto, raccoglie il referto dell'autopsia dello scrittore, svolazzato sulle chiappe del capo animazione, lo solleva controluce, a distanza di sicurezza dal naso, annuisce, lo ripone in una tasca del trench.      
- Come fa a sapere che proponiamo la scopa? - ansima il capo animatore.
Massimo Riserbo fa spallucce.
- Mi è sfuggito il tuo nome.
- Ah, ecco, Peppone, scusate, ma non potevo starmene sospeso sull'uscio per tutti questi capitoli.
- Su questo sono d'accordo con lei.
- Diamoci del tu, amigo, nel Villaggio di Cabo Nigro siamo tutti una grande comunità.
Massimo Riserbo entra negli occhi di Peppone.
Lame fredde dentro pupille che cercano di sembrare "smiles" :-)
- Ho visto quanto siete uniti. Sono il commissario Massimo Riserbo, qui non mi diverto, qui indago sulla morte di un vostro ospite.
- Ah - le pupille fanno :-( - Ne siamo addolorati, tutti tutti, mi creda. Ha detto, mi scusi, commissario, il suo nome?
- Massimo Riserbo - sbuffa al suo fianco Magnifica Alfa, che già ha coperto la pelle più odorosa con veli di biancheria intima - il famoso commissario dei romanzi noir.
Peppone prova un sorriso complice.
- Mai letto un romanzo noir, I suppose - lo sbriciola la femmina già vicina alla porta.  
- Dove vai?
- Oh, commissario, non fare il pastore. Vado ad occuparmi della dignità di cani reali.
Gniick, geme la porta.
- Una volta ho letto il giallo di uno scrittore, come si chiama, quello alcolizzato, quello che è morto da poco.
- Come?
- Mi scusi, commissario, era per rispondere alla domanda della signora.
- La signora è uscita.
- Certo, ma quel libro, dunque, il titolo
- Lei, invece, prima nella signora è entrato.
- Senta, mi scusi, l'ho già detto, dovevo liberare l'energia dell'attesa, insomma, colpa dell'Autore, mica si lascia così un personaggio, sull'uscio, dico, lo si carica di frustrazione, di tensione, di anelito all'esibizionismo verso il lettore, e allora, ecco, l'esibizionismo, capisce, io
- Non importa, magari questa sua improvvisata ha spiazzato l'Autore, gli servirà da lezione, magari è persino piaciuta a chi sta leggendo.
Massimo Riserbo si siede sul bordo del letto, Peppone tenta un sorriso salvagente e si ritira verso il cuscino.
- Però adesso la trama noir prosegue, vero?
- Lo spero. A mio avviso è già degenerata troppo, per cui non si preoccupi, non sono attratto dai pavoni dell'animazione.
Le mani di Peppone si rilassano, smettono di vestire la regione anale, si adagiano sul grembo.
- Però mi dica lo stesso di lei.
- In che senso? - vibrazioni di ansia da Peppone.
- La smetta, non mi interessa lei come, uh, uomo, credo. Voglio di più. Voglio conoscere il suo ruolo in questa storia.


Ottava prospettiva - Sosta

Lupa era fatta così.
Quando un maschio le si avvicinava, apriva appena le gambe, si metteva una mano in mezzo, e, smettila con le tue smancerie, con questi stupidi inviti a cena, lascia le poesie per chi non ha un cazzo da vivere, tanto lo sappiamo entrambi che le tue sono strategie per convincermi a scopare.
Lupa era una figa così intensa, che le altre femmine le giravano lontano per non appassire, mentre i maschi, inevitabili, tutti, diventavano i suoi girasoli.
Poi c'era chi osava, spesso un maschio, qualche volte una femmina, e ogni volta Lupa rispondeva così. Poche volte accettava la predazione e solo dopo avere chiarito che nel territorio del suo corpo lei era la dominante assoluta.
Ma non hai paura di rimanere sola?, le chiesi una volta.
