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La passeggiata


La passeggiata - Giovanni Sicuranza



Le mura trattengono il fiato.
Chiudono il cimitero da prima dell'editto napoleonico e non permettono a nessuno del mondo interno di respirare sul paese.
La fessura del cancello è grigio cenere e basta appena ad infilare un foglio di carta sottile, a volte una preghiera, altre una richiesta di aiuto. Non importa in quale direzione, se verso il mondo dei morti la preghiera, lungo quello dei vivi la richiesta di aiuto, o viceversa; non ci sono altre forme di contatto, il  cancello è sigillato con residui delle bonifiche d'amianto, tanto per essere certo di dissuasione.
Le inferriate sudano ancora lacrime di addio e le riversano in pozzanghere nere ad ogni inizio di autunno.  Allora giungono i bambini a giocare, qualcuno porta i cani a bere, altri le tartarughine comprate alla fiera, così, giusto per vedere se si trasformano in morti.
Anche questi bambini sanno che è vietato oltrepassare le mura.
Lo è dall'ultima epidemia.
Che poi è una storia idiota, dicono i vecchi alla taverna.
E' iniziata dai morti, un salto di gruppo batterico verso i vivi, olè, tutti uniti appassionatamente, però i vivi sono diventati morti, e più aumentava il contagio e più c'erano vivi che passavano dalla parte dei morti e in pochi mesi i batteri sono rimasti a bocca asciutta e si sono arresi.
Da quel giorno, dicono, nulla può succedere. 
Oggi l'amore cammina sul fianco delle mura, muove passi piccoli verso il cancello, ed è un amore che si stringe le mani, un amore che trema.
- Forse abbiamo sbagliato - dice lei.
Lui sente come le sue dita piccine si tendono ad abbracciargli la mano tutta.
- Stai tranquilla - dice allora e poi deglutisce.
- Non ci salveranno se qualcuno ci aggredisce, non qui.
- Non accadrà.
- Come puoi dirlo?
Lui, che non conosce come, prosegue.
L'erba sotto i loro passi soffoca, un ragno buio abbandona spaventato la tana e subito un altro accorre per nutrirsi dei sui piccoli.
Lei vorrebbe piangere, però sono così tante le cose che desidera, adesso non le ricorda nemmeno tutte, e allora dice sì con le labbra e affretta il passo per avvicinarlo a quello del suo amato.        
Il cielo sopra di loro ha le macchie di un morbillo bianco su pelle celeste e un sole infreddolito si cela dietro la collina.
- E' normale questo gelo?
Lui le porta la mano intera nella dimora della sua.
- Forse sì. Però, guarda, amore, guarda. Siamo arrivati.
- Ah - lei ricorda; le ritorna nelle ossa la sensazione libera del pianto e allora piange.
La buca è a davanti a loro, si apre tra ciuffi di piante come labbra di vagina.
- Non ci hanno preso, hai visto?
- Ci siamo riusciti, sì, sì.
- Non dovevi avere paura - dice lui e se la stringe al petto, uno scricciolo di ossa su un cuore stupito - Sono solo storie che raccontano per non farci entrare nelle terre straniere.
- No, sono mostri - dice lei sopra le lacrime - è solo perché non ci hanno visto, altrimenti ci avrebbero dilaniati.
- Non lo so, amore, però ascoltami, oggi ho capito questo, ecco, ho capito che nulla è troppo rischioso per camminare con te lungo il vento. Ci riproveremo ancora. 
Lui ha già un piede nella fossa.
Si ferma un istante, la cerca dove una volta c'erano gli occhi, le sorride con ciò che rimane dei muscoli facciali.
- Chissà, magari nemmeno è vero che ci chiamano zombi.
      
 
[immagine: "La passeggiata", Chagall]

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