Eravamo a fine stagione estiva, al post dopo la chiusura delle scuole superiori, ed io avevo il permesso di parlarle. Non troppo, perché a Lupa non interessava perdersi in filosofismi, però alle mie domande, a qualcuna almeno, rispondeva.
Insomma, ero pur sempre il suo fratello minore.
Minorato, diceva lei, ed era l'unica parola che mi rivolgeva in un modo tenero, gli occhi che le diventavano pieni come lune, le mani che frusciavano tra i miei capelli come seta.
Peppone, fratellino mio, nemmeno tu dovresti avere paura. Ricorda che si finge di vivere in compagnia, ricorda che moriamo soli.
Quel giorno rimasi in silenzio.
Non capivo mia sorella, no, lei era distante da me, da noi, però in un modo intenso, doloroso, come il ricordo di una persona cara e defunta.
Io avevo paura di rimanere solo, una paura grande e scura.
Ero solo quanto lei, certo, ma la sua forza era la mia dissoluzione.
I nostri genitori recitavano bene il ruolo che, forse con lei per incidente, con me per irresponsabilità, si erano dovuti assumere; ci accudivano a denti stretti, nulla di più.
Avevo amici, certo, eppure nessuno di loro condivideva le mie paure del vuoto intorno alla vita.
Volevo trarne coraggio, trasformarmi, essere Lupa, e trascorrevo ore ad osservarla, lei fiera, lei unica.
Solo che ogni volta scoprivo nuovi ghiacciai avanzare e cristallizzarmi sangue e speranze.  
Quel giorno, però, Lupa disse anche un'altra cosa.
Eravamo seduti uno di fronte all'altra, lei con le gambe aperte, io rannicchiato. Non ricordo altro, solo la panchina di legno essiccato, morto, il verde dipinto sulle assi, spezzato da ulcere di grigio sporco dove il tempo aveva vinto. 
Sai a chi andrà il mio ultimo pensiero nel momento della morte?, mi disse.
A me, sperai e rimani in silenzio. A me.
A nessuno di voi, Peppone, togliti quell'espressione da cane bastonato. Se riuscirò ancora a pensare, io parlerò ai miei mitocondri.
Insomma, Lupa era strana, chiaro, però in quel momento mi sembrò che fosse andata oltre, scocomerata, fusa, più di questo sole che incendia il Sahel, amigo commissario.
E quello che aggiunse dopo, beh, purtroppo lo capii solo qualche mese dopo, quando lei davvero morì.
Insomma, non so, ad averla compresa prima, forse non avrei trascorso il resto del mio tempo a leggere libri di medicina, fisiologia, microbi e cellule. Ad isolarmi sempre più dalle persone.
Perché con questa rivelazione, Lupa mi spaventò in modo assoluto e allo stesso tempo mi illuse di potere trovare una soluzione al mio terrore della solitudine.
I mitocondri, mio piccolo fratello, proprio loro. Dovremmo ringraziarli ogni giorno che ce ne stiamo qui a parassitare nel mondo. I mitocondri, tanti secoli prima, prima di noi, intendo, erano batteri, strutture unicellulari complesse. Poi hanno scoperto che se si aggregavano, insieme, tanti, rinunciavano a se stessi, ma creravano un organismo ancora più complicato e con due vantaggi.
Lupa chinò appena il viso, ricordo quanto lo portò vicino al mio.
Il suo alito non era proprio gradevole; sapeva di fiori, sì, ma di fiori della notte, con un retrogusto di cose che hanno smesso di respirare e già si trasformano.
Primo vantaggio, disse, i mitocondri potevano rinunciare alla loro singola complessità e affannarsi meno nella lotta della sopravvivenza diventando esseri semplici se presi uno ad uno, ma ancora più forti nel loro nuovo insieme.
Altro vantaggio, i mitocondri dovevano rinunciare a molte funzioni, e alla loro singola libertà, certo, ma sarebbero sempre stati protetti dalla cellula in cui entravano, impegnandosi in cambio a fornirle l'energia necessaria per andare avanti, il che, ovvio, era anche nel loro interesse.
Ecco, capisci, i mitocondri hanno rinunciato alla loro singolarità di microorganismi per trasformarsi in esseri più semplici, eppure dipendenti, che portano energia vitale alle nostre cellule.
E noi, mio caro fratellino, mai li ringraziamo.
Per questo a loro andrà il mio ultimo pensiero.
Dunque non siamo proprio soli, mi dissi.
Però ricordo che riuscii a pensarlo a strati, una parola lenta dopo l'altra, come in un blues alla fine della raccolta del cotone; fu una rivelazione che completai solo quando Lupa mi aveva già salutato con una carezza tra i capelli ed era corsa dentro i vicoli, solo dopo molto tempo in cui ero rimasto così, seduto, immobile. Incantato.
Il giorno dopo mi misi a cercare tutto quanto era stato scritto sui mitocondri, e sui batteri, e sul nostro microbioma, perché noi siamo colonie di miliardi di batteri e alcuni di loro, amigo commissario, sono già trasformati nelle nostre più belle cellule, tanto affascinato, confortato da questa nuova forma di socialità, che non diedi peso a Lupa, al suo trascorrere a letto le giornate, ogni volta qualche ora di più, non le rimasi accanto quando iniziò a delirare e in tutto il nostro paese si narrava della ragazza che pregava certe strane creature con nomi antichi e buffi.
Forse diceva enterobatterio, forse stafilicocco.
La gente ripeteva perplessa, vuota.
E diceva mitocondrio.
Mitocondrio. La senti questa parola, commissario? E tu, lettore?
Già il nome evoca leggende.
Mito.
Il mito del Mitocondrio.
Sempre sia lodato.
Lo disse anche Lupa, sia lodato il mitocondrio, e fu la sua esalazione ultima.     
Ah, certo, adesso ti chiedi cosa c'entra questa storia con il fatto che sono diventato animatore di Villaggi. Lo faccio da anni, sai, e qui a Cabo Nigro sono Peppone, il capo animatore. Intrattengo gli ospiti, con il mio staff cerchiamo di rendere la vacanza un ricordo divertente per tutto il mondo. Insomma, vivo di socialità e, me lo riconosci, non è mica male per uno come me, che era terrorizzato dalla solitudine.
Potevo continuare a vivere per i nostri microrganismi, sai, magari sarei diventato un professore emerito in fisiologia cellulare, oppure, che so, un esperto di microbi, forse avrei persino partecipato al progetto sul microbioma umano, hai presente, no? No, d'accordo, non importa a questo romanzo. Allora ti dico solo quello che conta alla storia.
Al funerale di Lupa ci sono andati davvero in pochi, forse i miei genitori, uno zio, qualche anziano del paese e, mi sembra, anche un paio di amici, cioè, di tipi che erano riusciti a stare qualche notte con lei. Comunque io non c'ero. No. Lupa sprofondava nella terra, consumata dalla febbre, con la carne già divorata dai batteri mentre ancora era viva, ed io me ne stavo chiuso in camera e, sai cosa, strappavo le pagine di tutti questi libri che avevano illuso la mia solitudine. Ah, quanta rabbia schiumosa, laceravo una pagina e già passavo all'altra. Batteri, microbioma, mitocondri. Fottetevi, urlavo, e tutta la mia energia era in questa distruzione assoluta. Lupa scendeva nella fossa, inerme, vuota. Lupa tradita da ogni suo mitocondrio, una popolazione di vigliacchi che non le aveva dato l'energia per vincere. E dunque, dimmi, sono loro i nostri compagni? No, questi esseri ci crescono dentro come egoisti. Io ho capito. Sono andato oltre le illusioni di Lupa. La loro energia la devo sfruttare al massimo. Lo posso fare con un lavoro che comunque mi avvicina alla gente, anche se la gente sarà sempre di passaggio, quasi mai davvero vicina. Io, oggi, sono un corpo che sfrutta i mitocondri, che li porta ogni giorno al massimo della richiesta di energia, spettacolo dopo spettacolo. Io sono il corpo che mai lascerà decidere a loro quando perdere.   




Nona prospettiva - fare manovra

Vedi che Peppone se ne sta svuotato di parole, filtrato dalla luce d'Africa tra le fessure delle tende, obelisco di carne sudata e pallida.
- E' ora di vita - dice, dita lunghe di mani che scivolano lungo i profili della finestra - Il Villaggio Do Maròn è sopravvivenza.
Bum!, è lì per dire Massimo Riserbo, poi ricorda che non è così che si esprimono i commissari noir. Accende la pipa, inclina il borsalino a livello delle sopracciglia, maledice il caldo fottuto della sua divisa da personaggio, tace.
L'animatore spalanca la porta, la luce irrompe nella stanza, le ombre fuggono rapide, Massimo Riserbo, stretto in un angolo, gronda.
- Venga con me, commissario - dice Peppone ed è già fuori.
Subito dietro la luce, la camera d'albergo è riempita da qualcosa che potrebbe anche essere musica, un suono di piatti che si rompono in sequenza da catena di montaggio, lo strisciare persistente di gessetti sulla lavagna, sillabe parlate e ripetute come singhiozzo.
Massimo Riserbo si affaccia cauto sull'uscio.
Peppone è a due passi, sulla via che scivola verso una piscina a forma di otto, dove forse un centinaio di mani sono radunate e protese verso il sole e ondeggiano al ritmo del singhiozzo.    
Anche Peppone innalza le mani.
- Ho bisogno delle mie ombre - dice Massimo Riserbo.
- Commissario, ecco la vita!
Peppone erto verso il cielo lucido del Sahel, le dita che accolgono i raggi del sole e sembrano a loro volta irradiare energia.
Peppone, Mosè del Villaggio.
- Che bestemmia è questa? - dice il commissario, la pipa che appassisce e muore tra le labbra.
- La sopravvivenza della gente! - risponde l'altro, il tono di un sermone, alto, gonfio di orgoglio - Noi qui riportiamo i viandanti nella dimensione dei bambini, li purifichiamo dai problemi che li assillano ogni giorno dell'anno. Guardi, commissario, guardi e ascolti.
Guarda, commissario, corpi dal significato diverso, flaccidi, tonici, piccini, vecchi, pelle neve e pelle negra, pelle aragosta in prevalenza; tutti uniti in un'unica sequenza di movimenti, mai sincronizzata, eppure tenace.
Mani al sole, op!, mani ai fianchi, op!, saltello su un piede, saltello sull'altro, op-op!, il suono dei piatti rotti, dei gessetti sulla lavagna e il ritmo ipnotico del singhiozzo, che diventano simbiosi con la loro carne.
- Lei è un disadattato, mi permetta, commissario. Quell'espressione da Pokemon, mentre dovrebbe già essere tra loro.
- Da chi?
Peppone ha fatto un salto indietro, ora è alle sue spalle, la voce che sussurra alle orecchie.  
- Ecco dove ho ritrovato i mitocondri, commissario. Vede, tutti gli ospiti del Villaggio Do Maròn sono qui per il primo gioco del mattino, quello che noi animatori chiamiamo riscalda-il-cuore-al-sole; beh, è un nome per la versione italiana, chiaro.
- Capisco.
- Davvero? Ah, lei è davvero un commissario noir!
- Già, i turisti diventano mitocondri. Rinunciano alle proprie individualità per la semplicità del gruppo.
- E non devono pensare, non devono più preoccuparsi di programmare alcunché. In cambio ci danno la loro energia, la loro vitalità. In questo modo il Villaggio funziona.
Massimo Riserbo si volta appena verso il respiro di Peppone. Non riesce a vederlo, se non come ombra incendiata, ma non importa.
-   E se
Un grido.
Grasso. Improvviso.
Un'onda d'urto che estinguerebbe ogni mitocondrio, se fosse isolato nella sua individualità.
Massimo Riserbo si getta al suolo, rotola su se stesso, estrae la pipa dalla bocca e intanto rotola, il mondo che centrifuga davanti ai suoi occhi, fino a quando non avverte il riparo di un cassonetto, e qui si ferma.
Punta la pipa in ogni direzione, attento.
- Si ripari! - urla a Peppone, come un idiota rimasto immobile, proprio come un idiota a bocca cadente che lo fissa.
Gli occhi socchiusi sull'orizzonte bruciato dei bungalow, la pipa puntata verso ogni idea di movimento, Massimo Riserbo riprende la funzionalità dell'udito e scopre due cose contemporaneamente.
La risata grossa di Peppone, troppo grossa anche per quel corpo massiccio. E, sopra, una voce di megafono.
Presto, ultimo avviso, mettetevi a bordo piscina, vediamo oggi chi riesce a non caderci dentro! Wooow!!!
Urlo che lacera il megafono.
Urla che diventano uno dal popolo di Do Maròn.
Peppone che ride.
Massimo Riserbo stringe le labbra, le soffoca, e si alza, lento, pesante dentro la polvere dell'umiliazione.
- Commissario, la prego, venga al nostro show questa sera. La prego, giuro che la scritturiamo.
- Peppone, ho sterminato stirpi di mitocondri per molto meno.
-   Ah.
L'animatore tace, scrolla le spalle e si incammina verso la piscina.
- Comunque si stanno preparando al gioco del tiro alla fune - dice dopo solo due passi, un dito che saetta in alto, come ammonimento.
- Peppone!
- Sì?
Pausa.
Bella questa scena.
Un classico del noir, anche di uno spaghetti western, che poi, spesso, con il noir condivide il senso di solitudine e tragedia dei  personaggi.  Già, forse il noir deve qualcosa a Sergio Leone, ma non ho tempo di approfondire in questa pagina.
Massimo Riserbo è infine soddisfatto.
Rivediamo la scena.
Lui, in penombra, eretto con il trench che scende sul corpo, il borsalino calato a ore tre verso la punta del naso, la pipa impugnata lungo un fianco.
Di fronte, a nemmeno una decina di metri, sbilenco mentre si volta verso il suo interlocutore, Peppone, grosso come un messicano, sudato, gli occhi socchiusi di chi cerca di individuare il bersaglio.
Massimo Riserbo stringe la pipa.
Il sole del Sahel si cela dietro una nuvola straniera e vagabonda. 
Peppone deglutisce, Massimo Riserbo ne riconosce il verso da animale   perplesso anche a distanza, persino sopra il salmo ostinato del megafono. 
Tutto si svolge al rallentatore.
- Peppone.
- Sì?
- Questo lo abbiamo già detto, vero?
- Sì.
- Però non è venuto male.
- Mi dica, commissario.
- Ah, certo. Dimmi tu, Peppone.
- Cosa, commissario? La prego, devo proprio andare.
Massimo Riserbo sputa un grumo di saliva al suo fianco.
E' un gesto molto spaghetti western, molto noir, si dice.
- La Direzione la multerà per questo - annuncia Peppone, il tono annoiato.
- Eh - Massimo Riserbo sente il peso confortante della pipa, cerca di trasformare il viso in ghigno - E sarai tu a fare la spia?
Peppone dice no con la testa, indica alle spalle del commissario, lui si volta appena.
Proprio in questo istante il sole perde il rifugio dietro la nuvola e brilla su ogni particolare della terra.
Un occhio nero, lucido, se ne sta sulla cima di un palo, inclinato verso il commissario.
- Ci mancava il Polifemo anoressico.
- Eh, la Direzione ha telecamere ovunque. Vuole conoscere l'importo della multa per chi contamina con i propri batteri le strade del Villaggio?
- No, Peppone, invece mi interessa sapere cosa succede a chi non si adegua ai ritmi gioiosi della vostra animazione.
Altra pausa.
Massimo Riserbo non ha più voglia di rivivere la scena descritta prima, non con Polifemo che lo sorveglia alle spalle, non mentre dal megafono si rinnovano urla e marce da tachicardia e il sole gli suda addosso.
- Dimmi, Peppone, ad uno, ecco, metti uno come me, uno che non partecipa,  cosa succede in questo posto? Così, tanto per un esempio.
Peppone scrolla di nuovo le spalle.
- Non saprei, immagino ci siano altre cose da fare.
- Ma un mitocondrio isolato, non integrato nella comunità, muore. Me lo hai fatto capire proprio tu. Mi chiedo se può persino essere eliminato dalla cellula madre.
- Commissario, che dirle, sono aspetti dell'evoluzione che non mi riguardano.
- Davvero?
Pausa.
- Davvero?
Peppone si volta.
Massimo Riserbo lo osserva allontanarsi fino a diventare una macchia tra le macchie degli ospiti.
Al megafono annunciano che la Repubblica di Cabo Nigro è crollata.


Decima prospettiva - parcheggio

Succede di nuovo, non dovrebbe stupirci.
Durante il duello tra il commissario noir e il capo animatore di Do Maròn, la Repubblica di Cabo Nigro ha realizzato che l'antropologia interessa agli investitori finanziari come un fecaloma scoperto nei giardini pubblici; il Governo ha rivisto le uscite del Paese, è sbiancato a maggioranza assoluta e, non potendo più gridare con orgoglio "la terra ai nostri negri Padri!", ha deciso di modificare ancora il nome alla Patria.
Cabo Blu, è così che si stanno adeguando i satelliti tutti, e le compagnie aeree, marittime; succede anche ai cartelli stradali che percorrono tratti poco convinti di questo angolo di Sahel. Il Governo, con il contributo dei pescatori della zona per l'annuncio a reti unificate, dice che è chiaro a ogni uomo di questa ed altre terre ciò che persino gli antenati avrebbero approvato; insomma, signori, lo sappiamo, la culla della civiltà è sempre stata in riva al mare, e, lo sappiamo, anche questa civiltà vive grazie al turismo del mare, ah, e poi mica sottostimiamo la poesia, chi non rimane incantato dal cielo lindo di questa Repubblica, per cui, signori, suvvia, non si rimanga impolverati da miti come questo dell'orgoglio della propria terra, no, non più Cabo Nigro, pensiamo globale, pensiamo Cabo Blu, e così si riconosca il nostro amato Paese, ora e sempre o quantomeno fino alla verifica del prossimo bilancio.
Magnifica Alfa è seduta a un tavolo del bar, sorseggia un mojito come una vedova nera succhia il suo maschio, non le interessa l'annuncio al megafono, le orecchie tese intorno ai turisti.
Cani non ne vede, non oggi, però è allenata da anni di predazione, ne avverte l'odore. Sa che presto toglierà un altro di loro dalla schiavitù di una vita domestica tra i Sapiens Sapiens e lo renderà alla foresta, dove si unirà al branco o soccomberà alla selezione naturale, comunque davvero libero.
Abbandonate i vostri cani, abbandonateli tutti, adesso, ribolle dentro; te ne accorgi solo per come le dita diventano tendini tesi lungo il gambo del bicchiere, perché intanto Magnifica Alfa sorride bella ai maschi che si perdono nelle promesse della sua carne di femmina, e te ne accorgi per i denti dentro il sorriso, appena svelati, privi di compassione.
Massimo Riserbo non la vede, e forse è meglio così, perché ha già altri pensieri; tornato nel bungalow, si chiede se l'uomo morto partecipava agli eventi dell'animazione.
Svogliato, lento tra l'afa del Sahel, apre la doccia, acqua gelida a fiotti, e si dona alla cascata, trench, borsalino, pipa inclusi.   
Dovrai sforzati, Massimo Riserbo, andare al ballo del Villaggio questa sera.
Io?
Non preoccuparti, continua pure con lo shampoo al borsalino.
Non prendermi in giro, scrittore, sono il personaggio tutto di un pezzo di un romanzo noir, non la sua caricatura.
Certo, certo; per questo sai che devi andare; magari ti porti Magnifica Alfa, così rendi meno sgradevole il compito.
Vado e interrogo i turisti.
Bravo, vai e chiedi che tipo era il morto.
Lo chiedo a tutti, senza escludere nonni, mamme e bambini. Lo faccio con i miei modi da duro noir.
Ecco, bravo.
Allora, cosa dici, mi faccio anche la barba?
Se credi, ma non pensare che starò qui a descriverti, il romanzo è già dispersivo, occorre più tensione o nemmeno questa volta venderemo una copia.
Pensa per te. Io non c'ero nei tuoi libri precedenti. E, dimmi, come pensi di creare altra tensione?
Con un altro cadavere, commissario.
Aspetta; Massimo Riserbo allunga una mano verso il lavabo, prende uno spazzolino, getta sopra un'onda di dentifricio, lo strofina veloce sulla pipa; non esiste, chiaro, proprio no, il tuo romanzo è già complicato in questo modo.
Secondo me chi legge si sta annoiando.
Io mi sto annoiando, sono un commissario noir, dico, i commissari noir indagano nei vicoli di una città, a volte tra finestre  chiuse di un paese di periferia, ma tu hai esagerato, dico, sbattermi in un villaggio turistico dell'Africa. E' una storia che non prende in partenza, lo capisci? Chi legge non riesce ad immedesimarsi, ecco.
Sì, hai già avuto modo di esprimere il tuo disappunto e vorrei farti presente  che nemmeno queste ridondanze giovano alla fluidità dell'opera.
Il commissario noir sospira una bolla di sapone attraverso la pipa.
E poi, dimmi, chi sarebbe il prossimo cadavere?
Lo hai letto da poco. Si tratta dello scrittore noto, quello dal fegato enorme.
Massimo Riserbo deglutisce un paragrafo intero di bestemmie.
Sei scemo? Ti metti a riciclare cadaveri da altri racconti? Era già un personaggio fuori luogo, lo sai, come lo introduci nella mia storia?
Ah, commissario, non importa. Basta che innalziamo la tensione. E poi, guarda, a inserire il suo corpo nel pieno del romanzo ti faccio un favore.
Mi sembri molto ottimista.
Pensaci, la sua presenza è un indizio per le indagini.
Come?
Massimo Riserbo ignora molto della trama, ma a noi basta girare la pagina e lasciarlo alla sua doccia da commissario; basta proseguire nella lettura e pensare che forse ogni personaggio avrà la propria opportunità.
Persino Magnifica Alfa, che tra i sapori del  mojito ha avuto un giusto sentore da capo branco; il nostro defunto scrittore aveva un cane, un carlino chiamato Mister Bau, e, per la nostra magnifica, anche lui verrà forzato ad entrare in questa trama.



La stesura continua in forma privata e verrà resa disponibile prossimamente in forma edita (e-book e cartaceo)
@Giovanni Sicuranza, diritti d'autore depositati presso P.I. e tramite pec.

Nota della nota.

Ricordo che il commissario Massimo Riserbo compare come protagonista anche in racconti isolati, che trovi nella pagina Facebook "La mitologia di Giovanni Sicuranza" e nel blog "Neurotopia" (appendici al presente romanzo)



Immagini: foto di Ansel Adams.


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